Paradosso Jenson

Crampi Sportivi
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11 min readNov 25, 2016

«Il sesso è molto meglio delle corse: siamo stati messi su questa terra per far sesso. Correre (in F1) è un bonus».

Il binomio “donne e motori” sembra un cliché, ma è più frequente di quanto si pensi. Anche in tempi ormai diversi come i nostri, è una formula che non accenna a diminuire d’intensità. Ciò che potrebbe sorprendere è l’autore della frase.

La sua immagine oggi è ben diversa da quella al tempo di questa citazione: era l’agosto 2003 e correva in F1 da quattro stagioni con risultati altalenanti, già alla terza scuderia in pochi anni. Con il vecchio sistema di punteggio e le forze in campo a quei tempi, non aveva ancora centrato un podio o una pole position.

Insomma, uno dei tanti.

13 anni più tardi, Jenson Button è diventato un santone della F1. Per me — che seguo la categoria da vent’anni e ricordo bene quella frase — è sempre stato un mistero capire cosa (e quando) abbia provocato la trasformazione dell’immagine dell’inglese, più razionale e oggetto di pezzi che lo dipingono come «un signore», soprattutto di fronte a ragazzi viziati (ogni riferimento a Hamilton e soprattutto Verstappen non è casuale).

Un paio di mesi fa, JB ha annunciato una sorta di ritiro tramite la three-drivers strategy della McLaren: non sarà in griglia nel 2017, dando spazio al pilota di riserva Stoffel Vandoorne, campione GP2 del 2015 e già presente in Bahrain, dove ha colto un discreto punto alla sua prima gara in F1. Ciò nonostante, la sua carriera non è finita: svolgerà ancora il ruolo di collaudatore e ambasciatore per la McLaren.

Non solo: se fossero confermate le voci di una McLaren-Honda ancora poco competitiva per vittorie e podi nel 2017, Fernando Alonso potrebbe chiudere l’avventura in F1. E allora chi meglio di Jenson — seppur a quel punto 38enne — per affiancare l’emergente Vandoorne? Quindi, la parola “fine” non è ancora definitivamente scritta, anche JB ha chiuso la porta al 99% a un eventuale ritorno.

Tuttavia, alla vigilia di quello che potrebbe essere il suo ultimo Gran Premio, è giusto ricordarci cosa ha rappresentato Jenson Button per questo mondo. E cosa ci perderemo nei prossimi anni.

Tirocinio d’alto borgo

Nato nel 1980, il motorsport è stato sempre di casa. Il suo nome è mutuato da quello dal pilota danese di rally Erling Jensen, amico e collega del padre John. I motori aiutavano a distrarlo anche da una situazione familiare poco serena e diventeranno poi la sua professione.

La prima dimostrazione arriva da piccolo: a 11 anni vince TUTTE le 34 gare del campionato British Cadet Kart. Nel ’97 porta a casa anche l’Ayrton Senna Memorial Cup: da lì, il salto alle gare più competitive è naturale. Button vince anche la British Formula Ford e il premio assegnato ogni anno da McLaren, Autosport e BRDC. Insieme a quel premio, arrivano 100mila sterline e la possibilità di testare la McLaren dell’epoca.

Quando corri nei kart, ti squalificano e ti viene da piangere.

Quasi un anticipo dei tempi che verranno: dopo aver corso nella Formula 3 britannica del 1999, arriva la grande occasione. I test con McLaren e Prost lo fanno arrivare agli occhi di Frank Williams, alla caccia di un ricambio dopo la separazione con Alex Zanardi. Il colloquio decisivo è in uno shoot-out con Bruno Junqueira: l’inglese segna il tempo migliore e si affaccia alla F1 a soli vent’anni.

Su di lui si concentra un’attenzione che ha pochi eguali: è il pilota britannico più giovane della storia e per questo avrebbe bisogno di tranquillità, ma il mondo si affretta a chiamarlo fenomeno. Il top lo raggiunge il capo del suo team di kart, che lo paragona ad Ayrton Senna. SENNA! Il combinato di questa pressione è una difficoltà più grande di quella che in realtà lo attende.

Ciò nonostante, Button debutta bene: va quasi a punti nella prima gara, mentre ci riesce in Brasile, finendo sesto. Tuttavia, JB è una pedina che non si accorge su quale scacchiere sia disposto: l’inglese avrebbe bisogno di tempo e pazienza, mentre la Williams ha già messo sugli occhi su Juan Pablo Montoya, che quell’anno ha vinto la 500 miglia di Indianapolis ed è forse uno dei piloti più eccitanti del panorama motoristico.

Ti accorgi che gli anni sono passati quando il tuo primo highlight è un sorpasso su Verstappen. SENIOR.

Basta poco — un periodo di forma non entusiasmante, chiamiamolo così — perché Button non venga confermato. La Williams può riprenderselo entro il 2003, ma intanto lo spedisce in prestito per due anni alla Benetton. Tuttavia, il periodo sotto Flavio Briatore comincia malissimo: ci sono momenti in cui Button viene dato per finito. Il suo stile di vita — da “playboy”, come dicono alcuni, unito alla poca esperienza — lo porta a risultati pessimi.

Se il confronto con Fisichella è tragico, quello con Trulli va molto meglio: con la rinata Renault, Button arriva davanti al compagno di squadra in classifica punti, ma Briatore ha già deciso che Alonso sarà al suo posto per il 2003 («Il tempo mi dirà se ho sbagliato o meno», disse il team manager. No, non ha sbagliato). Per Button è tempo di una nuova sfida. E non è di quelle più facili.

Japanese connection

Button ha firmato un contratto biennale per la British American Racing, che dal ’99 è in F1 con l’aiuto della BAT (British American Tobacco). Un anno più tardi, la Honda ha tentato di rituffarsi nella categoria fornendo i motori alla scuderia inglese. Dopo un’annata d’esordio chiusa malissimo (zero punti), la BAR è gradualmente cresciuta, centrando anche qualche podio con l’ex campione del Mondo, Jacques Villeneuve.

Tuttavia, all’arrivo di Button, il pilota canadese lo definisce il «membro di una boy band» e suggerisce che il suo arrivo sia più legato al marketing che alla pista. Sebbene il britannico faccia spallucce («Sono qui per aiutare il team, non per compiacere Jacques»), la relazione tra i due è stata un problema per la BAR. Non per Button, che ha tenuto dietro Villeneuve per tutto il 2003.

C’è stato anche qualche problema, come il botto a Montecarlo.

Una volta che il team rimuove Villeneuve (sostituendolo con Takuma Sato, utile per tenersi buona la Honda), Button si è ricostruito una reputazione e il 2004 sarà l’anno giusto per divertirsi. Se la Ferrari domina in lungo e in largo, vincendo 15 GP su 18, la BAR-Honda è una delle macchine migliori del circuito. Lo sa anche Button: «Quest’anno siamo davanti, possiamo fare molto bene».

Gli anglo-nipponici non vincono nessuna delle tre gare rimanenti, ma portano a casa 11 podi e una pole position. Di queste, Takuma Sato conquista solo il terzo posto negli States: il resto è tutta farina di Jenson Button, che porta la BAR al secondo posto nei costruttori (miglior risultato di sempre). A 24 anni, lo status sembra finalmente quello di un pilota che è in F1 per meriti universalmente riconoscibili.

La prima pole non si scorda mai.

Il problema è che quello sarà il massimo per la BAR e per la Honda. Da quel magico 2004, è una discesa continua. Già durante la stessa annata, Button firma un biennale con la Williams: una scelta discutibile, visto che la BAR sembra molto più in palla. Tutto sembra legato alla fornitura dei motori Honda, che però son sempre lì e quindi Button viene costretto a rimanere.

Mentre la BAR fatica nel 2005 e Button ottiene due podi (ma deve aspettare metà stagione per ottenere qualche punto), la Honda si compra l’intera scuderia a fine anno. La disputa sul contratto non è ancora finita e allora i giapponesi risolvono anche questo problema, pagando ben 18 milioni di sterline per impedire che Button ritorni alla Williams.

Con l’arrivo di Barrichello al posto di Sato, sembrano esserci gli ingredienti per diventare grandi. Button si spende con parole importanti: «Penso che nel 2006 saremo uno dei top-team: il fatto che la Honda abbia comprato il team è una notizia fantastica, che mostra la loro volontà di combattere per il titolo. Penso che sarà la miglior chance della mia carriera». Invece, è solo l’inizio della fine.

Il successivo triennio è un dolore continuo: la BAR porta a casa altri tre podi, ma la discesa tecnica è inesorabile. I progetti giapponesi cominciano ad aver del ridicolo: prendete il 2015 della McLaren-Honda, ma mettete tutto il fardello delle colpe sulla parte nipponica. Con l’arrivo di Lewis Hamilton nella categoria, Button non sembra neanche più un riferimento per i britannici.

Sembra così lontano l’unico exploit di JB. Già, perché nel marasma generale, Button ha vinto una gara: il folle week-end dell’Hungaroring 2006 lo porta sul gradino più alto del podio, dove nessuno l’avrebbe mai visto.

Un week-end nel quale Button non si aspettava nulla, partendo per giunta con una penalità di 10 posizioni, che lo colloca al 14° posto. Nel primo GP bagnato della storia ungherese in F1, il talento di Button in condizioni intermedie esce fuori. L’inglese conquista gradualmente posizioni, approfittando anche di una safety car e del ritiro di chi era in testa.

Tra il 2007 e il 2008, la Honda mette insieme appena 19 punti, tra i quali c’è un podio di Barrichello sul bagnato a Silverstone. La carriera di Button sembra ormai finita a 28 anni, tanto che la Honda decide di lasciare il circus a causa di una forte crisi economica. La squadra è senza un soldo e i titoli di coda stanno correndo.

The Britennial Bug

Il 2009 è una sequenza di follia, un film mediocre che si trasforma in thriller, uno sbadiglio convertito in uno status di tensione costante. La scuderia viene comprata all’improvviso da chi non t’aspetti, quel Ross Brawn che ha vinto tanto guidando la Ferrari dal muretto e che è stato il dt della Honda in quegli anni.

Sembra tutto improvvisato: l’acquisto è finalizzato il 6 marzo, a tre settimane dall’inizio della stagione, mentre la coppia di piloti viene riconfermata e c’è la spinta dei motori Mercedes. Button si taglia lo stipendio del 50% pur di continuare in F1, mentre Ross Brawn è cosciente dei rischi per una macchina quasi senza test alle spalle: «Le prime gare faticheremo e potrebbero esserci problemi di affidabilità».

Quella stagione serve a ricordarci due concetti. Primo: Rubens Barrichello non sarebbe potuto diventare campione del mondo neanche su Proxima Centauri. Secondo: chiunque, con la giusta macchina e al momento più appropriato, può avere la chance di vincere il titolo.

Nella gara d’apertura in Australia, la Brawn GP vola: ci si trova di fronte al dominio più breve e al tempo stesso più netto degli ultimi anni. Qualcuno ha provato recentemente ad accostare la Mercedes a quella macchina, ma Button ha rigettato il paragone: «La Mercedes ha un budget molto grande e vince ogni GP, mentre noi non abbiamo vinto tutte le corse. Se avessero voluto fare un film sulla F1, tutti avrebbero amato la nostra storia».

Già, perché il regolamento cambia — ritornano le gomme slick, cambia l’aerodinamica e c’è l’esordio del KERS (il sistema di recupero dell’energia cinetica) — e la sconosciuta Brawn GP non solo conquista la pole a Melbourne, ma vince pure il Gran Premio. In entrambi i casi, a metterci la faccia è Jenson Button.

Nelle prime sette gare, l’inglese è un cannibale: vince sei tappe (tranne in Cina, dove c’è la prima vittoria di Sebastian Vettel e della Red Bull), si aggiudica quattro pole position e crea un voragine in classifica generale. Dopo il GP di Turchia, Button ha 26 punti di vantaggio su Barrichello.

Il merito di questa volata va soprattutto a un controverso diffusore introdotto dalla Brawn, che poi verrà adottato anche dagli altri team a metà stagione. Da quel momento in poi, la scuderia di Brackley vincerà solo due corse (entrambe a firma Barrichello), mentre Button ottiene un solo podio da lì alla fine della stagione.

Tuttavia, la regolarità dell’inglese — sempre a punti tranne che in Belgio — e la competizione tra le altre squadre gli regala il titolo Mondiale con una gara di anticipo: basta un sesto posto a Interlagos per festeggiare con la squadra e il padre, che l’ha sempre seguito nella sua carriera motoristica. L’anno successivo, gli verrà conferito anche il titolo di membro dell’Ordine dell’Impero Britannico.

Stairway to stardom

Tra i campioni del mondo in F1, forse Jenson Button è uno di quelli più controversi, ma l’avventura si è rivelata fortunata per tutte le parti coinvolte. Brackley è diventata la base per la nuova avventura della Mercedes in F1, mentre Rubens Barrichello si è accasato alla Williams e ha corso altre due stagioni nella categoria.

Il titolo appena conquistato conferisce a Button un’aura di autorevolezza: pochi giorni dopo l’ultima gara ad Abu Dhabi, l’inglese firma con la McLaren per tre anni, nonostante Brawn gli avesse offerto più soldi per restare alla Mercedes. Per JB la motivazione del possibile duello con Hamilton è troppo invitante, mentre a Woking hanno la coppia tutta britannica che forse sognavano da tempo.

Come in passato, i pronostici vengono ribaltati. Molti addetti ai lavori pensano che Button faticherà contro Hamilton, vista la reputazione da enfant prodigé dell’anglo-caraibico. La verità, però, è che in tre anni di convivenza Button ha finito una volta davanti a Hamilton in classifica generale (da vice-campione del mondo). Inoltre, il computo triennale tra i due vede Button con 15 punti di vantaggio sul suo compagno di box.

Nel frattempo, Button ha ottenuto otto vittorie e 25 podi. Ha strappato un rinnovo di contratto pluriennale con la McLaren da 85 milioni di sterline. Ma soprattutto si è creato un’immagine da santone, quella del pilota esperto e razionale che nessuno gli avrebbe attributo giusto cinque anni prima.

Tra le vittorie, straordinaria quella nel GP di Canada 2011. Nel mezzo una collisione con Hamilton, la rimonta dal 21° posto e la solita guida da manuale in condizione intermedie.

Button ha i suoi meriti in tutto questo: ha vinto un Mondiale con le giuste condizioni, ha saputo lasciare alle spalle una vita sregolata e soprattutto ha trovato il team adatto per il finale di carriera («Sarà la mia ultima squadra»). JB si è sempre sentito a casa alla McLaren e ha ricambiato la fiducia essendo un’ancora di salvezza per una squadra che non vince più un GP dal 2012. L’ultima volta, guarda caso, fu proprio lui a farlo.

Dopo l’addio di Hamilton e quello della Mercedes, la McLaren ha avuto bisogno di un riferimento silenzioso. Button ha tirato fuori il meglio del suo repertorio proprio nel finale di carriera, costringendo la casa di Woking a rinunciare al tanto elogiato Magnussen per far spazio all’arrivo di Alonso. Non che le cose siano cambiate: Button ha siglato i primi punti della McLaren-Honda a Montecarlo e ha finito la stagione davanti all’ex Ferrari (16 a 11).

Oltre a questo, JB è stato bravo anche nel rivoltare a proprio favore quell’immagine di playboy che gli veniva costantemente ricordata (e che lui ha ingenuamente supportato). Se il suo ruolo sarà quello di ambasciatore della McLaren, saprà farlo egregiamente dal punto di vista mediatico, visto che ha avuto non poche occasioni per dimostrarlo.

Una su tutte? Le sue partecipazioni on Tooned, il cartone realizzato dalla McLaren.

Alla vigilia del suo ultimo GP, è giusto dare a Jenson ciò che è del britannico. Dopo 305 gare, 15 vittorie e 50 podi, etichettarlo come “fortunato” e basta sarebbe ingiusto. Siamo sicuri che l’inglese sia un paradosso meno strano di quello che possa sembrare.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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