Magari la prossima volta mettete su i fratini

Crampi Sportivi
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4 min readNov 21, 2016

Editoriale di Valerio Curcio

La sottomissione del calcio alle logiche del profitto può portare a situazioni tragicomiche come quelle viste nella tredicesima giornata di campionato: per squadre che indossano la seconda maglia anche in assenza di contrasti cromatici con gli avversari (vedi la Roma a Bergamo), ce ne sono altre (Milan e Inter) che addirittura indossano divise troppo simili in una partita di cartello, rendendo difficile la distinzione delle due formazioni. Non fosse stato per i pantaloncini, a tratti non saremmo riusciti a distinguere Candreva da Suso.

Nel primo caso si tratta probabilmente della volontà di dare visibilità nazionale e internazionale a un prodotto di consumo facilmente reperibile (in questo caso la bella maglia bianca della Roma). D’altronde ormai da anni le maglie di riserva sono assurte al ruolo di risorsa destinata alla voce “commercial” dei bilanci dei club professionistici. Nel caso invece del derby di Milano possiamo solo limitarci a fare congetture: qualcuno ha svolto male il lavoro di verificare la riconoscibilità delle due squadre? Nessuno dei due club per orgoglio ha voluto rinunciare alla prima maglia? Oppure, più semplicemente, nessuno si è posto minimamente il problema? Quest’ultima ci sembra la spiegazione più plausibile.

Il mostro banalmente (ed erroneamente) conosciuto come calcio-moderno, in Spagna viene chiamato più oculatamente fútbol negocio, e prevede che da un anno all’altro gli elementi della maglia possano cambiare anche in maniera drastica: disegno, partiture, font dei nomi di maglia e, per l’appunto, colori. Se la memoria non m’inganna, questa è la prima stagione in cui le due milanesi hanno adottato entrambe una divisa dalle tonalità complessivamente così scure, in cui è preponderante il ruolo dell’unico colore che le accomuna, il nero.

Se infatti nella maglia dell’Inter il blu è così scuro da farla sembrare tutta nera già a pochi metri di distanza, in quella del Milan il rosso è invece ridotto a colore accessorio, perché il retro è totalmente nero. Aggiungiamoci il sudore, il filtro del mezzo televisivo e che la parte delle spalle è anch’essa nera e il gioco è fatto. Da dietro, dall’alto e in parte anche da davanti la riconoscibilità è delegata a pantaloncini e calzettoni che, per fortuna secondo le regole, sono di colori differenti.

Il perché di questa affinità tra le maglie di Milan e Inter non è ovvio. Forse è frutto di una casualità dovuta a una sorta di tendenza stilistica del momento: per le prime maglie oggi si sceglie spesso una tonalità scura, che dà eleganza al completo (si veda ad esempio il bel rosso scuro dell’era Nike romanista).

Le tesi complottiste

Una delle peggiori battute (chiaramente a sfondo razziale, data la poca fantasia) circolata in rete dopo la partita sostiene che le due proprietà asiatiche abbiano fatto ciò che i cinesi sanno fare meglio: copiare. Tuttavia è assai difficile che le proprietà siano responsabili della somiglianza, né d’altro canto urleremmo allo scandalo se uno tra Nike e Adidas fosse riuscito a sbirciare i progetti dell’altro in anteprima. Qualcuno ci ha tenuto a far notare l’ironia della sorte, che ha fatto coincidere il primo derby a bassa riconoscibilità televisiva con il lancio da parte di Mediaset della risoluzione 4K Ultra HD.

C’è poi una tesi ancora più complottista, secondo la quale l’Inter avrebbe deciso di non usare la divisa bianca per poter in futuro giustificare meglio l’uso della terza maglia, quella verdeazzurra, fluo, la maglia sprite. Anche questa versione rientra nell’ambito delle battute, ma dà da pensare: è proprio vero che alcune delle nuove maglie sono talmente poco gradite al pubblico che avrebbero bisogno di validi motivi per essere indossate. D’altronde non è neanche esaltante andare in trasferta da Roma a Vienna per vedere i gironi di Europa League, entrare al Ernst Happel stadion battendo i denti e trovare la tua squadra che gioca con una maglia che richiama il solero algida, con buona pace della voce “commercial” del bilancio. Chiaramente questo discorso vale per tutte le terze maglie creative.

Tornando a noi e al derby di Milano, ormai impresso nella memoria come quello a bassa riconoscibilità, appare evidente come il “disservizio” sia stato frutto di una di quelle situazioni in cui il fine di lucro (insito nella scelta di variare sempre i colori di maglia) prevale a discapito del fine ludico/ricreativo/sociale/culturale del calcio. Detta così sembra assai grave, ma c’è da dire che l’effetto confusione in campo ha fatto ridere almeno quelli che non erano coinvolti emotivamente nella partita, come il sottoscritto. Tutto sommato è stato divertente, a modo suo. Meno divertente è quando, ad esempio, i club di Serie A chiedono trenta euro per accedere a settori “popolari” di stadi fatiscenti. Ma nemmeno voglio fare il disfattista: c’è da riconoscere che almeno l’utilizzo di seconde e terze maglie denota il lodevole tentativo (finora fallito) di ridurre la dipendenza dei club italiani dai proventi di diritti-tv e plusvalenze.

Nei campetti in cui gioco da quando avevo quindici anni, all’ombra della Piramide Cestia, l’utilizzo dei fratini è valutato 0,50 euro ad unità (ah, il fine di lucro…). Pertanto non sono mai stati nemmeno presi in considerazione dalla mia personale cricca di calcettari. Sono però abbastanza sicuro che Milan e Inter abbiano in dotazione uno stock notevole di fratini. Una delle due avrebbe potuto indossare le classiche casacche smanicate giallo fluo, risolvendo il problema di riconoscibilità e aggiungendo una vivace nota di colore (in tutti i sensi) al derby: in quel caso altro che maglia sprite, sarebbe stato il derby della Madonnina più No-al-calcio-moderno della storia recente.

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