Mario Gomez e la ali della Fenice

Crampi Sportivi
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3 min readApr 12, 2016

art by Yuksel14

Di Super Mario che giocano a pallone è pieno il mondo. Tutti questi esseri umani — il cui unico merito iniziale sta nel portare lo stesso nome dell’idraulico più famoso dei videogiochi — spesso, di fronte all’ingombranza di tale nomea finiscono per disattendere la fiducia riposta in loro e, di conseguenza, a favorire l’ascesa in popolarità di un nuovo Mario, che al primo gol diventa ‘Super’. Teoria molto semplice quella del Super Mario, che però ha fatto già diverse vittime. La più celebre ama portare un quattro e cinque sulla schiena.

Tra i vari ricordiamo anche Gomez il bello. Tedesco con nome ispanico e volto ruvido da attore cinematografico western, approdato nel 2013 alla corte dei Medici in pompa magna, dopo un passato di esultanze teutoniche quasi equamente divise tra Stoccarda e Monaco di Baviera. Il Super Mario di turno giunge al Franchi tra i clamori del pubblico, il ghigno di Montella e la paresi facciale dei Della Valle, non curanti dell’assegno staccato da sedici milioni di euro. Un eccezione per i sempre-morigerati calzolai.

La dura realtà — però — è altra cosa rispetto ai funghi 1-Up e il Marione numero 33 passa due stagioni a Firenze tra cliniche e infermerie, tradendo pesantemente gli occhi lucidi dei ventimila presenti alla sua presentazione al Franchi quando gioca le sue quarantasette partite in due anni. Per la cronaca, i gol sono quattordici: quasi uno ogni tre gare. Troppo poco per essere ‘Super’; più giusti per essere ‘Normal’.

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L’estate scorsa lo porta in Turchia, a Istanbul, tra le fila dei bianconeri del Besiktas. Mario ha trent’anni da venti giorni e la sua carriera è a un turning point riconoscibile anche ad occhi chiusi: o la va o la spacca. Gomez sceglie di andare a giocare in una realtà minore e di rimettersi in gioco, dopo che nel 2014, quando i suoi compagni di una vita in Nazionale vincevano il Mondiale, lui era in spiaggia. L’ironia del destino — poi — ha scelto di ferirlo dritto al cuore mandando in gloria un altro Super Mario, mattatore della finale con l’Argentina. «Fa male non essere lì con la mia nazionale perché ci sono stato sette anni. Però ho ancora tempo per vincere un Mondiale o un Europeo (…) il primo obiettivo è partecipare a Euro 2016» chiariva il bomber nel luglio 2014, probabilmente in preda a un cancro interno simile a quello che colpì Bobo Vieri nello stesso periodo del 2006.

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In Turchia la Stella del Potere di Super Mario Gomez si avvicina sempre più. Dopo tre gare di ambientamento — nelle quali subentra a partita in corso — decide di iniziare a fare sul serio alla quarta di campionato, quando ne mette due (su due) con il Medipol Basaksehìr. Quella dopo, con il Fenerbahce, si ripete. Quella dopo ancora, con l’Eskisehirspor, lo fa di nuovo, arrivando a sei timbri in sette partite. Ieri sera il Besiktas ha vinto 3–2 in casa contro il Bursaspor. Inutile scrivere quanti ne abbia fatti il bel Mario; più opportuno notare come li abbia fatti: il primo saltando il portiere in un uno vs uno che in Italia abbiamo visto troppo spesso finire tra le braccia distese dell’estremo difensore sdraiato, il secondo sulla respinta di un rigore, prima sbagliato — tipo con il Parma — ma poi insaccato. Anche in Europa League impone la legge del due, anche se il club va meno bene e finisce fuori ai gironi.

Nella logica del calcio come sport di squadra, il merito è da dividere tra tutti i componenti della rosa, ma se attualmente il Besiktas è in testa alla Super Lig non si può non pensare immediatamente ai ventuno gol di Mario; capocannoniere del torneo, davanti a un Samuel Eto’o che è tornato a vedere la luce in quel di Antalya. In totale, in stagione, per Gomez le marcature sono ventitré in trentacinque: non male per un bollito.

Fatta chiarezza in campionato, a Super Mario restava una questione in sospeso: la Nazionale. Cinque presenze negli ultimi tre anni, per uno come lui, sono davvero uno smacco importante. Specie se la selezione, con il tramonto di Klose, non ha veri e propri uomini a presidiare ‘l’area degli altri’. Esattamente come ha fatto lui contro l’Inghilterra, quando ha incornato il cross di Khedira nella serata in cui a prendersi i titoli sono stati — giustamente — Jamie Vardy e Harry Kane. Del resto, lui non ne aveva bisogno, anche se non segnava da quasi quattro anni con la Germania; anche se forse quel riscatto del Besiktas, fissato dalla Fiorentina a 1000 euro, qualche spiccio in più se lo sarebbe meritato.

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Articolo a cura di Lorenzo Dragoni

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