Non è un Paese per cammelli

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readSep 12, 2016

Nessun popolo come gli argentini è magneticamente attratto dalla novità e, al contempo, sistematicamente spaventato dall’abbandonare la via battuta. Meno riformisti dei vicini uruguagi, molto più romantici dei brasiliani, molto meno locos dei cileni. La nazionale argentina viene da tre finali perse in modo sanguinoso, l’ultima delle quali aveva convinto Lionel Messi a smettere di indossare la camiseta albiceleste. Tutto sembrava apparecchiato per un nuovo, turbolento, inizio sotto la guida carismatica di Marcelo Bielsa. Tuttavia le storie rioplatensi non seguono mai la normalità degli eventi, spesso tendono anche a distorcere la realtà pur di renderla più affine al loro modus vivendi. Lucas Pratto è una storia tipicamente argentina, come quella di Martin Palermo o di Juan Roman Riquelme, idoli assoluti di una tifoseria che trasuda gloria per chi si affermi sul suolo argentino prima di andare eventualmente in Europa (ogni riferimento al 10 del Barcellona non è casuale). La squadra aveva bisogno di tornare alle origini, alla Garra Charrùa, per di più contro l’Uruguay. Nella lista del neo ct Bauza non c’è Higuain, come non c’è Aguero (infortunato) o Calleri o Icardi. È un po’ quello che fece Maradona per qualificarsi al mondiale sudafricano. Solo che al posto del Titán Palermo adesso c’è El Camelo Pratto.

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Già dal soprannome si dovrebbe intuire che non stiamo parlando di uno degli attaccanti più forti dell’ultima decade. Fino a un paio di anni fa era solo un corpo estraneo passato per caso da Genova, dove con il Grifone aveva indossato la maglia numero 2 con la quale aveva segnato appena tre gol tra campionato e Coppa Italia. Nemmeno da ragazzo era riuscito a creare sufficiente interesse durante il suo percorso di crescita. Scartato dall’Estudiantes, ingaggiato dal Boca (squadra per la quale fa il tifo) non fu mai in grado di convincere la dirigenza xeneizes a puntare su di lui. Si hanno testimonianze anche di un prestito in Norvegia, al Lyn, dove di lui si ricorda soltanto Petter Veland, un telecronista norvegese che ci ha tenuto a congratularsi su Twitter per la chiamata in nazionale.

L’unico sprazzo di luce apparve in Cile, all’Universidad Catolica, dove il ragazzo gioca un calcio estemporaneo, divertente e anche prolifico. Grazie ai 12 gol e 7 assist stagionali vince anche il premio di miglior giocatore straniero della lega, abbastanza per convincere lui e il suo entourage a tentare il grande salto. Poi l’avventura ligure e la manifestazione di un destino che (almeno per ora) non prevede l’Europa. La sua storia è legata a doppio filo con il Sudamerica, dove può stare vicino alla famiglia, andare di mate senza essere guardato male e continuare a giocare per passione. Passione por el futbol certo, ma anche passione per il rock and roll (come dimostra il tatuaggio della band argentina La Renga), passione per i suoi colori, il suo pubblico, la sua musicalità. La passione per l’Argentina. Al Vélez viene fuori tutto questo; forma una coppia temibilissima con Facundo Ferreyra, il quale rimane abbastanza basito quando vede Pratto in azione per la prima volta. “Mi era stato detto che era un giocatore forte fisicamente, coraggioso, ma di questa tecnica non si era parlato”.

È vero, se l’occhio cade sull’andatura ciondolante di Lucas Pratto si tende a soprassedere quella parte di gioco più intellettuale che fa del Camelo un arma tattica incredibile. Riesce a fare sia il delanteros puro che la seconda punta, trova sempre il passaggio più corretto e le sue letture sono assecondate da un piede più educato di quello che si vuol credere. Non ha la rapidità e il dribbling del trequartista ma quando ha la palla tra i piedi difficilmente compie scelte controproducenti.

In biancoblu vive due anni splendidi e si toglie anche la soddisfazione di vincere un Apertura e la Superfinal contro il Newell’s sulla quale mette il timbro decisivo. Finta per mandare al bar il difensore e scaldabagno con il mancino sotto la traversa. Unico gol del match e Vélez campione.

Di lui si accorge Levir Culpi, allenatore dell’Atlético Mineiro, il quale convince la proprietà a rompere il salvadanaio per pagare i 5 milioni di dollari richiesti dal Vélez. A Belo Horizonte arriva un attaccante rinato, capace di vedere la porta e i compagni con una naturalezza tipicamente argentina. Pratto sente il gioco, lo accompagna, anche quando fa a sportellate in area è un momento della partita nella quale evidentemente serve quel suo lato più charrùa. A questo punto è chiaro come il suo amore per l’Argentina sia estendibile a tutto il Sudamerica. Sia in Cile che in Brasile lo hanno amato fin da subito, e gli argentini di solito non vanno così bene con i vicini di casa. Sarà per quella sua corsa sgraziata, per quel suo essere un elefante in una cristalleria e allo stesso tempo un uomo assist di livello. Sarà per quel suo essere così tanto argentino da apprezzarlo e rispettarlo per questo. Quando gli chiedono del pubblico carioca lui lo paragona a quello rioplatense: “Sembra di stare in Argentina.

La gente dice che qui tutte le squadre hanno un pubblico caloroso ma secondo me Atlético, Palmeiras e Corintihians sono le uniche che possono rivaleggiare con la torcida argentina. È molto bello sentire questo supporto sia dentro che fuori dal campo”. Questo in Brasile ha minimizzato il pubblico più caloroso della storia del calcio e comunque la gente lo apprezza. Poi sul campo questo amore è ricambiato perché se al Vélez aveva trovato la sua dimensione con la maglia del Galo diventa uno dei migliori attaccanti del continente. Grazie anche ai suoi gol la squadra chiuderà il Brasileirao al secondo posto dietro al Corinthians e si fermerà ai quarti di finale nella Libertadores 2016. Ad interrompere la marcia dei bianconeri ci ha pensato il San Paolo, squadra brasiliana con al centro dell’attacco un argentino, Calleri, esattamente come l’Atlético. Per capire quanto sia profonda e radicata la crisi del calcio verdeoro, la terra dei Romario, dei Ronaldo (e volendo andavano bene anche i Luis Fabiano), si deve affidare a due delanteros argentini per competere in campo internazionale. Tant’è che un pensierino il nostro ce lo avevo fatto.

La mia nazionalità sarà sempre argentina, il mio sogno è quello di vestire albiceleste, ma se stai facendo bene in un altro paese e hai la possibilità di indossare la maglia della Seleçao è giusto pensarci.

I pensieri sono rimasti tali, senza mai tramutarsi in procedimenti per la naturalizzazione. Alla fine ci vuole un’altra finale persa, un CT abituato a lavorare con del materiale umano non di primissima qualità e a portarlo oltre i limiti consentiti dalla logica (due Libertadores alla guida di Liga De Quito e San Lorenzo), e una partita, la più giocata tra nazionali nella storia del calcio, contro l’Uruguay. Lucas Pratto c’è, veste la numero 18, dialoga splendidamente con Dybala e Messi, il nuovo e il vecchio che si fondono nelle movenze del Camelo. La sua è una partita ordinata, con movimenti a sconnettere la difesa quasi sempre giusti. Poi Dybala si fa espellere e quindi serve più sacrificio sia in fase di non possesso sia quando la squadra deve riprendere campo.

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Dura 71’ la sua prima apparizione con l’albiceleste, anticamera al suo primo gol cinque giorni dopo in Venezuela. Movimento a tagliare di Pratto, Lamela lo pesca in area e invece di chiudere con il destro prova a rientrare sul sinistro, perdendo ovviamente il controllo della sfera. Quel gol però non glielo toglie nessuno, continua a calciare quel pallone addosso ai difensori della Vinotinto finché non trova il pertugio per battere Hernandez. Sa bene che quel posto probabilmente non sarà suo nelle prossime uscite. Proprio per questo ogni minuto che Bauza concederà a Lucas Pratto verrà ricompensato con sangue e sudore, accompagnato da una tecnica rara anche a queste latitudini.

La favola di un giocatore nato nell’epoca sbagliata per fare il giocatore offensivo con l’Argentina potrebbe finire qui. Con un velato lieto fine, e la consapevolezza che al mondo esistono i fuoriclasse e poi tutti gli altri. Adesso potrebbe iniziarne una storia nuova, oppure potrebbe riprenderne una vecchia. Siamo in Argentina, la cosa più probabile è che tutto cambierà per rimanere esattamente com’era prima. E a quel punto la Nazionale e il Paese avranno bisogno dei Lucas Pratto di questo mondo. E loro ci saranno, per andare in trincea contro la difesa uruguagia o per bere un mate in compagnia. La differenza non è poi così netta.

Articolo a cura di Paolo Stradaioli

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