Non abbiamo capito niente di Superman

Crampi Sportivi
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5 min readOct 17, 2016

L’antefatto

Gianluigi Buffon detto Gigi è uno dei più grandi, se non il più grande in assoluto, portiere della storia del calcio mondiale, e qualora non fossero bastati i suoi voli tra i pali a suggerire l’accostamento alla figura di Superman, negli anni ha contribuito personalmente alle periodiche associazioni, esibendo in diverse occasioni (soprattutto nel suo periodo al Parma) magliette celebrative con il simbolo del primo supereroe della storia dei fumetti, nonché il più iconico eroe di carta mai esistito.

Un accostamento che, per il ruolo comune e per la responsabilità del numero 1, per l’approccio prevalentemente solare nei confronti non solo del gioco ma anche di media e grande pubblico risulta non solo comprensibile, ma addirittura azzeccato, soprattutto nei primi tempi, quelli più spensierati.

Svariati scudetti dopo — molti dei quali consecutivi — più record polverizzati, riconoscimenti personali e un Mondiale vinto da protagonista, Buffon commette una leggerezza durante un incontro tra Italia e Spagna valido per le qualificazioni ai Mondiali del 2018, che costerà il gol dello svantaggio agli azzurri. L’errore consiste in un’uscita spericolata, clamorosa perché commessa, appunto, dal numero uno dei portieri al mondo. Per di più questo accade davanti al suo pubblico, quello dello Juventus Stadium.

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La reazione dei suoi tifosi non si fa attendere, e si concretizza appunto in uno striscione affettuoso, tenero, esibito durante la gara interna con l’Udinese, nell’ottava giornata di Serie A 2016–17. Il testo dello striscione recita: “Anche Superman a volte è “solo” Clark Kent… Gigi sempre nostro super eroe”. Tutto bene, tutto bello, lodevole, tanti abbracci, tutti amici. Ma c’è un problema.

Il testo dello striscione parte dal presupposto che, se Buffon in quanto Superman ha commesso un errore/si è mostrato debole/è scivolato su una buccia di banana, è perché Superman ha lasciato condurre il gioco al suo lato umano, quello imperfetto, quello avvezzo al fallimento.

Il fatto che questa sia una considerazione contestabile non è certo colpa dei tifosi della Juventus, (anzi lo chiariamo subito: lo striscione non ha sbagliato sul conto di Buffon, semmai ha sbagliato sul conto di Superman), ma l’errore è comprensibile perché anche altri illustri predecessori hanno dimostrato di non aver capito niente dell’eroe creato da Jerry Siegel e Joe Shuster, sulle pagine di Action Comics, nel 1938.

Uno su tutti, e forse il più colpevole in assoluto, Quentin Tarantino nel monologo finale di Kill Bill vol.2, in cui il villain Bill sostiene che ogni mattina Superman si sveglia già Superman, un alieno potentissimo, e solo successivamente si maschera da Clark Kent, per mimetizzarsi tra gli umani. Questo monologo è diventato talmente popolare da aver contribuito a una narrazione inquinata del personaggio nella cultura pop. Lo dimostra lo striscione dei tifosi della Juventus, che come il film (anche qui precisiamo: errore a parte, il grandissimo film) non ha colto affatto il punto del dualismo Clark Kent/Superman.

Quentin Tarantino fa dire a Bill: “Clark Kent è debole, non crede sé stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana”. Niente di più sbagliato.

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Superman, vestito da Clark Kent, non è più debole perché vive una sorta di dissociazione mentale o perché vuole mettere in atto una parodia dei terrestri. Semmai Superman è sempre, costantemente, debole quanto Clark Kent perché Superman È Clark Kent. Ovvero è tanto un reietto quando è in costume quanto lo è quando indossa gli occhiali.

La questione dell’alieno venuto dal pianeta Krypton

Partiamo dalla pietra dello scandalo: il pianeta perduto di Krypton, la cui diversa densità molecolare rispetto a quella della Terra è all’origine dei poteri di Superman nel nostro sistema solare. Bene, lo stratagemma narrativo del lontano pianeta esploso di cui Superman è l’unico sopravvissuto non è, come Quentin Tarantino ha interpretato, finalizzata al rendere il personaggio un alieno ai nostri occhi, bensì a ribaltare la nostra prospettiva in modo da renderlo più vicino a noi: è infatti Superman a sentirsi inadeguato, un alieno nei nostri confronti, solo, emarginato, diverso, rispetto a tutti coloro che lo circondano. In questo caso, come ogni volta in cui ci sentiamo soli o perduti, Superman siamo noi.

Siamo infatti (più o meno) tutti convinti di essere gli unici della nostra specie, gli unici sopravvissuti di un pianeta perduto. Abbiamo la sensazione tangibile che il mondo in cui viviamo non sia in grado di comprenderci a fondo. Siamo convinti di essere soli.

La questione Clark Kent

Clark Kent, nel fumetto, è un impacciato ragazzo di campagna con gli occhiali spessi, che si trasferisce nella grande città dove è solo e non conosce nessuno. Anche al paesello era solo (e per giunta vittima di bullismo, da piccolo) perché aveva paura di perdere il controllo dei suoi poteri e fare del male a qualcuno e quindi evitava tutti (e, di conseguenza, tutti evitavano lui).

Anche una volta diventato Superman, la situazione non cambia dall’oggi al domani; non tutti lo osannano o si fidano di lui, anzi: è così potente che viene temuto da gran parte delle persone che assistono al suo sfoggio di incredibili poteri. Lex Luthor stesso, la sua nemesi principale, rappresenta quell’umanità che, un po’ per invidia e un po’ per paranoia, è convinta che non possa esiste un salvatore giunto dal cielo che non persegua in segreto scopi egoistici, e che di conseguenza la posa dell’eroe sia, tuttalpiù, una frode o una farsa. L’apparente perfezione del personaggio lo irrita profondamente, fino a sfociare nell’odio più sordo. In realtà la perfezione è, appunto, solo apparente. Non si tratta affatto di presunzione o di tensione verso il divino, ma del tentativo di compiere, giorno dopo giorno, la scelta giusta, quella finalizzata al bene comune, che lo faccia finalmente sentire accettato.

Perciò asserire che Superman e Clark Kent siano scindibili e sostenere quindi che Superman stesso, in quanto insieme delle due parti, non sia un reietto, è come asserire che uno che ha subito bullismo o mobbing sul lavoro non si sia mai sentito un diverso.

Clark Kent siamo noi, quando le circostanze, nella vita di tutti i giorni, ci impediscono di dimostrare quanto saremmo in grado di fare, quando il nostro rifiuto nei confronti dell’aggressività viene scambiato per debolezza. Clark Kent siamo noi quando il mondo non ci ritiene all’altezza.

E Superman siamo noi, quando gli altri diventano più importanti di noi. Ed è quell’amore incondizionato e disinteressato che dimostriamo per gli altri a definirci, e a renderci più forti di una locomotiva, più veloci di un proiettile, e capaci di saltare grattacieli con un solo balzo.

Ne consegue che, quando sbaglia, Buffon non è “solo” Clark Kent, ma è — a maggior ragione — ancora più Superman di prima, in quanto nonostante tutte le vittorie e tutti gli onori dimostra di continuare a non essere perfetto. Per questo motivo, quindi, possiamo dire che Buffon non sia mai stato tanto Superman quanto nel momento in cui ha sbagliato l’uscita contro la Spagna. Perché senza quell’insicurezza, senza quella possibilità di fallimento e quel senso di fredda solitudine che ne deriva, non esiste alcun Clark Kent e, di conseguenza, non esiste alcun Superman.

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