Nomen omen

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readFeb 19, 2016

Si dice che la tua popolarità — almeno quella mediatica — si misuri in maniera tangibile quando sei presente a certi eventi. Vedere l’ultimo Juve-Napoli allo Stadium non è equivalente al Superbowl, ma farlo accanto a Sergio Marchionne e Andrea Agnelli ha il suo peso. Specie se ti chiami Maurizio Arrivabene.

Il Mondiale di Formula 1 inizierà tra un mese, eppure la Ferrari si presenta con ben altro piglio rispetto al 2015, quando la storia raccontava di una squadra allo sfascio, di un cambio dirigenziale (via Montezemolo dopo 23 anni) e di un nuovo team manager. Inesperto nel mondo delle corse, come il suo predecessore.

Solo che Marco Mattiacci non ha dato mai l’impressione di essere un decisionista, uno che avesse in mano il polso della situazione. Arrivabene è abituato a comandare, seppur nell’ombra. E così il 2015 della Ferrari si è trasformato in un sogno a occhi aperti.

«Ah, è ora di andare? Bene così».

Questo perché Arrivabene ha lavorato per anni nell’ambito sportivo dopo aver vissuto nel mondo del marketing: Philip Morris, Marlboro Global Communication, consigliere d’amministrazione della Juventus. Anche in Formula 1 c’era già stato, ma per occuparsi prettamente di sponsor.

Un curriculum pesante. Tuttavia, se si cerca qualcosa su di lui prima della sua nomina a team manager della Ferrari, i risultati sono piuttosto scarni.

E allora come ha fatto un perfetto sconosciuto della pista (almeno nelle corse) a cambiare la Ferrari e la sua storia recente? Com’è possibile che Sebastian Vettel si presenti con qualche speranza di titolo e che persino Kimi Raikkonen sia ancora alla guida della Rossa?

Buona parte del merito è proprio dello “sconosciuto” di cui sopra. Che ha nel suo nome una sorta di presagio, come dicevano i latini.

Tutti importanti, nessuno indispensabile

Più che il titolo di un paragrafo, potrebbe essere la frase che sentenzia la finora breve carriera manageriale di Arrivabene. Arrivato in Ferrari nel novembre 2014, con Alonso in partenza verso un anno da incubo, il nuovo team manager si è trovato una tavola già apparecchiata.

Il piano di prendere Sebastian Vettel era già andato in porto. Su Kimi Raikkonen, reduce da un anno tremendo, c’era invece qualche perplessità. Dopo un biennio grandioso alla Lotus, il finlandese era sembra indolente, lento, letteralmente inesistente rispetto ad Alonso (-106 punti in classifica).

Eppure Arrivabene non ha mai dubitato troppo sulla sua permanenza. L’ha coccolato, stimolato, bastonato quando ce n’era bisogno. Risultato: +95 punti rispetto al 2014, tre podi (tutti nelle gare notturne) e addirittura un po’ di simpatia che fuoriesce da quei pori finnici.

«Sono contento che Kimi sia rimasto: è importante avere un equilibrio nella squadra». Ogni riferimento alla Mercedes è un caso.

Il feeling tra i due è partito a rallentatore: Vettel, dall’alto dei suoi quattro titoli Mondiali, avrebbe voluto cambiare qualcosa immediatamente per adattarlo alle sue routine. In realtà, Arrivabene l’ha stoppato e l’ha convinto a farsi un giro per la fabbrica di Maranello. Il risultato l’ha descritto lo stesso Arrivabene: «Da quel momento, Seb è diventato il tifoso numero uno della Ferrari».

Poi è stato un crescendo continuo, nonostante al boss della Formula 1 Bernie Ecclestone non piaccia l’accoppiata. Abbracci per tutto l’anno, parole al miele per le gesta del tedesco, tre vittorie e 13 podi in tutto il 2015.

E anche qualche scherzo.

Il Grinta

In Brasile, a stagione quasi finita, Arrivabene aveva ben chiaro quale fosse stato il suo merito: «Quando guardavamo le gare da casa, pensavamo che il team manager dovesse dare istruzioni alla squadra. In realtà non credo sia così: devi fare in modo che tutto vada come stabilito nei meeting. Se i piloti non rispettano queste regole, devi intervenire». Insomma, un fine gestore psicologico.

Qualcosa che era sembrato mancare nelle gestione precedenti. Non ci riferiamo neanche tanto a Marco Mattiacci, quanto a Stefano Domenicali: sotto la sua gestione da team manager, la Ferrari ha vinto un titolo Costruttori, ne ha sfiorati tre piloti, ma soprattutto ha dato l’impressione di gestire gli equilibri di squadra solo perché una superstar (Alonso) era affiancata da uno che ha l’etichetta da seconda guida appiccicata addosso (Massa).

«Oh, Kimi, daje un po’: oggi ti voglio raggiante».

Quando era arrivato nel novembre 2014, Arrivabene era stato chiaro: «Il nostro obiettivo? Se riuscissimo a vincere due Gran Premi, sarebbe un successo. Con tre potremo parlare di trionfo. Con quattro sarebbe il paradiso».

Alla fine le vittorie di Vettel in Malesia, Ungheria e Singapore hanno confermato che c’è del buono dietro al nuovo corso Arrivabene. Un corso targato dalla grinta, dal non accontentarsi mai pur tenendo presente le aspettative.

Metteteci sotto questa canzone e andate in loop prima di un GP.

L’ha fatto capire dalla prima qualifica dell’anno, in Australia. Con Vettel e Raikkonen quarto e quinto, Arrivabene non si è nascosto: «Non penso all’anno scorso, ma questo. E non tiro nessun sospiro di sollievo… anzi, sono un po’ incazzato, perché potevamo esser messi meglio!».

Capace di alternare a modo il bastone e la carota, la squadra viene prima di tutto per Arrivabene. Anche prima della classe di Vettel. Anche prima dei sogni di titolo, da tener lontani se non si ha la possibilità reale di perseguirli.

The Beautiful One

L’uomo guida della Ferrari è in una linea a metà tra il pragmatico e il fascinoso, tra la squadra sopra ogni cosa e la bellezza del vivere alcuni momenti. Un po’ Jose Mourinho, con una massima qua e là per i media e per i suoi ragazzi. Un po’ belloccio, che nel marketing conterà pure qualcosa.

Il lato alla Mourinho è venuto fuori diverse volte nella sua prima esperienza da team manager. La squadra va sempre difesa agli occhi degli esterni, ma bisogna rimproverare gli errori quando qualcosa non va come deve.

Una massima per i suoi collaboratori: «A loro dico di non preoccuparsi quando urlo, perché fa parte del mio carattere. Si devono preoccupare quando non parlo più con loro: vuol dire che non voglio perdere più tempo».

Al tempo stesso, l’aver lavorato nel settore marketing per più di metà della sua vita permette ad Arrivabene di aver sempre la battuta a effetto pronta tra le sue frecce. Qualcosa che sembra sempre preparato prima.

«La macchina dell’anno scorso era brutta e perdeva pura. Questa Ferrari, invece, è veramente bella. Direi sexy». Marketing puro.

Quando la Manor continuava a chiedere collaborazione alla Ferrari (prima di rivolgersi alla Mercedes) nonostante problemi economici, Arrivabene tira fuori la massima di turno in conferenza stampa: «No money, no honey». Ci siamo capiti benissimo.

Dopo il 2015, si ha quasi l’impressione di aver assistito alla nascita di qualcosa di nuovo. Al di là di quel che sarà la sua carriera in questo ruolo, Arrivabene rappresenta qualcosa di diverso nella categoria dei team manager.

Assieme a questo, Arrivabene ha saputo costruirsi anche qualche momento di leggerezza, come il saper sdrammatizzare il fatto di esser stato quasi investito da Massa ai box del GP d’Austria.

Ron Dennis, Jean Todt, Christian Horner, Martin Whitmarsh, Frank Williams sono tutti esempi diversi della stessa pasta: il team manager dev’esser distaccato, al suo posto di comando, facendosi sentire solo quando è scontento. Se si vince, le frasi di rito sono pronte.

Eddie Jordan e Flavio Briatore erano personaggi particolari, ma avevano un che di esagerato. Invece di Arrivabene si sa poco e mantiene un profilo basso, alzando il tiro solo quando si tratta di difendere la propria squadra o inneggiare ai propri piloti.

«Questa non è la macchina di Mattiacci o di Arrivabene: è la macchina della Ferrari».

La Ferrari si prepara a un 2016 d’assalto. Arrivabene gioca mettendo le mani avanti («I test diranno dove siamo»), ma Marchionne si aspetta che la Ferrari dia ancora più filo da torcere alla Mercedes.

Si capirà anche se — di fronte alle pressioni di un anno da contender — Arrivabene e la sua Ferrari reagiranno al meglio alle eventuali difficoltà. In ogni caso, quando il destino è raccolto nel tuo (cog)nome, non puoi aspettarti sorprese.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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