Oriente d’ingrandimento

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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5 min readApr 28, 2015

Curva sud (est asiatico)

Derby di Roma, 16 ottobre del 2011, Klose al 92′ manda in Paradiso i laziali. Un tifoso, annota sul suo diario: “Quando l’arbitro soffia il fischio finale sono lì, seduto a piangere come uno scemo, mentre tutti festeggiano!” A piangere sono due occhi a mandorla, le due righe non sono neanche state pensate in italiano. Le ha scritte Nigel Gan, leader dei laziali di Singapore, in trasferta in Indonesia per vedere il derby insieme al Lazio club di Giakarta. “La maggior parte dei sostenitori della Lazio presenti in Indonesia ha iniziato a seguire il biancoceleste quando Sven Goran Eriksson ha vinto lo Scudetto. Ma ce ne sono molti che sono diventati tifosi prima del 2000. Io ad esempio, sono rimasto folgorato dalla squadra quando negli anni 90 ci giocava il mitico Beppe Signori”. Nigel Gan ha anche realizzato il suo sogno, vedendo la sua Lazio a Roma. Della trasferta ne ha tratto un diario, acquistabile in ebook su Amazon. Sky e Mediaset ovviamente non seguono nessun campionato asiatico ma, da quelle parti, la febbre per le Serie A è salita negli ultimi 10 anni, e non si ferma alle maglie strisciate di Juventus, Inter e Milan. Dopo il derby di Coppa Italia del 26 maggio 2013, i tifosi biancocelesti di Giakarta hanno letteralmente accorciato lo spazio tempo offrendo uno spettacolo ai limiti dell’assurdo.

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Vaffancina

A Pechino, per la finale di Supercoppa 2010 tra Lazio e Inter (quella del Triplete di Mourinho), le tifoserie (cinesi) delle due contendenti si sono affrontate poche ore prima della partita: faccia a faccia, schierati come due piccole Muraglie gemelle, interisti e laziali si sfidavano, imbruttendosi l’un l’altro, al suono di “Lazio! Lazio! Lazio” / “Inter! Inter! Inter”. I più tranquilli si limitavano a toccare curiosi il naso, pronunciato ed italiota, di questo mio amico in trasferta nella sauna a cielo aperto dell’agosto di Pechino. Stesso palcoscenico, Pechino, un anno dopo: i tifosi di Inter e Milan si picchiano, si picchiano veramente, provando a scimmiottare una moda ormai superata anche dalle nostre parti. No al calcio moderno, dicono oggi i nostri Ultras. In Cina non fanno alcuna distinzione: il calcio è calcio, meglio ancora se italiano. Nel 2012, prima che Juventus e Napoli si giocassero la Supercoppa, qualche pechinese bianconero, mentre seguiva l’allenamento dell’allora squadra di Conte, ha voluto ribadire le proprie origini, per non lasciare spazio a fraintendimenti (sinceramente) difficili da immaginare. I cori da stadio non vengono tradotti ma semplicemente imparati a memoria, la forma è decisamente più importante del contenuto, anche l’insulto diventa canto.

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Folza Lagazzi

Stazione Centrale di Napoli, è il Natale del 2011. Camminando verso Piazza Garibaldi, un biglietto abbandonato sul muro non può che catturare l’attenzione. E’ chiaramente scritto da un asiatico, il mix tra ideogrammi e italiano maccheronico è più intrigante che comico, il testo lascia poco spazio all’immaginazione: “Caro Babbo Natale, spero di vincere Napoli di championes leage”.

Gli eccessi, però, sono andati ben oltre un semplice post it in stazione. Durante gli ultimi europei del 2012, un super tifoso cinese è morto dopo una pesante indigestione di calcio televisivo: undici notti consecutive, senza mai staccare l’attenzione dallo schermo. Un’overdose di telecronache che, insieme a tabacco e alcool, hanno spento passione e vita del 26enne di Changsha. “Un uomo s’era ucciso per il suo amore” direbbe de Andrè, controfirmando la tesi che di pura devozione, al limite dell’ossessione, si parla. L’Asia calcistica vive nel mito della nostra Serie A. C’è vita oltre l’esperienza di Cannavaro e Lippi in Cina e gli ingaggi di fine carriera per Materazzi e Del Piero, chiamati dai nuovi ricchi imprenditori indiani. No, i soldi non c’entrano, come non c’entra l’idea anni ’90 di un’ Italia paradiso di fama e benessere. I tifosi asiatici amano incondizionatamente il calcio italiano, ma è un entusiasmo che arriva con almeno 20 anni di ritardo. Quello che tra gli ’80 e i ’90 era senza dubbio il più intrigante sistema calcistico mondiale, oggi non è altro che lo specchio opaco di un paese che ha poco da offrire, soprattutto come esempi e modelli culturali da esportare. Creduloni? Anche gli asiatici sono figli di un lungo corteggiamento mediatico. In Asia ci si innamora del calcio italiano proprio nel decennio d’oro, quando i più importanti campioni del panorama mondiale giocano in serie A. In quegli anni più di qualche squadra, guidate da uffici marketing alla ricerca di nuovi mercati da invadere, aveva organizzato le prime tournee estive proprio in Oriente. La prima a battere la nuova strada è la Lazio di Cragnotti che, nell’estate del ’96, è portata in trionfo dal pubblico cinese e giapponese che invade alberghi e aeroporti per vedere da vicino Boksic e Beppe Signori. Poi è toccato alle grandi storiche, Juve/Inter e Milan, seguite negli ultimi anni anche da Roma, Napoli e Fiorentina. Chi ha seminato a cavallo tra i due millenni, oggi ha dei raccolti incredibili. I bambini che a metà anni ’90 si accalcavano per strappare un autografo ai divi italiani oggi sono i giovani uomini che piangono per la propria squadra. Particolare il caso, nipponico, del Gamba Osaka: due volte campione del Giappone, una Champions asiatica in bacheca e una quasi perversione per l’Atalanta. Si, l’Atalanta. Diecimila chilometri di distanza, stessa maglia, nerazzurra, simile il nome della torcida “Brigate nerazzurre Osaka 1999”, al limite dello stalking quello della curva: “Curva Nord Osaka”. Non c’entrano i gol di trent’anni fa di Stromberg, difficilmente in Giappone ricorderanno la chioma bionda di Caniggia e gli anni ’90 di Sgrò e Bonacina. E’ Italia, è vicinanza cromatica, è semplicemente un colpo di fulmine. In Italia il termine più usato per definire il fenomeno è clonazione, ma non si tratta di questo. E’ più una rivisitazione, un nuovo genere letterario, che alla base ha una passione autentica e la cantilena di un incomprensibile coro in italiano.

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I nuovi clienti

In tempi di crisi scoprire un un catino di incondizionata passione verso il calcio italiano è un’occasione che la Lega calcio e i commercianti delle tv non si sono lasciati scappare: Il campionato spezzatino a questo si deve, la collocazione delle partite ad orari bizzarri è la conseguenza dell’appeal made in Italy in Oriente. Il ricordo di Kazu Miura, pioniere giapponese nel Genoa metà anni ’90, le imprese da scudetto giallorosso di Nakata e le pennellate mancine di Nakamura a Reggio Calabria e Venezia sono piccoli episodi già archiviati. L’interista Nagatomo e il milanista Honda non si trovano a dover raccogliere eredità pesanti. In Asia il nostro calcio piace anche senza rappresentanti in campo. Ma va bene così, Thoir lo ha detto chiaramente: “Ci sono almeno 13 milioni di indonesiani che tifano Inter”, 13 milioni. Tre volte il bacino di Roma, dieci Milano accatastate una sopra l’altra, un tuffo in un mercato che apre business plan impensabili (da quando Thoir ha preso il posto di Moratti, le vendite di maglie in Asia sono salite del 20%). Di recente, il cinese Wang Jianlin e la sua Dalian Wanda, hanno acquistato per poco più di un miliardo la Infront, detentrice dei diritti tv del calcio italiano (la Infront è solo questo? vedi inchieste di fulvio paglialunga). Da tempo si parla di un interessamento asiatico per il pacchetto di maggioranza del Milan, con il thailandese Bee Taechaubol pronto a versare un miliardo. Ma non è questo che sembra interessare l’ossessione da tifoso asiatico. Tifosi che copiano, reinterpretando a modo loro, usi e costumi di un calcio che in Italia in molti hanno scientemente dimenticato.

Articolo a cura di Francesco Tomei, romano classe ’85, ha collaborato con le super milanesi Sportitalia e Sky Sport 24. E, nonostante tutto, Milano la ama. Filmaker per passione, un documentario in uscita, trequartista classico per vocazione.

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