Os Santos Populares
I Lisboetas (o meglio gli Alfacinhas) sono il risultato di secoli di contaminazioni etniche arabo-latine e non solo, e di superstizioni non se ne fanno davvero mancare: sostengono che la statua sia stata edificata per proteggere la capitale dagli eventi sismici che in passato distrussero i due terzi della città, e finora sembra aver svolto egregiamente il suo compito.
Nel maggio 1959, calcisticamente parlando, ci fu un altro tipo di terremoto che sconvolse i cittadini dei due principali centri urbani Lusitani: l’allenatore dei Dragões, l’ungherese di origine ebraiche, Béla Guttmann, firmò per il Benfica poco prima che fosse disputata la finale della Taça de Portugal: ironia della sorte, il Porto era chiamato ad affrontare proprio il Benfica.
La storia di Béla Guttmann con O Glorioso è ormai nota a tutti: soprattutto è nota a tutti la fine della sua avventura con la compagine vermelha, in virtù di quelle che sono solo le due più recenti sconfitte (peraltro consecutive) in finali di competizioni europee (gli atti conclusivi dell’Europa League 2012/2013 e 2013/2014). Occasioni che hanno inevitabilmente riportato alla luce questo ritrovato apocrifo di mitologia ebraica; tuttavia l’anatema scagliato contro il club e contro gli altri team portoghesi, se vogliamo, sarebbe stato già in parte annullato dal Porto di José Mourinho, che nel 2004 ha conquistato la sua seconda Champions League. La superstizione è sempre un problema di chi ci crede.
Per questo, se proprio bisogna ricordare una frase di Guttmann, quella sulla maledizione non è di certo la frase giusta; ne esiste un’altra, poco conosciuta per chi vive al di fuori della Lusitania, ma che è diventata un proverbio popolare tra i tifosi portoghesi e non.
Pronunciata da Guttmann dopo l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni, recitava “O Benfica não tem rabo para duas cadeira”. “Il Benfica non ha il culo per poter stare su due sedie”
Bela Guttmann e il Benfica prima del match di Coppa dei Campioni contro il Tottenham
Il mantra del demiurgo
In seguito al terremoto del 1755 Sebastião José de Carvalho e Melo, meglio conosciuto nella capitale portoghese come O Marquês de Pombal, primo ministro del regno, pronunciò la famosa frase: “E ora? Seppelliamo i morti e diamo da mangiare ai vivi”. I risultati raggiunti dal Marchese furono notevoli, e a testimonianza degli stessi e della riconoscenza verso di lui a Lisbona venne eretto un discretamente alto monumento in suo onore; la rotonda al cui interno il monumento è posto viene presa d’assalto nel momento in cui i Benfiquisti festeggiano la vittoria della Primeira Liga.
Lisbona è prevalentemente Benfiquista se non lo si fosse capito.
Per riuscire a comprendere il compito che Jorge Fernando Pinheiro de Jesus deve assolvere sulla panchina dello Sporting Lisbona, tanto quanto quello — decisamente più arduo — di riconquistare la stima di mezza città, la figura del Marchese è fondamentale; Jorge Jesus, peculiarmente, non rappresenta solo il tentativo di riscatto de Os Leões ma è allo stesso tempo causa dello sconvolgimento, del nuovo terremoto calcistico, che sconvolge il distretto di Lisbona.
Jesus, con Béla Guttmann, ha davvero poco in comune (da un punto di vista propriamente tattico), se non il retaggio mistico della superstizione che poggia sulla serie di assonanze tra il suo cognome, il soprannome dello stadio del Benfica, il da Luz, conosciuto anche come ‘A Catedral’, e il palcoscenico di una città dominata dalla statua di un Cristo sullo sfondo. E poi la sicurezza in sé stesso, che si evince da dichiarazioni nelle quali spesso raggiunge vette ai limiti della presunzione.
Jesus è un allenatore sanguigno. Questo piano sequenza (anche se non balla, non esulta né protegge un tifoso), ne è la prova. Un concentrato di emozioni incastonate sul suo viso.
Con il Benfica Jorge Jesus ha vinto una Taça de Portugal, una Supertaça Cândido de Oliveira e cinque Taça da Liga, esprimendo un gioco rapido e offensivo, in cui il pressing estenuante e alto sui difensori avversari aveva un ruolo cruciale nella fase di non possesso; non proponeva regolarmente gli stessi interpreti, ad eccezione di alcune colonne portanti funzionali al suo gioco. Non sono stati molti i calciatori portoghesi che Jesus ha inserito, negli anni, nell’undici di partenza delle Águias (una delle poche analogie con l’allenatore ungherese); tuttavia, diversi sono i talenti lanciati nel panorama calcistico europeo e mondiale. Di Maria, Witsel, David Luiz, Coentrão, Ramires e Marković, per citarne alcuni, sono tutti passati sotto la sua guida attenta.
La vertigine di Jesus
Al Benfica JJ ha perfezionato la propria visione del gioco: schierava un 4–4–2 le cui peculiarità erano la dinamicità e il trasformismo delle posizioni degli interpreti e del modulo stesso, che durante l’arco del match poteva evolversi tanto in un 4–3–3, quanto in un 4–2–3–1 che diventava, all’uopo, un 4–2–2 difensivista. La squadra veniva schierata in campo con le linee mediana e di difesa molto vicine tra di loro; spesso i difensori accorciano verso il centro del campo.
Uno splendido esempio del modo di interpretare il calcio delle squadre di Jesus ci è stato offerto in occasione (specie durante il primo tempo) della semifinale di andata dell’Europa League 2013–14 contro la Juventus: l’essenza distillata del suo gioco consisteva in uno spasmodico tentativo di riconquista del pallone e di distruzione delle trame offensive dell’avversario. Un preziosismo tattico, questo, reso possibile dalla compattezza del centrocampo della squadra, la cui linea mediana diventava un ulteriore argine davanti la difesa, entrambe riversate o a ridosso della metà di campo avversaria; la prossimità tra i due reparti permetteva così di intasare le linee di passaggio e quindi di ostruire i tentativi di costruzione del gioco avversario, che il più delle volte era costretto a ricorrere al lancio lungo.
La dimostrazione che i movimenti del gioco imposto per anni da Jorge Jesus sono ancora presenti nella mentalità dei giocatori del Benfica. Qui, con la difesa alta, Luisao sale più volte nel tentativo di recuperare il possesso della palla, mentre Talisca e Samaris chiudono lo spazio centralmente.
Una volta recuperato il possesso della sfera, il suo Benfica si proiettava in avanti con delle verticalizzazioni tanto immediate quanto precise che, in più occasioni, finivano per sortire i risultati sperati, vale a dire un buon numero di realizzazioni. La mole di continue e rapidissime verticalizzazioni espresse dal Benfica di Jesus venne definita da Villas Boas, allora tecnico del Porto, “Vertigem Vertical”. Una descrizione che rende bene l’idea dell’impatto che una tale tipologia di gioco ha sui giocatori avversari, e che sottolinea la differenza sostanziale con un modulo il cui punto cardine è la circolazione di palla, come quello del suo Porto.
Le realizzazioni del Benfica invece, erano figlie di un gioco che faceva della velocità e del carattere offensivo le sue caratteristiche principali e che, se interpretato alla perfezione, sapeva portare all’annullamento tattico dell’avversario, il quale salvo modifiche dell’ultimo minuto al proprio gioco, si vedeva spogliato di tutte le armi a sua disposizione.
Rapidità e precisione unite al senso della posizione: Qualità imprescindibili per attuare la Vertigem.
Jesus è il tipo di allenatore che, al massimo delle possibilità, mette i suoi schemi a disposizione delle caratteristiche dei giocatori che allena e non viceversa, e il gioco espresso dal suo Benfica ne è la perfetta riprova. Infatti, se da una parte una difesa molto alta ed una distribuzione dei giocatori volta a coprire la parte centrale del campo durante le fasi di non possesso comportava un’eccessiva esposizione ai cross avversari dalle fasce, dall’altra l’abilità nel colpo di testa dei suoi centrali di difesa (Luisao e Garay) sopperiva ogni inevitabile lacuna all’interno del suo gioco.
Jesus vs Jesus: Una “Vertigine” da conquistare
La sensazione per i più, in Portogallo, è che sostanzialmente il gioco di Jesus allo Sporting sia lo stesso di quello espresso dal suo Benfica. Ed è una sensazione che è diventata una certezza quando le due squadre si sono trovate l’una di fronte all’altra in occasione della Super Taça ad Agosto; non solo il risultato, ma soprattutto il gioco ha dato ragione alla squadra allenata da Jesus.
Il Benfica, autore di una prestazione ai limiti della farsa, era l’ombra di sé stesso, spogliato dalle idee di gioco a cui era solito fare affidamento. Tutto ciò sarebbe apparso ancora più evidente in occasione del match di campionato, nel quale Jesus avrebbe rifilato un sonoro 3–0 agli Aquilotti.
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Cambiare senza stravolgere: potrebbe essere definita in questo modo la nuova filosofia dello Sporting. Una delle principali differenze nel gioco del Jesus Sportinguista, infatti, sta in una visione più rilassata, più attendista della partita, con un notevole numero di passaggi volti alla circolazione della palla, prima della solita rapida verticalizzazione: qualcosa di molto più simile al “passa-repassa-chuta” di Guttmann che non alle travolgenti ripartenze del suo Benfica.
I portoghesi esprimono tutto ciò con quattro parole di più immediata comprensione: “Um modelo mais paciente”.
Esercizi di stile
Lo Sporting Lisbona degli anni 10 del terzo millennio incarna al meglio la figura della “grande decaduta”; l’ultimo scudetto conquistato risale alla stagione 2001/2002, quando era allenato dall’ ex tecnico della nazionale portoghese Boloni e si affidava a uno strepitoso Mario Jardel, del quale noi spettatori inermi non avremmo osservato che l’infame fine della sua carriera, all’Ancona in B; poi il nulla in campionato, qualche Taça e Supertaça e una finale di Coppa UEFA disputata all’ Alvalade e persa contro il CSKA di Mosca.
La squadra russa sembra ormai essersi definitivamente consacrata nemesi dei Leoes in Europa.
Pur non disponendo dei propri uomini di fiducia, Jesus allo Sporting può contare su un buon mix di giocatori tra promettenti individualità, interpreti d’esperienza ed ex talenti che il nostro calcio ha forse troppo frettolosamente liquidato come pacchi.
Talvolta l’abissale differenza che vi è nel gioco dello Sporting rispetto a quello che Jesus poteva esprimere con il suo Benfica è lampante. Le partite dello Sporting in questa stagione, sono un’ottima cartina tornasole per chiarire (se mai ce ne fosse bisogno) concetti come: “Giocare a memoria” o “qualità degli interpreti”. A volte, infatti, gli errori dei verde-branco sono propriamente frutto delle difficoltà “temporali” nell’apprendere un nuovo metodo di gioco, altre volte invece sono il risultato di limiti tecnici, di caratteristiche assenti nel corredo genetico di chi li commette.
Il nuovo modulo non è stato ancora del tutto assimilato; gli attaccanti non attaccano abbastanza bene la profondità e non sono pronti a ricevere il pallone; le linee di passaggio per il portatore di palla sono ostruite.
La coppia di centrali di difesa non è di certo all’ altezza di quella del Benfica; l’apporto di Luisao, infatti, non era dato solo in termini di gioco aereo (attivo e passivo), ma anche e soprattutto per quel che riguarda l’impostazione della manovra, il suo avvio. Luisao era un vero e proprio “Spin Doctor” dell’azione di Jesus.
Naldo è una vecchia conoscenza del campionato italiano: ha militato tra le fila dell’Udinese e del Bologna nelle stagioni precedenti, senza distinguersi particolarmente per merito. Allo Sporting è arrivato motivatissimo, certo di potersi consacrare come il leader difensivo che Jesus cerca e di cui ha bisogno; in fondo è consapevole di non essere Luisao, anche se nessuno glielo fa notare. Naldo oggi ha una clausola rescissoria di 45 milioni.
L’abnegazione del Leader.
Il centrocampo dello Sporting con Jesus sulla panchina si compone solo ed esclusivamente di elementi talmente duttili da raggiungere livelli di trasformismo da Destra e Sinistra storica (se mi permettete una poco sobria analogia). Saper interpretare al meglio le due fasi del gioco da ruoli che possono essere anche diametralmente opposti è un requisito fondamentale, richiesto, in ogni modulo di JJ.
Uno dei migliori discepoli della dottrina Jesus è senz’altro William Carvalho, allo Sporting da qualche stagione e primo vero Cracque della rosa bianco verde. A soli ventitré anni Carvalho è già un interdittore di gioco maestoso, con uno stile davvero singolare, nonostante la propria mole e gli interventi in cui a volte è costretto a ricorrere; possiede inoltre una discreta visione di gioco, una buona duttilità e velocità, e un ottimo senso della posizione.
La maggior parte dei palloni passano dai piedi di Adrien Sebastian Perruchet Silva, metronomo della squadra. Ha le geometrie, i lanci illuminanti e l’intelligenza tattica del vostro regista preferito oltre che una discreta media realizzativa: quest’anno ha già messo a segno sei gol in campionato.
Un altro centrocampista di prospettiva è João Mário, interno di centrocampo, che gioca spesso e volentieri come ala (destra o sinistra senza molte differenze); ha già esordito in nazionale nel 2014, disputando da allora sei partite.
Entrambi svolgono un doppio ruolo all’interno del gioco di Jesus, in fase di non possesso tendono a convergere verso il vertice basso del loro centrocampo in modo da costringere l’azione dell’avversario verso le fasce; Adrien svolge quasi alla perfezione questa fase del gioco, avendo un miglior senso della posizione rispetto a JM, nato con l’istinto di attaccare la profondità, risultando letale in più di una occasione quando impiegato sulla fascia nel 4–4–2.
A dimostrazione di ciò, è emblematico quello che JM fa nell’azione del gol vittoria di Adrien contro il Maritimo; in questa azione vi è molto della visione del gioco di Jesus: verticalizzazioni rapide, scambi veloci e soprattutto la presenza di almeno un giocatore, JM in questo caso, capace di puntare e saltare l’uomo.
Lo scambio è da manuale di calcio.
Uno degli ultimi ad assaggiare il prato dello stadio Alvalade in cerca di riscatto è l’attaccante costaricano Bryan Ruiz. Una stagione meravigliosa, la prima, al Twente, 24 gol in 34 partite, che valsero alla squadra il primo titolo nazionale degli olandesi; successivamente, salvo la parentesi con la Costa Rica, nel Mondiale 2014, dove si è reso protagonista con la propria nazionale di un’impresa memorabile, quella che li ha visti capaci di eguagliare e superare il record che la Costa Rica di Bora Milutinovic aveva stabilito durante la Coppa del Mondo 1990, cioè il raggiungimento degli ottavi di finale, di Bryan Ruiz con le squadre di club, si è persa per un po’ traccia, certo è che il campionato portoghese potrà dargli l’occasione che aspetta.
L’ ultima stagione alla Fiorentina, di Aquilani, è stata quella più avara di soddisfazioni a causa degli infortuni e di una discontinuità cronica che alla fine gli sono valsi la scadenza senza rinnovo del contratto. Eppure, le prime due stagioni con la maglia viola sono state degli autentici picchi nei continui Sali-scendi della sua carriera. Nella prima stagione con la Fiorentina (2012–13), ad esempio, sigla sette reti e batte il proprio record di gol stagionali. Durante la seconda stagione (2013–14) mette a segno la sua prima tripletta (contro il Genoa) e raggiunge le duecento presenze in Serie A, oltre ad eguagliare il suo precedente record di marcature stagionali.
Questi numeri gli sono valsi delle convocazioni importanti in nazionale (la Confederations Cup e il successivo Mondiale 2014). La scadenza del contratto e il successivo approdo a Lisbona possono senz’altro giovargli, come dimostrano i cinque gol siglati in venticinque presenze, nonostante si trovi spesso a subentrare dalla panchina a causa del centrocampo sovraffollato dello Sporting. Aquilani costituisce una validissima alternativa ad Adrien, pur potendo interpretare agevolmente un ruolo più avanzato tra i reparti della squadra.
Precisione e velocità di azione, Aquilani allo Sporting potrebbe essere il valore aggiunto che la squadra cercava.
Il talento più interessante dell’intera rosa dello Sporting è l’algerino Islam Slimani. Arrivato dal CR Belouizdad da emerito sconosciuto e riscattato per soli 300 mila euro, Slimani è un connubio di buona agilità e discreta tecnica, caratteristiche che unite ad uno strapotere fisico, al fiuto del gol e ad un micidiale colpo di testa gli conferiscono una certa dominanza dell’area di rigore. Ma c’è di più: Islam, insieme agli altri esuli di questo ruolo, che professano il loro credo in Spagna (Suarez), in Inghilterra (Vardy), in Italia (Higuain, Belotti) per citarne solo alcuni, sembra sancire finalmente il definitivo ritorno del numero 9 old-school.
Un dato inequivocabile a suo favore è offerto dal fatto che i difensori russi non siano proprio bassini.
Superstizioni fatali
Jorge Jesus, con il suo approdo allo Sporting, non ha cambiato ricetta di calcio: anzi, sembrerebbe quasi essere l’unico ad avere la chiave di volta per conquistare il campionato portoghese. Ed è anche riuscito, attraverso il suo trasferimento e con la vittoria del primo titolo nazionale di stagione con lo Sporting, a riaccendere una rivalità che negli ultimi vent’anni il calo di competitività dei biancoverdi aveva fatto assopire.
Ora bisognerebbe chiedersi se Os Leões, contro ogni pronostico, abbiano davvero le capacità per star seduti su due sedie. E anche se Jesus, lasciando il Benfica, sia riuscito a scrollarsi di dosso il manto credenze popolari; nel dubbio un mazzo di fiori, passando da Vienna, sulla tomba dell’allenatore ungherese, non guasterebbe affatto. Dopotutto, come diceva Eduardo, essere superstiziosi è da ignoranti. Ma non esserlo porta male.
A cura di Danilo De Sensi