Orge di fine campionato, in senso molteplice — CS S02 E36 (Season Finale)

Crampi Sportivi
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10 min readJun 1, 2015

In attesa della finale di Champions League, la stagione calcistica inizia a sparecchiare la tavola, e ha deciso di farlo andandosene con un bang, non con uno splash. Valanghe di gol, bilanci e persino un video hard. Ma andiamo con ordine.

I bilanci di casa nostra

1–15 punti di sutura

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Scherzando e ridendo, ecco che arriva il vero cliffhanger, quello che apre gli interrogativi più succosi per la prossima stagione: in questa annata, per quanto decisa ancora una volta con giornate d’anticipo, Juventus, Roma e Napoli hanno tutte chiuso con 15 punti in meno della scorsa. Panico diffuso sia tra i timorati delle scie chimiche/detrattori del calcio italiano che tra gli hipster del “l’Italia che odiate siete voi”, cosa vuol dire tutto questo?

Si fa spesso un gran parlare di come la Serie A abbia perso di competitività e budget rispetto alle prime stagioni degli anni duemila. Ci sono meno campioni, meno soldi e via discorrendo, temi abbondanti e ricorrenti nella dialettica retorica dei nostalgici dell’età del Parnaso. Indubbiamente vero, ma con alcuni punti di discussione: 1) c’è una squadra che gioca un campionato a parte e a cui servono 15 punti in meno per vincere uno Scudetto; 2) c’è sicuramente più competizione tra le squadre di metà classifica; 3) comunque s’era detto sarebbe stato un anno terribile per Acquario, Pesci, Scorpione, Gemelli, Bilancia, fino ad agosto anche per il Capricorno.

Ergo le possibilità sono due:

A) Ve la ricordate la Serie B della seconda metà degli anni ‘90? Quella che era bella bella e che portava in A favole scintillanti di squadre piccole che scoprivano ambizioni europee e talvolta si svegliavano arbitro delle sorti del campionato maggiore? Il Venezia di Schwoch, il Perugia di Rapaijc e del Cobra Tovalieri, il Vicenza di Guidolin, il Piacenza dei tutti italiani, la Reggina di Bolchi e poi di Colomba?

Ecco. la prima possibilità è che le coppe Europee siano come la Serie A delle Sette Sorelle e la Serie A odierna sia come quella B di onesti e talentuosi avventurieri dalle ambizioni ridotte, con le dovute eccezioni (la Juventus irraggiungibile). Ergo moriremo tutti, è tutto finito, au revoir, sayonara, we’ll meet again don’t know how, don’t know where.

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B) Il calo di punti è segno che per i Campioni d’Italia, per i Vice Campioni e per i vincitori della Supercoppa il compito è stato davvero duro, anche per strappare la posta piena al derelitto Parma di questo campionato. Segno quindi che non si tratta più di un calcio epico con dei, semidei ed eroi ma di un calcio più livellato, più realista e duro, che guarda in faccia la realtà giornata per giornata. In sostanza, un calcio che non è necessariamente più brutto, ma solo più povero, e di conseguenza più combattuto tra i poveri.

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2 — L’anno zero del calcio milanese

Con i risultati di ieri, la Serie A ha emesso un verdetto atteso, ma storico: per la prima volta dal 1956–57, non ci sarà nessuna squadra di Milano in alcuna competizione europea.

Una storica ricorrenza, cercata a tutti i costi dalle due milanesi. I casi sono diversi e hanno anche colpevoli differenti. Cominciamo da chi non aveva nulla da giocarsi in queste ultime giornate. Il Milan è stato molto “pompato” a inizio campionato. Tipico fenomeno del giornalismo italiano: benedire coloro che infilano due mesi di risultati o qualche partita buona (i nomi di Stramaccioni e Santon/De Sciglio risuoneranno nelle vostre teste). Inzaghi è stato ritratto come il salvatore della patria, poi la benzina e l’entusiasmo sono finiti. Così come il campionato del Milan, che comunque ha fatto nove punti nelle ultime quattro gare. Proprio quando il destino di Inzaghi era segnato verso l’addio.

Diverso il caso dell’Inter, partita con Mazzarri. Il motivatore per eccellenza ha fallito clamorosamente per la prima volta nella sua carriera, con tanto di esonero (dorato). A quel punto l’Inter aveva due alternative. La prima: puntare su una stagione di transizione (come si è rivelata), prendere un traghettatore e far crescere i giovani. La seconda: spendere altri soldi per un ingaggio clamoroso e peggiorare la situazione economica, che vede l’Inter multata dal Fair-Play finanziario. Thohir ha scelto la seconda, richiamando Mancini. L’Inter ha chiuso senza Europa, solo un punto davanti al Torino (che ha avuto l’Europa League) e lontana 14 lunghezze dalla Champions.

Trova le differenze.

3 — Cambi di prospettiva, ovvero Napoli-Lazio

Ignorando qualsiasi legge statistica, mentre Higuain poggia il pallone sul dischetto, Beppe Bergomi ci avvisa con la sua solita pacatezza di chi si è preso coppini per tutte le scuole medie: occhio, ché ne ha sbagliato troppi di rigori. Un giocatore così, nel suo stadio che-da-quando-ha-messo-il-gol-precedente-lo-chiama-a-gran-voce-come-un-gladiatore-pronto-alla-mattanza-del-nemico, a 11 metri dal riscattare un bel po’ l’annata del Napoli, perché dovrebbe sbagliare? Le qualità ce le ha, la cattiveria pure, una grinta da vendere, due spalle grandi così. Infatti il rigore lo tira alto.

Questo apre CHIARAMENTE un casino spaziotemporale di sliding doors che si incrocia col fantamercato più acerbo (cliffhanger n.2).

La controparte della pesantezza incredibile con la quale Higuain tocca il pallone (troppo sotto, troppo forte?) arriva nella carezza di Onazi. Ledesma ha un sonno pazzesco e l’intervento difensivo che subisce è semplicemente un dare una mano all’entropia che sta distruggendo il Napoli in quegli ultimi minuti. Onazi fa due movimenti in uno: un saltello a poggiarsi sul sinistro e un tocco leggero di piatto destro, attorniato da due difensori e il portiere.

Al mio segnale scatenate ondate di psicodrammi su tutta la Penisola, a partire dal San Paolo.

4 — La slavina di gol e il sigillo di Zaza

Un finale col botto per la Serie A. Il nostro campionato è quello che ha chiuso i battenti più tardi e anche quello che aveva meno verdetti da emettere all’ultima giornata. Tuttavia, c’è chi ha trovato la maniera di renderlo più interessante. Innanzitutto l’ultima giornata della Serie A fa registrare un primo record: è il round con più gol (47). Ma non solo.

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Il Sassuolo ha chiuso il campionato con la quarta vittoria consecutiva in altrettante giornate. Di Francesco ha rinnovato il contratto fino al 2019. Berardi è diventato il secondo giocatore (dopo Dybala) ad aver messo insieme una doppia-doppia di assist e gol in questo campionato (10+15). E poi c’è Simone Zaza: un rigore sbagliato, una doppietta clamorosa e soprattutto un gol che fa storia. La sua rovesciata è il 1000° gol in questa Serie A. Solo in altre tre occasioni il nostro campionato aveva prodotto così tante reti. A modo suo, il centravanti di Policoro ha fatto la storia.

5 — Photo bombering: il Vecchio e il Maurito

Da qualche anno si parla tanto del nuovo prototipo di attaccante, quello incarnato da Zlatan Ibrahimović o da Cristiano Ronaldo, per capirci. Macchine da gol perfette fisicamente, potenti e dotate di tecnica sopraffina, calciatori postmoderni che hanno fagocitato tutto: i trick del calcio di strada e il taekwondo, acrobazie e giocate impossibili, arroganza e temerarietà. Giocatori che fanno la differenza, vincono partite da soli, tengono sotto scacco intere difese, animali a cui l’area di rigore sta stretta e possono fare gol partendo da qualsiasi zona del campo, tirando anche da casa loro.
L’ultima di Serie A, invece, ci regala una coppia di capocannonieri dal sapore vintage, due centravanti vecchio stile: Luca Toni e Mauro Icardi, rispettivamente 38 e 22 anni. A riguardare i loro 22 gol, viene fuori il ritratto del classico numero 9, quello a cui è richiesto di presidiare l’area di rigore, di acquattarsi tra i difensori come una tigre, pronto ad azzannare il primo pallone che gli capiti sotto il muso o di aprire brecce in mezzo a solidi muri difensivi.
Luca Toni è tentacolare: se butti la palla in mezzo, lui in qualche modo la prenderà, di testa o stirando leve lunghissime, usando il fisico per farsi spazio. A volte potrà sembrare poco aggraziato, ma non si può dire che non sia efficace: anche quando il passaggio non è preciso, lui si inventa un modo per arrivarci e spingere la palla in rete.
Mauro Icardi, invece, è dotato di un’eleganza silenziosa, quasi discreta. I suoi gol sono frutto di movimenti precisi, calcolati. Molti delle sue 22 reti sono nate da scatti in profondità, repentini e inaspettati, a dettare il passaggio nello spazio, a crearlo quello spazio, stabilendo una connessione mentale con i Palacio, i Kovačić, i Guarin o gli Hernanes di turno.

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Sia a Toni che a Icardi non puoi dare la palla e aspettare che sbroglino la matassa: fuori area sarebbero come un leone in Groenlandia. Loro sono i finalizzatori, gli utilizzatori finali del gioco, le pedine che spingono in rete l’ultimo passaggio. Per questo hanno bisogno di una squadra che li supporti, o almeno di un paio di compagni al loro servizio, trequartisti o ali o seconde punte che sfornino assist a getto continuo. Al resto, poi, ci pensano loro.
Va bene, su 22 gol, 4 sono stati segnati dal dischetto. E allora? Quello che conta, nel calcio, è segnare. Toni e Icardi sono efficaci (Maurito ha anche azzardato un cucchiaio contro il Napoli). Sono essenziali: massimo due tocchi, poi si tira.

Una volta chiesi a un mio amico centravanti, uno poco spettacolare ma sempre lì a fare gol, che piacere provasse a segnare in modo banale. Lui mi rispose: “i maccaruni allinchiunu a panza, u restu su minchiati”. Traduco dal siciliano: “i maccheroni ti riempiono la pancia, il resto sono scemenze”. Ecco: i gol sono quello che conta, il resto sono cose di poco conto.

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Cartoline dell’estero

1 — Il gol impossibile

Messi™. Crediamo che questo gol di Messi andrebbe brevettato. Messi dovrebbe pensarci, è un bravo imprenditore di sé stesso e la sua immagine vale già un sacco di soldi. Il gol in questa finale tutta indipendentista di Copa del Rey è una delle cose più messistiche alle quali si possa pensare: tre difensori che impazziscono attorno a lui, un campo di forza attorno al pallone, uno scatto in avanti che muove praticamente tutto ciò che c’è intorno, cambia tutti gli spazi: questo è Messi. A completare uno slalom incredibile, dentro l’area fa un’altro movimento tipico, rapido come per i mortali forse solo muovere le palpebre: spostarsi la palla sul sinistro e tirare al primo palo in uno spazio in cui devi azzeccare tutto sennò ti murano, il portiere para, becchi qualche gamba, l’esterno della rete o il palo stesso.

Ecco, qui però stiamo parlando di Messi e infatti questo gol l’avete visto a ripetizione tutti i giorni scorsi ma oh, voi vi siete stufati? Noi no.

2 — Quitarselo, mas y menos

Quando si tratta di undici giocatori multimilionari ognuno è libero di giocare come vuole. Neymar ne approfitta per cercare di fare ( meno bene) un numero che riusciva spesso all’immenso Cuhatemoc Blanco, ovvero saltare con un sombrero due giocatori del Athletic. Solo che invece che quitarselo ( che in spagnolo equivale al nostro “togliersi il cappello”) Aduritz e San Jose cercano di farglielo mangiare. Tutto molto bello: Spoiler, contiene il simpatico Sergio Busquets che placa gli animi come al solito suo.

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3 — La monumentàl pitada

Andalusi, asturiani, castigliani, cantabri. Quando ti addentri in un discorso con degli spagnoli sai sempre di muoverti in un campo minato, in un patchwork complesso di autonomie e rivendicazioni indipendentiste.
Ed è per questo che la partita del Camp Nou tra Athletic e Barcellona non poteva che avere questo epilogo: catalani e baschi che, insieme, bombardano di fischi l’inno nazionale, mettendo suoni di disprezzo in un testo privo di parole.

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4 — Arsenal ninja alla riscossa

Non siamo più abituati. A cavallo tra anni 2000 e ’10, l’Arsenal ha raccolto l’eredità dell’Inter di Moratti come squadra più inconcludente del calcio europeo. Piazzamenti Champions in Premier, nessuna vittoria importante, tante delusioni. Certo, con molti soldi in più e uno stadio straordinario di proprietà. Ma sul campo la storia non è stata molta diversa.

Poi il miracolo: l’anno scorso l’Arsenal ha spezzato la maledizione di vittorie ed è tornata ad alzare un trofeo. A nove anni di distanza dalla League Cup del 2005, Wenger ha vinto la F.A. Cup 2013–14 contro l’Hull City. Un segnale di vita. Quest’anno si sperava che si potesse tramutare in qualcosa di più. E in effetti per un certo periodo dell’anno l’Arsenal ha volato: dal 4 gennaio all’11 aprile i Gunners hanno ottenuto 16 vittorie su 18 gare giocate in tutte le competizioni. Not bad.

Ieri è arrivato il terzo trofeo negli ultimi 12 mesi. La 12° F.A. Cup vinta nella storia del club (record inglese) è stata senza storia. Un 4–0 a un Aston Villa invisibile, persino troppo facile: reti di Walcott, Sanchez, Mertesacker (!) e Giroud. Ora bisognerà vedere la solita storia: Wenger rimane o tocca a Klopp? E se rimane, l’Arsenal chi compra e chi lascia partire? Ma soprattutto: l’epoca degli invincibili è irripetibile?

https://www.youtube.com/watch?v=YWZ6RoKkPLE

Aston Villa inesistente.

5 — Leicester City POV

“La stagione è andata a puttane, perché non ci andiamo anche noi?”. Non è andata proprio così, eh, il Leicester in realtà si è salvato, e quindi per festeggiare c’è stata una tournée celebrativa in Thailandia, patria del proprietario delle Foxies.
Purtroppo però James Pearson, Adam Smith e Tom Hopper hanno deciso di rilassarsi nel dopo partita con una delle attività preferite dai giovani locali, filmandosi con dei cellulari in compagnia di tre prostituite. Chiaramente la viralità dell’epoca internet ha fatto si che subito si spargesse a macchia d’olio e si levasse un polverone mediatico che porterà alla pubblica gogna i tre, con le annesse frasi caricaturali dal sapore vagamente razzista. A leggere la carte d’identità non si nota la differenza con quello che fanno i loro connazionali ubriachi a Phuket, ma l’ennesimo scandalo sessuale che coinvolge la Premier è il segno che quando si è famosi pubblico e privato non devono andare scissi per non rovinarti la vita.

I commenti razzisti dei tre campioncini del buon gusto, poi, sono la ciliegina avariata sulla già abbondante figura di merda.

Articolo a cura di Gabriele Anello, Sebastiano Bucci, Sebastiano Iannizzotto, Mattia Pianezzi e Simone Vacatello

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