Misurare la propria Mole

Crampi Sportivi
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4 min readDec 12, 2016

Il derby giocato allo stadio Gran Torino è stata la sfida numero 192 tra il Toro e la Juventus, e se escludiamo la sfida giocata allo Stadium nella scorsa stagione, questa era la partita in cui alla vigilia nessuna delle due squadre partiva nettamente favorita. Il Torino quest’anno ha dimostrato di potersela giocare con tutti, grazie a una campagna acquisti finalmente completa e all’esplosione di Belotti. La Juventus invece arrivava al derby in una fase di discontinuità, più dal punto di vista del gioco che dei risultati. Tra l’altro i bianconeri finora avevano perso due volte nella giornata successiva al turno di Champions League, quindi preoccupazioni e scongiuri erano d’obbligo.

Tanto più che il derby della Mole è stata una partita aperta in cui sia Il Torino che la Juve hanno dato l’impressione di poter determinare il destino del match in proprio favore. Le squadre in campo hanno giocato con due moduli uguali sulla carta, ma effettivamente non a specchio durante gli sviluppi posizionali del match. Se Mihajlović ha perseguito la strada della continuità con il tridente, preferendo la qualità di Baselli alla quantità di altri giocatori a disposizione per il centrocampo, Allegri ha provato ad adattare il proprio sistema di gioco a seconda dell’avversario di giornata. Il tridente mascherato con Higuain, Mandzukic e Cuadrado era sorretto da una difesa a 4 e dagli innesti di giocatori come Sturaro e Kheidira. Anche Marchisio, oltre alla fase di impostazione, non è stato relegato a grossi carichi offensivi.

Ma in un derby tanto incerto ci sono stati almeno tre fattori che hanno concesso alla Juve di imporsi.

#1 L’ampiezza di gioco

La scelta di Allegri di optare per una difesa a 4 ha determinato una buona parte della fluidità della manovra bianconera. Senza i registi bassi Bonucci e Dani Alves, la Juve non poteva che fare di Marchisio il proprio metronomo di centrocampo. Dalla sua il numero 8 juventino ha potuto godere delle linee di passaggio create da Alex Sandro e Cuadrado. Anche Dybala nell’occasione del terzo gol ha propiziato l’azione partendo con i piedi quasi sulla linea laterale di destra.

Il Torino che in altre partite ha trovato in Falque e Ljajić gli sbocchi offensivi migliori, questa volta si adopera dal basso con terzini e interni di metà campo. Soprattutto nel primo tempo e nella fase finale di partita, prima del secondo gol di Higuain, l’arma in più dei granata è stata la corsia di destra dove a uno Zappacosta proiettato spesso in avanti, anche per respingere Alex Sandro, si è aggiunto Baselli come nella situazione del gol di Belotti. Entrambe le squadre hanno creato metà dei gol e occasioni pericolose della partita sulle corsie, trafficando l’area di rigore più che il centrocampo.

#2 I duelli individuali

I moduli di gioco speculari ma con applicazioni diverse, hanno creato duelli individuali ben distribuiti sul campo e nell’arco di gran parte della partita.

La partita dinamica di Baselli ha costretto il centrocampo Juve ad una prestazione eccessivamente relegata alla fase di contenimento per certi tratti di partita. Chiellini e Rugani reggono bene la retroguardia juventina annullando le ali del tridente granata concentrandosi su un iracondo Belotti. Lichtsteiner invece è da rivedere: sia nel gol del Torino che nella ripartenza d Ljajić al 73’ (ancora sul risultato di pareggio) lo svizzero sbaglia i tempi di copertura. Zappacosta riesce a contenere e a scavalcare Alex Sandro in uno dei duelli nevralgici dei novanta minuti.

Nelle ultime partite della Juve Higuain è stato “costretto” per principi tattici a giocare ad inizio azione lontano dalla porta avversario; nelle ultime 8 partite di campionato aveva messo a segno appena una rete. Con la Dinamo e col Toro invece ha avuto almeno due compagni pronti a girargli attorno, così il Pipita ha potuto soffermarsi sulle debolezze dei propri marcatori e segnare 3 gol in due partite.

#3 La piccola rivoluzione dettata dalle sostituzioni

“Non mi accontentavo, noi stavamo premendo e allora ho provato a vincerla. Poi abbiamo preso gol e non siamo riusciti a ripartire. Non mi rimprovero la scelta, non me ne frega niente”. Sinisa Mihajlovic ha spiegato così il triplo cambio effettuato all’ottantaduesimo. Una cosa del genere quest’anno l’aveva provata solo De Boer contro il Pescara, tra l’altro con esiti molto più fortunati rispetto al mister serbo.

In effetti il Torino subisce il gol del 2 a 1 pochi secondi dopo l’ingresso in campo di Boyè, Martinez e Acquah al minuto 82. Ma a tessere la trama vincente nel derby non sono stati i cambi di Mihajlovic, che non avranno influenzato positivamente il finale, ma allo stesso modo non si può dire nemmeno che siano stati i fattori della sconfitta. La piccola rivoluzione, per quanto riguarda le sostituzioni, la compie invece Allegri, che capovolge l’idea di inizio gara inserendo prima Dybala e poi Pjanic, rispettivamente al ’71 e all’80 per sostituire Mandzukic e Cuadrado e passare al 4–3–1–2. La scelta di aumentare la qualità in campo nel momento migliore del Torino è una soluzione perfetta per gestire in maniera più fluida le transizioni offensive, sfruttando così lo sbilanciamento di Belotti e compagni. Il compimento perfetto per un sistema passivo-aggressivo come quello della Juventus.

L’era post Ventura poteva rappresentare un’incognita in casa Torino, ma la società di Cairo ha saputo preservare l’eredità offensiva e quanto fatto di bene dall’attuale tecnico della nazionale. Lo stesso Mihajlovic ha conciliato la sua solidità difensiva alla struttura degli ultimi anni del Torino e sta gradualmente evolvendo il suo sistema di gioco ampliandone la fase offensiva.

La Juventus e Allegri hanno dato invece un’altra piccola dimostrazione di miglioramento sequenziale, se così possiamo definirlo, che ha caratterizzato le ultime uscite. Le idee in campo sono sembrate più nitide, e più efficaci. Se la Juve si abitua ad avere le idee più chiare, da qui a gennaio quando l’infermeria sarà svuotata, potrebbe essere sempre più difficile toglierle punti.

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