National Basketball Animation

Gabriele Anello
Crampi Sportivi
Published in
7 min readApr 27, 2018
© Bleacher Report

Non è facile maneggiare uno strumento sfuggente come l’ironia. Ho sempre trovato difficile capire come usarla, perché in fondo l’ironia — potente se ben fatta, ma misera se mal costruita — non dipende solo da chi la fa, ma anche da chi la subisce. O almeno sembra esser così nel nostro paese, nel nostro ambiente culturale. Lo stesso che sembra aver spazzato un genere come la satira (la cui parte più pungente è sparita dal mainstream) e ha di fatto promosso la parodia e l’intrattenimento leggero all’ennesima potenza.

Lo stesso si può dire dell’ironia applicata allo sport. Anzi, è un concetto che incontra ulteriori difficoltà a farsi largo. Tra persone che non sanno stare allo scherzo, partite che sono tutte “finali” (o che ne hanno l’importanza, sempre e comunque) e situazioni che sfiorano il grottesco (da ultimo il caso-Buffon e la pattumiera che porterà per sempre con sé nell’immaginario collettivo), siamo arrivati a produrre una narrativa ironica nello (e sullo sport) da panorama culturale di Serie B.

Se alcuni capolavori di Serie A Memes (sotto un esempio) sono il risultato di alterazioni culturali ben studiate, il paesaggio sembra esser ben più avvilente: tra brutti, ignoranti, nostalgici, facili ironie (senza sforzo) e parodie (il genere più inflazionato della storia), non sembra esserci una via d’uscita.

Attenzione: non sto condannando l’intrattenimento leggero. Tutti abbiamo diritto a scegliere le clip-prank quanto i melting pot calcistico-culturali. Ma se nel difendere la libertà di esistere delle prime ammazziamo la creatività dei secondi, c’è qualcosa che non va.

Non devo fare per forza l’esterofilo, ma a guardar fuori qualcosa si trova. Forse anche per la sua conformazione più easy-going, la NBA e i suoi protagonisti si sono spesso prestati all’ironia in maniera meno sfuggente. Dai commercials dei San Antonio Spurs a tanti bravi social media manager (come quello dei Portland Trail Blazers: cash considerations, baby), la massima lega di basket in America sembra stare un passo in avanti. Credo che quel passo, per ora, sia tenuto solo da alcuni SMM in Germania, tipo al Bayern Monaco o al Gladbach.

Forse per questo, forse per altro, negli States è potuto nascere un progetto che sembra ormai aver conquistato un suo spazio. Chi è dentro le vicende NBA in maniera completa, deve aver sentito parlare di “Game of Zones”, la famosa striscia prodotta da Bleacher Report che incrocia una delle serie più celebrate degli ultimi anni con gli inside jokes che qualunque serio appassionato della NBA potrebbe già aver sentito.

Per comprendere meglio questo fenomeno di culto — che è diventata una vera serie, con tanto di trailer e hype d’attesa, manco fosse Westworld –, abbiamo scambiato due parole con i suoi creatori. Adam e Craig Malamut sono due fratelli che sono partiti da lontano e forse neanche loro si sarebbero aspettati un’evoluzione come questa:

«Poco prima di creare GoZ, siamo diventati fan di “Game of Thrones”. Volevamo fare qualcosa con lo stesso spirito e quando Bleacher Report ci ha cercato per una collaborazione, abbiamo proposto loro l’idea di fondere quell’ambito seriale con lo sport. Era il tempo dei play-off NBA e ci è sembrato il mix più naturale».

Non a caso, GoZ ha persino ottenuto la nomination per un premio Emmy nel comparto sportivo. E non con un episodio qualsiasi, ma con “Father of Balls”: un capolavoro.

B/R sta dimostrando di avere una visione, una prospettiva quasi futuristica. L’entertainment sportivo ha un futuro e Bleacher Report ha dimostrato di saper vedere lontano, puntando con audacia su un prodotto che era un investimento con mille dubbi, ma che ora potrebbe diventare parte integrante del racconto sportivo: «L’animazione è un modo potente per raccontare lo sport: permette agli atleti di posizionarsi all’interno delle storie — ci racconta Adam in un breve colloquio via e-mail –, senza doversi preoccupare della loro disponibilità o delle loro capacità interpretative. Certo, scrivere, recitare e dirigere un progetto d’animazione non è facile: è importante, ma difficile, avere il giusto talento per farlo. Ci sono più esempi d’animazione sportiva confezionata in maniera approssimativa rispetto a quelli ben fatti».

Non si può però produrre un buon prodotto senza la giusta gavetta. I fratelli Malamut — originari di Philadelphia, fan degli Eagles e innamorati di Allen Iverson — hanno inserito il loro umorismo e sarcasmo in quest’opera. Un successo a cui ha contribuito anche la diversa atmosfera in NBA. Parlando con loro, ho fatto presente il fatto che difficilmente i giocatori del nostro campionato o in generale in Europa si presterebbero a una serie così. Un atteggiamento diverso da quello dei Warriors, che — tramite lo stesso Steve Kerr, head coach di Golden State — si sono prestati per uno speciale episodio nell’estate 2015, condividendo persino tic e frasi speciali nello spogliatoio.

«Non è una domanda facile a cui rispondere essendo americani, perché non siamo familiari con la cultura che circonda lo sport in altri paesi. La NBA è una lega progressista e Golden State ha una cultura irriverente, divertente e capace di stare al gioco. Il fatto che i Warriors — i loro giocatori, lo staff — siano stati in grado di ridere di se stessi… penso che dica molto sulla cultura che c’è nello sport americano, non solo nella NBA».

Già, perché i Malamut non sono alla prima esperienza con il mondo professionistico dello sport americano. Hanno già lavorato su “Gridiron Heights”, incentrato però sulla NFL (la lega nazionale di football), un’occasione per riscontrare lo stesso spirito: «I giocatori della NFL hanno gradito il cartone, nonostante tirasse loro delle frecciatine. Ci sono molti club calcistici molto popolari in Europa, quindi credo che ci sia qualcuno di loro con una capacità di ridere di se stessi — ci dice sempre Adam, molto disponibile –. Altri magari non sono pronti, ma penso che la reazione di fronte a tutto questo dipenda più dalla personalità degli atleti e dalla cultura del club rispetto alla lega nella quale giocano o al paese nel quale vivono».

Un esempio, sempre prodotto da Bleacher Report.

Nel produrre uno show del genere, inevitabilmente si prende a modello anche ciò che ci ha formati e condizionati. Ho voluto chiedere ai fratelli Malamut cosa li abbia ispirati nella creazione di GoZ: «Siamo sempre stati grandi fan di Trey Parker e Matt Stone (i creatori di “South Park”) — ci dice Craig, una laurea magistrale in astrofisica (aggiungo io: !) –, soprattutto per la loro satira tagliente e senza paura. Allo stesso modo, ci è sempre piaciuto il lavoro di Mike Judge (il creatore di “Silicon Valley” e “Beavis and Butthead”), che ha uno sguardo variegato e intelligente ai suoi personaggi e al contesto sociale. E ovviamente George R.R. Martin, che ha sempre mostrato un incredibile livello di profondità negli universi che ha creato per le sue storie, supportate da una marea di ricerche».

Adam va anche più in profondità: «Con Craig, come fratelli, abbiamo speso la nostra intera esistenza a discutere tutto ciò che ci piaceva e quello che non ci convinceva dei film e degli show che abbiamo guardato. Quando lavoriamo, cerchiamo di lasciarci guidare dal nostro gusto personale, anche se è qualcosa che può sembrare assurdo come il basket medievale». E poi mi lancia una massima personale, ma che vale anche (e soprattutto) per la vita:

«Se lavoriamo, vogliamo produrre qualcosa che sia interessante per noi. Non ci piace esser accomodanti: scriviamo per noi e per i nostri fan più svegli. Ci piacerebbe scherzare al di là della comprensione delle persone piuttosto che colpire lì dov’è più facile (e quindi più accessibile per tutti)».

La curiosità era anche per l’episodio preferito. Al di là della nomination di “Father of Balls”, la mia preferenza è sempre caduta su “Trade Winds”, quarto episodio della stagione scorsa, che ritrae un Bojan Bogdanović ritenutosi miracolato a lasciare i Brooklyn Nets — «This is the worst franchise ever!» — e una trade improvvisata tra Toronto Raptors e Orlando Magic. Se nella realtà quella ha portato Serge Ibaka dalla Florida al Canada, il finale è esilarante (e non ve lo spoilero).

Kyle Lowry: «Possiamo scambiare Drake?». DeMar De Rozan: «No, non credo…».

Per realizzare tutto questo e passare da una striscia occasionale a otto episodi a stagione, anche il team si è allargato. Le scadenze sono aumentate e posso immaginare quanto sia complicato gestire tutto questo. I Malamut ci raccontano il loro processo creativo: «Quando io e Craig abbiamo cominciato a lavorare su GoZ, ci occupavamo di ogni parte del processo di produzione: ci venivano le idee, scrivevamo le sceneggiature, facevamo le voci e tutte le animazioni. Era stancante per ovvie ragioni. Adesso abbiamo un apposito team, ma a modo suo la stanchezza è rimasta la stessa, anche se per diverse ragioni — scherza Adam –. Dobbiamo consegnare più episodi (10 episodi da fare in sei mesi); quando eravamo solo noi due, facevamo 2–3 puntate. Le aspettative dei fan e della nostra compagnia sono molto più alte ora. Il team ci permette di animare l’intera stagione, ma c’è poca flessibilità nella programmazione, così è una lotta continua contro il tempo».

C’è soprattutto un’altra problematica: «La parte più difficile è delegare. Abbiamo delle persone fantastiche che lavorano con noi in questa stagione, ma vogliamo sempre che tutto sia perfetto, esattamente come l’abbiamo immaginato. Quando hai un intero team che lavora insieme su tanti episodi, diventa difficile delegare tutto. Ogni tanto abbiamo problemi nel gestire lo stress del non riuscire a massimizzare ogni dettaglio».

Verrebbe da dire che i fratelli Malamut hanno messo in piedi un’impresa non facile: concentrare ulteriormente l’attenzione dei fan su una delle leghe più famose al mondo, ma con una chiave di lettura diversa (l’animazione), che comunque non rinuncia al mainstream (“Game of Thrones” ha vinto 38 Emmy, BTW). Per loro — nativi di Philadelphia –, il 2018 sta andando alla grande in campo, visto che gli Eagles hanno vinto il SuperBowl e i 76ers sono ai play-off con un ruolo importante.

Chiedo loro se non c’è qualcos’altro che desidererebbero, che non hanno ancora realizzato e che magari vorrebbero compiere nel loro futuro. Adam scherza sul riferimento sportivo a Philly La mia vita è stata definita dai fallimenti sportivi di Philadelphia») e mi risponde schiettamente: «Mi sto godendo questa nuova golden age della città: trattiamo ogni team in maniera equa e proviamo a esser ironici su Philadelphia quando è appropriato. Per GoZ abbiamo idee folli per alcuni episodi e altre persino oltre. Ma non voglio rovinare la sorpresa…».

Già, perché gli appassionati — ora persino riuniti in un gruppo Facebook, creato appositamente da B/R — sono ormai diversi. E immaginare un calo, arrivati a questo punto, sembra onestamente impossibile.

--

--

Gabriele Anello
Crampi Sportivi

Ha il passaporto italiano, ma il cuore giapponese | RB Leipzig, J. League Regista, Calcio da Dietro | fmr. Ganassa, DAZN, MondoFutbol.com, Crampi Sportivi