Mertens prossimo re del mondo

Crampi Sportivi
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6 min readDec 21, 2016

Il popolo napoletano ha sempre nutrito una passione spasmodica per i propri beniamini calcistici, ma c’è da dire anche che in quanto ad attaccanti iconici è stata praticamente benedetta dalla provvidenza. Solo nell’era De Laurentiis si sono susseguiti finora, nell’ordine: Lavezzi, Cavani e Higuain, calciatori che con un gol o un gesto tecnico sublimano il modus vivendi napoletano, lo sintetizzano e lo traspongono, dalla strada al campo di gioco. Con i sette gol in sette partite conseguiti a ridosso del Natale 2016, è il momento di “santificare” anche Dries Mertens.

A Napoli è frequente rifarsi alla smorfia per interpretare fatti che altrimenti sarebbero complessi da decifrare, mentre per il periodo d’oro di Mertens vige un discorso diverso. Il numero 14 del Napoli è riuscito a mettere a segno sette gol in sette giorni, un’impresa che ha rinnovato parecchi paragrafi del libro dei record.

Proprio per questo Mertens ha consumato un rito riservato a pochi eletti. Quindi più che alla smorfia preferisco affidarmi ad un orientamento spirituale per disegnare la settimana da dio vissuta dal folletto. Nell’esoterismo il 7 è considerato il numero perfetto, saldatura tra umano e divino. In effetti Mertens che gira per le strade della città, magari con una pizza fritta in mano, oggi rappresenta un’icona (per quanto, invero, difficile da esperire nel mondo reale) a metà tra l’umano e il divino.

Il momento positivo di Mertens, congiunto col periodo di assenza di Milik, ha fatto sì che il Napoli non perdesse punti nella corsa allo scudetto, o per lo meno nella rincorsa al piazzamento in Champions. Per l’ennesima volta i dettami di gioco hanno prevalso sulle caratteristiche individuali dei giocatori in rosa. Ancora una volta Maurizio Sarri ha dimostrato lungimiranza, preferendo il belga a Gabbiadini nel centro dell’attacco partenopeo, optando per un tridente “leggero” con Mertens ad agire come falso nueve. Anche se il kabouter — lo gnomo, come lo aveva definito maliziosamente l’opinionista olandese Johan Derksen — , è ormai a suo agio nel ruolo di finalizzatore della manovra azzurra, con una media molto vicina a quella di Higuain nella Serie A 2015/16.

El Pipita ha concluso la sua ultima stagione a Napoli con 36 gol in 35 partite e una media monstre di una rete ogni 83’ di gioco (2.974’ in campo). Il belga, anche se su un campione statistico ridotto, calcolato subito dopo il poker al Torino, ha messo a segno 10 gol in 15 partite, l’equivalente di una segnatura ogni 91’ (913’ disputati). Se facciamo un passo indietro, alla stagione 2012/13, quella più gloriosa dal punto di vista realizzativo per Cavani, notiamo come l’uruguaiano dalla fama di attaccante spietato, abbia messo a segno 29 reti in 34 match, quindi un sussulto di gioia napoletano ogni 103’. Alla faccia del falso nueve.

I 4 gol segnati al Torino e i primi tre in 22’ rappresentano la quarta tripletta più veloce del campionato italiano, il più veloce è stato Valentino Mazzola con 3 gol segnati in appena 2 minuti di un Torino — Vicenza (6–0) nel 1947. Tripletta realizzata in un arco di tempo totale di 9’, cosa che non capitava dal 2000 con i 3 gol di Andriy Shevchenko in 7’ (dal 69’ al 76’ contro il Perugia). Come detto, Mertens ha costretto i feticisti dei numeri ad aggiornare parecchie voci del libro dei record, a dimostrazione dello strapotere tecnico e tattico del belga in questa fase della competizione.

Ma al di là dei numeri, Mertens ha aperto un buco nero, uno squarcio che per un attimo risucchia la normalità del calcio. Un argomento che le future generazioni potrebbero trovare nei libri di scuola, con ampie diramazioni filosofiche.

Queste sono 3 ipotesi in cui il ragazzo di Leuven irrompe all’interno della sfera politica, comunicativa e artistica.

Non solo in quelle.

Mertens e il potere secondo Max Weber

Se Hamsik dovesse abdicare oggi, il trono, la corona e lo scettro della Napoli calcistica andrebbero in mano a Dries Mertens. Il filosofo tedesco Weber aveva ricostruito il potere attraverso le relazioni con cui si questo si instaura. Tra le 3 forme “ideali” di supremazia che Weber aveva designato, quella che appartiene al belga è senza dubbio di tipo legale — razionale.

Questo tipo di “obbedienza” è tipica delle società moderne, aggettivo utile per definire il gioco del Napoli. Il potere legale è indirizzato verso l’uso della razionalità che sovrasta lo scopo.

Un sistema che ammette la meritocrazia e si lega però ad un’unica arma che è la burocrazia. Così come Sarri costruisce la propria legittimazione sorretta dalle fondamenta di precisi principi di gioco, Mertens si ritrova a sostituire Milik secondo una logica ben precisa, e la meritocrazia sta in quello che il 14 sta combinando in campo. In un sistema razionale come quello disegnato da Sarri, dove il principio prevale sulla caratteristica del singolo, uno come Mertens non trova problemi in un ruolo che apparentemente non è suo.

Mertens e la comunicazione empatica

Questo tipo di comunicazione si estende nella consapevolezza di se stessi e nell’ascolto di un’altra controparte. Nel caso napoletano, Mertens si dimostra profondamente consapevole e intelligente conoscitore dei propri limiti. Giocare da punta centrale emulandone movimenti e fisicità, sarebbe inopportuno per il belga che infatti si riadatta al nuovo ruolo.

Fondamentale diventa l’ascolto dei giocatori del Napoli nei confronti di Mertens e della sua ricerca continua della profondità. Se non altro l’attaccante partenopeo ricambia solo verso la porta e se proprio deve compiere un passaggio negli ultimi 20 metri, lo fa al portiere avversario.

È con la porta avversaria e il gol che Mertens riesce a concepire una conversazione in cui i due interlocutori decodificano i propri messaggi alla perfezione: anche se inconsapevolmente, l’ultimo Mertens cerca sempre la porta e quest’ultima vuole solo comunicare con lui. Quella empatica è una comunicazione che non prevede una strategia o tecniche per migliorarla. Questo tipo di interazione è suggellata da un filo diretto, dettato dall’inconsapevolezza.

“Non mi rendo conto di quello che ho fatto oggi: devo andare a casa e pensarci un po’. Sono molto contento” — ha dichiarato inconsapevolmente Dries.

Mertens e il dadaismo

Il dadaismo rifiutava gli standard artistici e riproponeva opere contro l’arte stessa. Gli artisti dada ripudiavano e disgustavano le usanze passate. Ora sostituite dadaismo con mertensismo e aggiungeteci il ripudio verso l’interpretazione del ruolo di attaccante alla maniera classica. Mertens riprende i gesti di Cavani, Higuain e Milik e li stravolge a modo suo, scrivendo un manifesto personale dedicato all’arte di attaccare.

Mertens interiorizza l’arte dell’attaccante per poi partorire un’idea del ruolo più sensibile e meno fisica, più estrosa ma meno istintiva.

Dopo un movimento a fisarmonica verso il portatore di palla (cosa che si richiede ad una prima punta), Mertens ribalta di nuovo la concezione del ruolo e dimezza la distanza che lo separa dalla porta con una giocata che boh, è puro istinto e sicurezza nei propri mezzi. Un attaccante “classico” si sarebbe orientato “sentendo” il corpo del difensore avversario, mentre Mertens preferisce sempre anticipare la marcatura asfissiante del suo difendente e giocare a farsi rincorrere.

Dal suo arrivo in Italia, così come nell’esperienza olandese, Dries Mertens si è evoluto gradualmente, e da dodicesimo uomo dello scacchiere napoletano, oggi è riuscito a rubare la scena a tutti compagni di squadra. Mertens è capace di tutto. Potrebbe relegare in panchina Milik quando recupererà dall’infortunio, come potrebbe tornare a fare di tanto in tanto la riserva di lusso in una squadra che deve a tutti i costi risalire in classifica.

L’unica cosa sicura è che dopo questa frantumazione improvvisa dei propri confini calcistici, qualsiasi direzione sportiva prenda il suo futuro nel Napoli, niente sarà destinato a rimanere uguale a sé stesso troppo a lungo.

Articolo a cura di Luigi Di Maso

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