Marcel&Henrik

Paolo Stradaioli
Crampi Sportivi
Published in
8 min readFeb 6, 2018

Levi, Kristoffersen secondo Hirscher diciassettesimo. Beaver Creek, Kristoffersen secondo Hirscher primo. Val d’Isere, Kristoffersen quinto Hirscher terzo. Val d’Isere (parte seconda), Kristoffersen secondo Hirscher primo. Alta Badia, Kristoffersen secondo Hirscher primo. Madonna di Campiglio, Kristoffersen terzo Hirscher primo. Zagabria, Kristoffersen terzo Hirscher primo. Adelboden, Kristoffersen secondo Hirscher primo. Adelboden (pt.2), Kristoffersen terzo Hirscher primo. Wengen, Kristoffersen secondo Hirscher primo. Kitzbuhel, Kristoffersen primo Hirscher secondo. Schladming, Kristoffersen secondo Hirscher primo. Garmisch, Kristoffersen quarto Hirscher primo.

Gli altri, paesaggio.

Quelle sopra citate sono le gare di gigante e slalom in cui il norvegese e l’austriaco si sono sfidati in questa stagione. Se cerchiamo di contestualizzare questi dati, basti pensare che non c’è una singola gara tecnica in cui almeno uno dei due non sia salito sul podio. Le gare in cui hanno occupato il primo e il secondo gradino sono sette su dodici. Tutte le gare di slalom speciale, ad esclusione della prima vinta da Neureuther, sono andate a uno dei due (sei Hirscher, una Kristoffersen). In classifica generale di Coppa del Mondo tra Kristoffersen (secondo) e Svindal (terzo) ci sono oltre 300 punti.

Non è tanto il paragone con un fenomeno come Svindal, che compete in discipline diverse, con calendari diversi e avversari diversi, quanto l’impossibilità di traslare quello che Hirscher e Kristoffersen stanno facendo alle discipline tecniche in un altro contesto di sci alpino (femminile o maschile cambia poco).

Non c’è un unico dominatore, non c’è un’alternanza al vertice frutto di performance di fuoriclasse (intendiamoci: Matt, Myhrer, Yule, Feller, Pinturault sono degli sciatori incredibili), non c’è niente di tutto quello che ci dovrebbe essere.

C’è la gara e poi ci sono loro.

Hirscher aveva fatto un paio di errori clamorosi e comunque si è messo davanti. L’altro può solo scuotere la testa.

Due entità distinte, due pesi massimi al centro del quadrato, due monoliti inamovibili. Nemmeno nei sogni più bagnati di chiunque venda il prodotto “Sci Alpino” si sarebbe potuta creare una situazione del genere: al femminile una sciatrice come la Shiffrin, che con un po’ di fortuna ripasserà tra cinquant’anni; al maschile una rivalità che ha più le fattezze di una sceneggiatura che non di una contingenza. Lo sport si nutre di narrativa dicotomica: Messi e Ronaldo, Jordan e Magic, Borg e McEnroe, Lauda e Hunt, Alì e Foreman. In ogni storia c’è bisogno di un attore non protagonista che piano piano rosicchi lo spazio vitale della star fino ad appaiarsi al suo livello e poter creare le condizioni affinché un Dio cada.

Questa dialettica è il motivo per cui Gatlin ha perso contro Bolt ai mondiali di Pechino (per quanto altezzoso un uomo non può toccare un Dio, anche se poi Gatlin si prenderà la sua rivincita) ed è anche la ragione per cui Kristoffersen, dopo aver bastonato ripetutamente il rivale durante le ultime due stagioni, sta facendo una fatica maledetta a mettersi alle spalle quello che forse è il miglior Hirscher della carriera. Ma è anche il motivo per cui le gare tecniche sono così appaganti: se ad arrivare nello spazio si è in due, allora conta chi arriva prima sulla luna. Se la discesa di Kristoffersen è sconvolgente, allora quella di Hirscher dev’essere sublime.

Non conta vincere, conta fare una manche migliore dell’altro perché solo così la superiorità è certificata. Per chi guarda è la quint’essenza dello sport agonistico.

Il guanto della sfida

Animare una rivalità non è cosa facile; dev’esserci un padrone, un dominatore incontrastato che d’un tratto vede scricchiolare la sua leadership a causa di un ragazzino (meglio se più giovane) capace di metterglisi davanti. Una, due, tre volte, e d’un tratto la sensazione che anche il Re può cadere.

Marcel Hirscher è già adesso uno dei più grandi sciatori di tutti i tempi. Il suo impatto sullo sci moderno è stato mostruoso. L’idea di base nelle discipline tecniche è quella di deformare il prima possibile lo sci di modo da creare la traiettoria per la porta successiva e scaturire più velocità. Fino a Hirscher, però, la tendenza era quella di prendere un certo spazio tra gli sci e il palo, poiché i piedi e i muscoli umani hanno un tempo di reazione non immediato. In poche parole più tendi a stringere il classico movimento “ondeggiante”, più dovresti fare fatica.

Le gare di Hirscher sono sconvolgenti. Il suo gioco di piedi è paragonabile a quello di uno spadaccino; sposta il corpo come se pesasse 20 chili, i suoi piedi ragionano in termini di millimetri dal palo. Vederlo sciare soggiace un senso di impotenza poiché quelle traiettorie non sono replicabili da un essere umano.

È Giotto sotto acidi.

La sua è una continua ricerca del ritmo, spezzata ogni quattro porte per la sua frenesia nell’anticipare l’ingresso curva. Nel gigante si riesce ad apprezzare molto bene in alcuni passaggi (il muro di Adelboden è il perfetto esempio di come Hirscher abbia i piedi più intelligenti del pianeta), ma nello speciale è palpabile la sensazione che Madre Natura lo ha donato di piedi fuori dal normale.

Questo è lo slalom di Madonna di Campiglio di questa stagione. A un certo punto sbaglia totalmente traiettoria; più la riguardo più non riesco a spiegarmi come sia stato dentro e come poi sia riuscito a vincere. Una cosa irreale al punto da chiedersi se esista un modo per batterlo.

Esiste, basta fare un salto nel tempo di un paio d’anni.

Nel 2015/16 Hirscher arriva da tre “coppette” di slalom consecutive (per i neofiti la coppa di specialità viene assegnata alla fine della stagione a chi fa più punti nella singola disciplina); fino ad allora, Kristoffersen aveva vinto appena quattro gare in carriera.

È un massacro. Il norvegese vince a Val d’Isere, ad Adelboden, a Wengen, perfino a Kitzbuhel e a Schladming, le piste di casa del Re.

In queste immagini c’è tutta la prima parte della rivalità tra i due. Il ragazzino esulta e Hirscher, più vecchio di cinque anni e già ora incapace di batterlo, osserva incredulo prima di abbozzare un sorriso alle telecamere nel più forzato dei “va tutto bene”.

Non va tutto bene; un norvegese classe ’94 gli ha portato via la corona dello slalom, la sua capacità di generare velocità è pazzesca. Non è perfetto sul palo come l’austriaco (e chi mai potrebbe esserlo?!), ma sa far correre lo sci; non ha paura di rischiare, di prendere forti anticipi… è l’archetipo del rivale più giovane e potenzialmente più forte.

No, non va tutto bene e infatti ai Mondiali di Beaver Creek l’austriaco non completa nemmeno la gara di speciale. È frustrato: ha lavorato tanto per incrementare la potenza nel gigante, il che vuol dire perdere un po’ di elasticità in slalom ma tanto era imbattibile. Lui aveva riscritto le regole dello slalom, lui era l’ago della bilancia dello share televisivo. Adesso guardare lo slalom non voleva più dire guardare solo Hirscher e l’anno successivo le cose non cambiano.

In realtà l’austriaco riconquista la coppa di specialità grazie alla sua costanza nel finire (quasi) sempre sul podio ma il conteggio delle vittorie in slalom è pesantemente dalla parte del norvegese. Hirscher due, Kristoffersen cinque. È ufficiale: Hirscher è il miglior sciatore al mondo, ma non è più il miglior slalomista del mondo.

Ricordate la prima gif? Qualche somiglianza?!

La restaurazione

Arriviamo al presente. Kristoffersen lavora parecchio in estate sul gigante, la sua sciata gli permette di essere competitivo anche tra le porte larghe e adesso vuole sfidare il rivale per la generale.

Nel frattempo Hirscher si frattura il malleolo in allenamento e la sua preparazione ne risente: alla prima stagionale di Levi è solo diciassettesimo con Kristoffersen terzo. Il passaggio di consegne sembra vicino, nessuno ha idea di cosa sta per succedere.

Il caso vuole che la tappa di Solden venga cancellata per maltempo, il che vuol dire che Hirscher ha altri venti giorni di allenamento post infortunio. A Beaver Creek si presenta in condizioni eccellenti e fa suo il gigante. Kristoffersen incassa. Poi lo slalom di Val d’Isere: ancora Hirscher, ancora secondo l’altro. Alta Badia, Campiglio, lo spartito suona sempre allo stesso modo.

Ma come? Era battuto, Kristoffersen l’aveva spodestato. Invece no. Il Re non si scompone; accusa, vacilla, ma rimane in piedi nell’attesa di riprendersi ciò che gli spetta.

Lo si avverte anche da come approcciano la gara. Hirscher ormai è un veterano: ha la sua routine fatta di esercizi che onestamente tutto sembrano tranne che riscaldamento ma che per lui funzionano. Arriva al cancelletto sereno, si ferma a fare le foto con i bambini, sa cosa fare e come lo deve fare in una routinizzazione della vittoria che fa quasi invidia. L’altro lo soffre. Già un paio di anni prima, in un video realizzato dal suo sponsor, aveva definito il duello con Hirscher “good, huge, and frustrating”.

Arriva a testa bassa, non si ferma per le foto, riceve indicazioni per la pista non dall’auricolare ma dal suo telefono. Sa perfettamente che può batterlo, ma ogni volta che scende gli finisce dietro. Una, due, tre volte, poi l’esplosione a Zagabria. Hirscher si mette davanti per undici centesimi, Kristoffersen non riesce a contenersi.

Boom

Il momento è catartico. Nel clima di sportività assoluta che pervade il mondo dello sci, il norvegese sarà costretto a scusarsi per essere esploso davanti alle telecamere. Da lì in poi prenderà ogni vittoria del rivale come dato di fatto nel più classico dei “bravo lui”. Magari poi in albergo spaccherà ogni cosa, ma al mondo vuole restituire l’immagine di chi è in pace con sé stesso. Non può fare altrimenti, la stagione di Hirscher non ha senso.

Vince (per ora) nove gare stagionali come mai era stato in grado di fare in carriera; ad Adelboden fa 54 eguagliando il record del mitologico Hermann Maier. Passano due settimane e rimane da solo all’inseguimento dell’irraggiungibile record di Stenmark, ritiratosi a quota 86 vittorie totali. Non vuole lasciare niente sul piatto: non ha un atteggiamento conservativo nemmeno quando la situazione lo richiederebbe ed è guidato da una competitività che lo ha sempre accompagnato, ma che adesso viene spinta ai massimi livelli. Il tutto alla soglia dei 29 anni, quando il fisico — logarato da gare, allenamenti e infortuni — dovrebbe dare i primi segni di cedimento.

Kristoffersen, come detto, riuscirà a sottrargli solo la gara di Kitzbuhel e medita il colpaccio in Corea, in una pista sconosciuta a entrambi per rinverdire una rivalità senza la quale lo sci alpino fatica a pensarsi. Anche se in realtà la fine di questo avvincente dualismo rischia di essere vicina. Hirscher non ha dato garanzie sul dopo Pyeongchang, anche se un anno fa nemmeno lui probabilmente si sarebbe aspettato di arrivare all’appuntamento a cinque cerchi in queste condizioni.

Dopo le Olimpiadi ci saranno altre due gare a Kranjska Gora (più le finali di Are) per chiudere la stagione, poi si faranno tutte le valutazioni del caso. Sembra difficile pensare a una rimonta di Kristoffersen sia per la generale, sia per le coppette di slalom e di gigante. Primo Hirscher, secondo Kristoffersen. Una melodia di cui il norvegese probabilmente è saturo. L’austriaco vincerà la sua settima Coppa di Cristallo, due in più di Girardelli e una in più di Annemarie Moser-Proll, diventando l’unico nella storia tra maschi e femmine a raggiungere tale traguardo.

C’è una sola parola per definire un atleta di questo tipo ed è G.O.A.T.

Un momento però.

Hirscher ha mai vinto un oro olimpico? No. E Kristoffersen? No. Quindi il più grande di tutti potrebbe chiudere la carriera senza mai essere salito sul gradino più alto del podio alla kermesse più famosa del mondo? E a sottrargli tale onore potrebbe essere lo sbarbatello che in stagione gli è (quasi) sempre finito dietro?

La gara di gigante è la notte del 17 febbraio, la gara di slalom speciale la notte del 21. Serve altro?

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