Notti magiche

Simone Pierotti
Crampi Sportivi
Published in
6 min readApr 27, 2017
L’azzurro Gabriele Gori in azione

Se dovessimo associare la parola “calcio” a una nazione, la relazione (detta in termini matematici) non sarebbe univoca: per i motivi più disparati inizieremmo a enumerare Italia, Germania, Inghilterra, Argentina eccetera. Ma se ci spostiamo dall’erba alle spiagge, allora il campo si restringe inevitabilmente a un solo Paese. Ci siamo già capiti: il Brasile. Ce lo suggeriscono le ormai inflazionate istantanee di virtuosismi col pallone sul lungomare di Rio de Janeiro, ma anche le stastistiche: la nazionale verdeoro, forte di una tecnica invidiabile pure a piedi nudi e su un terreno morbido ma ricco d’insidie come quello sabbioso, ha instaurato un’egemonia incontrastata ancor più che nel calcio canonico. Ebbene sì, esistono perfino i Mondiali di beach soccer, addirittura sotto l’egida della FIFA: dal 27 aprile al 7 maggio prossimi a Nassau sarà quel paradiso terrestre (invero anche fiscale) chiamato Bahamas a ospitare la diciannovesima edizione.

Del resto, parliamo pur sempre di una creatura tipicamente brasiliana, o meglio carioca: a Rio de Janeiro i primi campionati di futebol de areia risalgono agli anni Settanta. Epperò l’idea di istituzionalizzare questa bizzarra e spettacolare variante del calcio a undici nasce da un italiano (con passaporto brasiliano, beninteso): è il 1992 quando la Beach Soccer Company di Giancarlo Signorini, amico di Leo Júnior dai tempi in cui l’ex terzino furoreggiava in Serie A, ne codifica le regole — si gioca cinque contro cinque inclusi i portieri, la partita è suddivisa in tre tempi da dodici minuti effettivi ciascuno, le sostituzioni sono illimitate e a ogni fallo commesso segue un tiro libero senza barriera — e mette in piedi un evento pilota alla Will Rogers Beach di Los Angeles. Due anni dopo la Octagon Koch Tavares, colosso del marketing sportivo in Brasile, organizza invece il Mundialito che l’emittente televisiva Rede Globo trasmette su tutto il territorio nazionale. Ma è nel 1995 che viene scritta la storia con la prima Coppa del Mondo di beach soccer ufficialmente riconosciuta.

Si gioca, manco a dirlo, a Rio sul celebre lungomare di Copacabana. E il Brasile, che gode inevitabilmente dei favori del pronostico, fa quasi venire le lacrime agli occhi schierando Zico, Leo Júnior e il portiere Paulo Sérgio, riserva di Waldir Peres agli sciagurati Mondiali del 1982. La Seleção è a proprio agio pure sulla sabbia e vince tutte le partite, incluso un 8–2 inflitto all’Italia che ha il sapore della rivincita della sconfitta al Sarriá dato che fra gli azzurri ci sono Franco Causio, Claudio Gentile e Alessandro Altobelli. Lo stesso “Spillo” condivide con Zico lo scettro di capocannoniere della manifestazione. In quegli anni pionieristici l’Italia farà idealmente scorrere al pubblico di Copacabana le pagine ingiallite di vecchi album di figurine: in nazionale ci finiscono Alberigo Evani, Daniele Massaro, Bruno Giordano e Stefano Tacconi.

Gol come coriandoli di Carnevale, deliziose rovesciate, tocchi di prima, ritmi forsennati: al di là del trionfo brasiliano, sugli spalti gli spettatori si divertono. Esame superato, l’avventura dei Mondiali di beach soccer prosegue a cadenza annuale. E, con il passar del tempo, accoglie un numero crescente di Paesi partecipanti: dagli otto iniziali si sale a dieci nel 1998 e dodici nel 1999. Il cambio della formula non mette tuttavia in discussione l’egemonia dei brasiliani che nelle prime sei edizioni non perdono o pareggiano nemmeno una partita.

Sarà invece fatale la spiaggia di Bahia per la nazionale hexacampeão nell’edizione 2001: dopo un mostruoso filotto di 33 vittorie consecutive, il Brasile si ferma in semifinale e chiude addirittura al quarto posto. I nuovi campioni parlano la stessa lingua dei vecchi dominatori: è il Portogallo del difensore Hernâni (fu finalista con il Benfica nella Coppa dei Campioni del 1989), del gigante di origini angolane Madjer (all’anagrafe João Victor Saraiva: il soprannome è un omaggio all’ex giocatore del Porto) e del capocannoniere Alan Cavalcanti, per ironia della sorte nato in Brasile. L’interludio lusitano dura comunque il brevissimo spazio di dodici mesi, perché la Coppa del mondo torna subito sull’altra sponda dell’Atlantico.

In occasione del decennale, la Beach Soccer Worldwide nata dalla fusione tra Beach Soccer Company e Koch Tavares decide di fare il passo più significativo: tende la mano alla FIFA e ottiene il riconoscimento ufficiale del massimo organo calcistico. Qualcosa di simile è già avvenuto in Italia, dove la Lega Nazionale Dilettanti della FIGC indice per l’estate la Serie A di beach soccer: in campionato, e conseguentemente in nazionale, possono giocare soltanto atleti tesserati in società calcistiche non professionistiche. Addio vecchie glorie degli anni Ottanta e Novanta, a meno che non decidano di tirare gli ultimi calci al pallone dalla Serie D in giù.

Cantona, campione del mondo di beach soccer nel 2005

Il 2005 è l’anno dell’inattesa affermazione della Francia di Èric Cantona, il carismatico ex calciatore del Manchester United. Il Brasile viene eliminato ai rigori in semifinale e salva l’onore con il terzo posto, un traguardo a cui contribuiscono anche i gol di Romário, campione del mondo a USA 94.

Dopo altre due annate a Copacabana, concluse con gli ennesimi trionfi della Seleção e con l’allargamento definitivo a sedici partecipanti, la FIFA decide di rendere itineranti i Mondiali, fino a quel momento esclusiva del Brasile. Il beach soccer, intanto, si evolve: non è più un cimitero degli elefanti, un passatempo per ex calciatori in pensione. Dalla Russia al Portogallo, passando per Italia e Svizzera fino addirittura a Dubai e naturalmente in Brasile, si consolidano i campionati nazionali: roba seria, insomma. Le grandi stelle di caratura mondiale campano così, arrivando a vestire in una stagione più maglie diverse.

Nel 2008, sulla Plage du Prado di Marsiglia, l’Italia ottiene il suo miglior piazzamento di sempre qualificandosi per la finalissima: in squadra c’è Diego Maradona junior che, curiosamente, vincerà un anno dopo il campionato italiano di beach soccer con il Napoli. Comunque, è il Brasile a dettare legge: batte gli azzurri nell’ultima partita così come cade la Svizzera nell’edizione seguente a Dubai. Tredici trionfi mondiali in quindici anni: un monopolio assoluto. Che non durerà però a lungo.

Il cambio del calendario nel 2009, con la Coppa del mondo organizzata a partire da quel momento a cadenza biennale, segna l’avvio della supremazia della Russia: nel 2011 sconfigge proprio i verdeoro a Marina di Ravenna — in rosa c’è Aleksandr Filimonov, ex portiere dello Spartak Mosca e della nazionale di calcio — per poi confermarsi mettendo a tacere la Spagna sulla paradisiaca spiaggia di Tahiti.

Messa al collo la medaglia d’oro ai Giochi europei di Baku, l’armata russa si è fermata un paio d’anni fa a Espinho in Portogallo, dove i padroni di casa hanno ripristinato la supremazia lusofona nel beach soccer. L’Italia allenata dall’ex attaccante di Cesena, Milan e Napoli Massimo Agostini è arrivata alle porte dell’atto supremo uscendo soltanto ai rigori contro Tahiti: lecito, dunque, cullare nuovamente sogni di gloria.

Tutto passerà dai piedi educati di Gabriele Gori, ventinovenne geometra col vizietto del gol: ne ha fatti 161 in nazionale e lo scorso anno ha vinto scudetto, Coppa Italia ed Euro Winners Cup con il Viareggio, la squadra della sua città, la stessa da cui provengono altri quattro azzurri. Gori, a cui SportWeek ha appena dedicato un bell’approfondimento nell’ultimo numero, è stato oltretutto finalista del Beach Soccer Player of the Year Award, il Pallone d’oro del calcio in spiaggia: è finito secondo, davanti allo svizzero Dejan Stankovic (solo omonimo dell’ex centrocampista di Lazio e Inter) e alle spalle dell’inarrivabile Madjer, primo giocatore a segnare 1000 gol in partite internazionali. Anche qui una vittoria sfumata proprio all’ultimo. Un altro, valido motivo per far bene nelle Bahamas.

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Simone Pierotti
Crampi Sportivi

Giornalista pubblicista (ex) pallanotista. Trapiantato a Viareggio ma con il cuore rimasto ad Atene