“Non dodici ma cinquemila colpevoli” — Breve storia delle Brigate Gialloblù

Crampi Sportivi
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9 min readOct 3, 2013
Brigate Gialloblù

La storia degli ultras dell’Hellas Verona inizia nel 1971, anno di nascita delle Brigate Gialloblù, uno dei primi gruppi di tifosi organizzati in Italia. Precedute soltanto dalla storica “Fossa dei leoni” milanista (1968), dagli ultras sampdoriani e dai “Boys” dell’Inter (1969), le Brigate vengono fondate presso il Bar Olimpia di Borgo Venezia da due ragazzi sedicenni, militanti nelle aree studentesche post-sessantottine. Da subito, il gruppo occupa la Curva Sud del Bentegodi con i soliti tamburi “brasiliani”, accompagnati da grancasse e piatti, molto in voga in quel periodo.

Poco dopo, fanno apparizione le prime bandierone cucite a mano, che soprattutto negli anni ottanta riempiranno le curve di tutta Italia, qui rigorosamente composte da grandi porzioni di stoffa gialla e blu. Di chiara ispirazione britannica, gemellati per lungo tempo con il Chelsea, dalla metà degli anni settanta diventano un riferimento da seguire e imitare per tanti tifosi italiani che intendono richiamarsi dichiaratamente alla cultura calcistica d’oltremanica. Assieme alle bandiere gialloblù, infatti, compare quasi subito l’Union Jack, esposta ancora oggi assieme a striscioni con sigle scritte in inglese.

Molti cori veronesi, poi, sono la traduzione letterale di quelli britannici, soprattutto del Chelsea, dell’Aberdeen e del Middlesbrough. Anche grazie alla diffusione di gruppi musicali inglesi, che importeranno a Verona nuovi modi di abbigliamento e stili di vita marcatamente “british”, la città sarà ribattezzata negli anni successivi la “Liverpool d’Italia”. Su questa linea, i tifosi dell’Hellas si dimostrano sin da subito unicamente interessati a trasferire la parte attiva dello spettacolo dal campo agli spalti, esattamente come i colleghi d’oltremanica.

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Le Brigate Gialloblù nei primi anni ‘70.

I giovani che popolano le curve nei primi anni settanta sono i figli del boom economico, ragazzi che appartengono a una classe sociale medio-bassa e che vivono il loro sessantotto, in ritardo, dentro le mura di uno stadio, dove è finalmente possibile spogliarsi degli abiti sociali e vestire i colori della propria squadra del cuore. In Curva Sud si è tutti uguali, uniti dalla stessa fede per l’Hellas. La dimensione della sottocultura ultras, alternativa alla dominante, emerge da subito, quando nel 1972 accanto allo striscione “Brigate Gialloblù” ne appare un altro con scritto “Ultras”. Miscuglio ideale tra le culture hooligans, skinhead, rude boy e mod, gli ultras dell’Hellas si riconoscono soprattutto per la dimensione quotidiana con cui vivono il tifo fuori dalla curva.

Parallelamente, negli anni settanta cambia anche la geografia del conflitto da stadio: dalle violente contestazioni all’interno, rivolte soprattutto contro gli arbitri o i giocatori avversari, cominciano a essere coinvolti gli esterni dello stadio, proprio su imitazione degli hooligans inglesi. Spesso i giovani ultras sono gli stessi che si ritrovano al centro di violenti scontri di piazza di matrice ideologica, e alle volte capita di incontrare il proprio avversario politico in curva, gomito a gomito, e fare finta di niente.

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Tipica coreografia colorata della Curva Sud.

La Curva Sud dell’Hellas si distingue per essere una tra le più scalmanate d’Italia, sprezzante e noncurante nell’affrontare le tifoserie avversarie a viso aperto. Il teschio stilizzato che rappresenta la Brigata comincia pertanto a essere temuto, ma sopratutto rispettato da tutti. È nella seconda metà degli anni settanta, dall’amicizia sempre più stretta con gli Headhunters del Chelsea, che tra le Brigate cominciano a manifestarsi i primi orientamenti di estrema destra, nonostante tra i fondatori del gruppo si annoverino soprattutto militanti di sinistra, ancora presenti oggi, seppur in modo piuttosto minoritario, sotto il nome di Rude Boys. Non tardano ad arrivare gli scontri con le prime tifoserie avversarie — soprattuttto contro la curva bolognese, tradizionalmente di sinistra — che cominciano a organizzarsi.

Tra le scazzottate e le battaglie con le aste delle bandiere, le Brigate trovano il tempo anche per i primi gemellaggi, che rimarranno storici, come quello con i tifosi viola e della Samp. Alla fine degli anni settanta ogni partita dell’Hellas, in casa o in trasferta, è accompagnata da incidenti, tafferugli e scontri tra tifoserie o con le forze dell’ordine, che però ancora non presentano una forte connotazione politica. Dal 1977 il teschio del simbolo viene sostituito dalla caratteristica scala a tre pioli. Parallelamente, cominciano a comparire le prime bottiglie molotov, nascoste dagli ultras nei dintorni dello stadio, assieme a spranghe e catene.

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Scontri tra forze di polizia e tifosi dell’Hellas.

Alla fine degli anni settanta l’epidemia dell’eroina coinvolge anche le Brigate, decimate da decine di vittime. Anche a causa degli scarsi risultati, gli abbonamenti in Curva crollano, fino ad arrivare al minimo storico, anche se una lenta ripresa ci sarà con la vittoria del campionato cadetto nel 1981–82. Gli “abitanti” della Curva Sud, infatti, provengono sempre più spesso dalla provincia e dal vicino Trentino, mantenendo comunque un’estrazione sociale piuttosto trasversale. Nei primi anni ottanta la Sud diventa quindi un indiscusso polo di aggregazione geografica, allo stesso modo delle altre curve italiane.

Alla fine della stagione dei movimenti, le Brigate finiscono sempre più per abbandonare la vecchia matrice apolitica che ne aveva contraddistinto le origini e permesso la sopravvivenza in un’epoca di lotte e radicalizzazioni. In questo periodo, pertanto, hanno la meglio le frange di estrema destra, protagoniste di veri e propri raid teppisti e infiltrazioni nei gruppi storici, che tentano invano di mantenere viva la tradizionale eccentricità. Di qui, nel campionato ‘82-’83 la tifoseria gialloblù si vede protagonista della prima contestazione razzista a un giocatore avversario, reo di essere nato con la pelle nera: si tratta del peruviano Julio César Uribe, “El diamante negro” attaccante del Cagliari, oggetto di lancio di banane da parte di alcuni tifosi mentre sta battendo un calcio d’angolo.

Sempre nel 1983, con il ritorno in serie A, si infiamma la storica rivalità con gli ultras del Napoli, spesso oggetto di sfottò razzisti (tra tutti, i celebri striscioni “Benvenuti in Italia” o “Forza Vesuvio”). Allo stesso tempo cominciano ad affermarsi sempre più sottogruppi come gli Hellas Army, che si rifanno soprattutto agli hooligans inglesi, l’eccentrica Associazione Stalle Umane, che si distingue per atteggiamenti animaleschi e uso smodato di alcolici prima e dopo le gare, e i Punk Brigade. Continua comunque ad avere la meglio lo stile casual e mod, ispirato sempre più dagli Headhunters londinesi.

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Striscione con il motto nazista “Sieg Heil”.

Nel 1985, con la vittoria dello storico scudetto dell’Hellas, le Brigate Gialloblù sono sulla cresta dell’onda. Dall’anno dopo cominciano infatti le trasferte europee, dove gli ultras veronesi iniziano ad affrontare a viso aperto anche le tifoserie straniere. Nello stesso campionato, si vedono protagonisti di una storica trasferta nella vicina Brescia, dove mettono la città delle “rondinelle” a ferro e fuoco, danneggiando più di cinquecento automobili “nemiche” e scontrandosi violentemente con le forze dell’ordine.

Da qui, cominciano tra i media a farsi la nomea di “teppisti” e “criminali”, e anno dopo anno l’aspetto politico, ideologico ed identitario inizia a prevalere sull’originalità che ne aveva contraddistinto la fondazione. Finché nel febbraio 1987 non vengono arrestati dodici tifosi gialloblù, rei di essere stati protagonisti dei fatti di Brescia, e condannati come “associazione a delinquere”. Per la prima volta in Italia un tifoso di calcio viene accomunato a un delinquente o a un criminale comune, decisione contro la quale la Curva Sud si schiera compatta. La domenica dopo, così, le Brigate svuotano il settore centrale della Sud, sotto il quale espongono lo striscione “Non 12 ma 5.000 colpevoli”. A casa degli arrestati viene trovato materiale politico di propaganda neofascista, oltre a mazze, caschi e armi improprie finalizzate agli scontri.

La Curva Fiesole dopo lo scioglimento delle Brigate Gialloblù
La Curva Fiesole dopo lo scioglimento delle Brigate Gialloblù.

Nel novembre 1991, dopo alcuni gravi incidenti successivi a una trasferta contro il Milan di Sacchi, falcidiate da altri dodici arresti le Brigate Gialloblù decidono di sciogliersi, non volendo essere più considerate responsabili di ogni singolo teppista. La domenica dopo, la curva viola della Fiorentina si colora di gialloblù, con la scritta umana “BG” e uno striscione, che recita: “Venti anni di storia non si cancellano. Onore alle Brigate Gialloblù”. Nonostante il gruppo sia formalmente morto, non sparisce dalla scena l’indomabile “spirito brigatista”, assieme allo stile britannico diventato un vero e proprio marchio di fabbrica ed ereditato soprattutto da alcuni gruppi ultras della Lazio. Come preventivabile, però, dopo la scomparsa delle Brigate la situazione dell’ordine pubblico peggiora, travalicando definitivamente l’aspetto eccentrico e goliardico del tifo, in favore dell’estremismo politico di stampo neofascista.

La coreografia contro Ferrier
La coreografia contro Ferrier.

Nel 1996 il derby con il Chievo li vede protagonisti di una coreografia estrema. Viene fatto calare, infatti, un manichino nero con la divisa del Verona, impiccato alla balaustra della Curva, sotto lo striscione “Negro go away”, per contestare il possibile acquisto della società del difensore olandese Maickel Ferrier. Il tutto è completato da alcuni cappucci del Ku Kux Klan indossati da “boia” ideali, e da altri striscioni che, in dialetto veronese, recitano: “Il negro ve l’hanno regalato, dategli lo stadio da pulire” e “Mazzi (il presidente dell’Hellas, ndr) portalo in cantiere”.

Il trasferimento di Ferrier salta, ufficialmente, per presunti problemi fisici del giocatore di pelle nera, che finisce alla Salernitana. Nello stesso periodo, in curva compaiono le prime bandiere con le croci celtiche e le svastiche su sfondo rosso. La dimensione della pratica politica comincia, pertanto, a legarsi a doppio filo al territorio, e gli episodi di discriminazione razziale quotidiana aumentano, vedendo direttamente coinvolti alcuni ultras dell’Hellas soprattutto fuori dallo stadio. Cominciano in questi anni, pertanto, a farsi la nomea di “tifoseria più razzista d’Italia”, nonostante persistano alcuni elementi di discontinuità con la linea politica dominante.

Manichino di Maickel Ferrier esposto in una mostra in Spagna
Manichino impiccato di Maickel Ferrier esposto in una mostra in Spagna.

Oltre a San Gennaro, puntualmente preso di mira ogni partita contro gli odiati tifosi del Napoli, nel 2008 e nel 2010, prima a Manfredonia e poi a Foggia, i veronesi si fanno scherno di Padre Pio tramite alcuni cori in cui lo apostrofano come “terùn”. La questura di Foggia, impermeabile allo sfottò, apre subito un’inchiesta. L’innegabile maltrattamento mediatico, di cui i tifosi dell’Hellas cominciano a essere vittime, dimentica però troppo spesso i tentativi di recupero dell’elemento creativo e goliardico, avvenuti soprattutto negli ultimi anni.

Ad esempio, nella partita tra Verona e Milan in occasione della prima giornata di campionato di questa stagione, da più parti sono stati lanciati allarmi mediatici per il primo possibile “contatto” tra il bresciano di pelle nera Mario Balotelli e i tifosi “razzisti” veronesi (su Balotelli e il razzismo abbiamo già detto la nostra qui e qui). Quella che però sarebbe dovuta essere la “prima partita della serie A sospesa per razzismo”, è diventata l’occasione per un’accoglienza sorprendente e goliardica, fatta di cori “Mario! Mario!”, scrosci di applausi e ovazioni a ogni tocco di palla del centravanti.

Drappello con Horst Tappert (L'ispettore Derrick) esposto dopo la recente scoperta del suo passato da ufficiale delle SS
Drappello con Horst Tappert (L’ispettore Derrick) esposto in suo onore da alcuni tifosi gialloblù dopo la recente scoperta del suo passato da ufficiale delle SS.

L’umiliazione creativa e antitetica ai buu rappresenta, forse, il primo passo di una tifoseria, più volte dimostratasi apertamente razzista, verso la riappropriazione della possibilità di contestare un giocatore dalla pelle nera come atto situazionista di disturbo (del rapporto tra contestazione e civiltà abbiamo parlato qui). Del resto, gli stessi buu non possono essere considerati sempre e solo ideologicamente razzisti, almeno nelle intenzioni, anche se finiscono per esserlo nella sostanza. Questo non toglie, come abbiamo visto, che nella curva gialloblù sia presente un’ampia componente di razzismo ideologico, esattamente come nelle altre curve italiane o, più banalmente, al bar sotto casa.

Al momento, non possiamo dire con certezza se la curva dell’Hellas sia più avviata verso un ritorno al “brigatismo” goliardico della prima ora, piuttosto che verso la conservazione dei suoi elementi fascisti e razzisti affermatisi negli ultimi anni. Lo striscione “Grecia Libera” apparso in tribuna est domenica scorsa, durante la partita con il Livorno, accanto al simbolo del partito greco neonazista Alba Dorata, da poco decimato dagli arresti, fa certamente da contraltare alle ultime goliardate contro Balotelli. In un contesto talmente multiforme, l’unico dato certo è come la semplificazione moralistica dei media sia sempre attenta a generalizzare la parte per il tutto, finendo per considerare in chiave retorica la categoria dei tifosi dell’Hellas come un’entità becera e monolitica, sempre e comunque da stigmatizzare.

La solidarietà neonazista di alcuni tifosi gialloblù durante l'ultimo "derby ideologico" con il Livorno.
La solidarietà neonazista di alcuni tifosi gialloblù durante l’ultimo “derby ideologico” con il Livorno.

Articolo a cura di Damiano GarofaloDottorando in Storia del 4–3–3 (relatore prof. Zdenek Zeman) tifa senza condizioni la Roma e il suo Capitano dalla nascita. Non conosce regole di altri sport al di fuori del pallone, ma si fomenta tantissimo guardando tutti quelli che prevedano almeno 10 giocatori in campo muoversi avanti e indietro @damianogarofalo

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