Per quale squadra tifiamo noi

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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17 min readDec 17, 2016

Negli ultimi tempi ci sono arrivate, sia via mail che nei commenti, un paio di “accuse” di essere tifosi di questa o quella squadra non come individui singoli, ma come Crampi Sportivi. La cosa ci ha divertito molto e abbiamo riflettuto a lungo sull’opportunità di una risposta, innanzitutto perché non riusciamo a considerare una vera “accusa” il fatto di essere tifosi, tutt’altro. Dopodiché ci sembra un po’ folle pensare che chi scrive di calcio non abbia anche fede calcistica. Mica siamo in chiesa.

Ragion per cui abbiamo deciso di rivelarvi OGNI SINGOLA squadra per cui tifiamo, uno ad uno. Stiamo per fare coming out, e non per desiderio di trasparenza, né per un mal posto senso di orgoglio partigiano: lo facciamo per noi stessi e per far capire agli scettici quanto sia difficile, quando scrivi di sport, tifare per una squadra soltanto, specie se fai parte di un gruppo come il nostro. È un po’ come sentirsi dire «Ma sei Acquario! Siete tutti uguali» e rispondere «Macché, magari, io ho Venere in Pesci e la Luna in Vietnam».

Gabriele ANELLO: Tifo Sampdoria da quando -in un pomeriggio di aprile- i blucerchiati sconfissero la Juve campione d’Italia e futura campione d’Europa con un 3–0 perentorio. I gol trasmessi dalla Rai di Chiesa, Balleri e Seedorf sono sempre rimasti nella memoria. Tifo per la nazionale giapponese, perché il passaporto è italiano, ma il cuore vola dove gli pare. Tifo McLaren e Hamilton perché la passione rossa non mi ha mai toccato. E a un tedesco fortissimo ho sempre preferito la dinastia finlandese prima e poi un anglo-caraibico sfacciato, ma dotatissimo al volante. Le simpatie ci sono e sono forti (Liverpool per la storia, Plymouth Argyle per un carriera indimenticabile a FIFA, Matsumoto Yamaga per i suoi fans e Kagoshima United FC per il posto magnifico in cui giocano) o deboli (Porto per il lato manageriale, BVB per il pubblico fantastico e i colori gialloneri, PAOK per la propria storia e Independiente perché è uno dei pochi lati narrativi del Sud America che mi hanno interessato), ma ci sono.

Claudio BALBONI: Le motivazioni del mio tifo milanista vanno ricercate nel tragitto che sei volte a settimana percorrevo in Fiat 126 per arrivare da casa alla mia vecchia scuola elementare. Quella macchina era colorata di rossonero da portachiavi, sciarpe, figurine. Era la macchina di mio nonno, tanto innamorato del Milan da rifiutarsi di buttare il gesso ingiallito sul quale, mesi prima, di fronte a uno dei pochi alberghi del paese, Rijkaard e Gullit avevano scarabocchiato i loro nomi con un pennarello nero. Passava pomeriggi a farmi vedere le videocassette dei gol di Van Basten, che era forte, che guardava sempre il portiere prima di tirare e quindi non sbagliava mai. E quindi tifo Milan, perché mi ricorda i sedili freddi la mattina, il sole basso d’inverno e perché sa di famiglia. Poi mi esalto per i gol di Totti e le parate di Buffon. Impazzisco per il catenaccio fatto bene e i 2–3–5 di Guardiola. E per il resto tifo sempre per la squadra sotto di un gol.

Francesco Saverio BALDUCCI: Sono interista e la colpa è di mio cugino, della sua maglia di Ronaldo e di quella foto con il Chino Recoba scattata all’aeroporto di Bari. Davvero non sapevo a che razza di esperimento sociologico andavo incontro. Tra nerazzurri ci si intende con uno sguardo: languido, tipico del lunedì mattina all’ingresso del liceo o davanti alla macchinetta del caffè, in ufficio. Nel mio caso, c’è voluto mio padre — che prima della mia nascita considerava il calcio solo come bioelemento del tessuto osseo (in quanto medico) — a farmi capire cosa volesse dire tifare Inter. “Martedì vai a Milano. Però ci vai da solo, ho trovato un solo biglietto”. Avevo quindici anni, e posso raccontare di aver visto, quel 20 aprile 2010, Inter–Barcellona, risultato finale: 3–1. Da circa cinque anni poi nutro una grande passione per la Pallavolo Molfetta, squadra militante nel campionato di SuperLega (ex A1) di volley. Dalla serie B1, in questo quinquennio, è arrivata a giocarsi il play-off scudetto.

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Federico CASTIGLIONI: Quando ero molto piccolo chiesi a mio padre: “Babbo, perché noi oltre alla Lucchese si tifa Fiorentina?” “Perché la Lucchese è la squadra della nostra città, mentre la Fiorentina è la squadra della nostra regione.” “E se giocano contro Lucchese e Fiorentina?” “Un c’è più rischio”. Mi aveva convinto. Tifo viola perché i miei compagni di scuola tifavano Juve “perché vince”, ma per me vincere è l’ultima cosa che conta. Tifo viola perché sono un romanticone, e quanto era bello Batistuta che segnava in Supercoppa al Milan e andava ad urlare alla telecamere “Te amo Irina!”. Ma poi: con chi giocava Toldo quando diventò l’incubo nazionale degli olandesi? Chi scoprì Roberto Baggio? Chi vi ha fatto conoscere O Maestro, Manuel Rui Costa? E Edmundo? Dai, era tutto bellissimo, cos’altro avrei potuto tifare?

Ah, Lucchese-Fiorentina in realtà una volta si è rivista: il 20 agosto 2003, gironi di Coppa Italia di Serie C. La storia del perché la sapete, il risultato forse no: finì 1–1. Era un momento brutto della mia vita, ma le mie squadre senza saperlo mi hanno voluto bene. Poi dici che l’amore non ripaga.

Massimiliano CHIRICO: La prima volta è stato il Milan con le sue tinte rosse e nere magnetiche nella notte di Manchester. Credevo di essere innamorato come succede spesso con quelle cottarelle da gita scolastica al parco naturale scambiate per amori infiniti. Alla fine è durato davvero poco, lo spazio di un quinquennio. Tutto lo sport che sentivo attorno mi parlava di storia, di uomini eroici e di imprese: lo avvertivo in una pizzeria tarantina dal nome “Erasmo Iacovone”, nelle domeniche di famiglia al mare ma senza papà, a casa a veder la Formula 1. Ho capito che essere del Milan era una trappola, che tifare per una squadra era la mia gabbia che mi impediva di seguire tutto questo con ogni centimetro del mio corpo. Ho deciso che avrei votato la mia vita all’underdoggismo, a tifare per i deboli e gli sfavoriti. Questa scusa ce l’ho pronta da anni, ogni tanto la uso con gli sconosciuti ma mi servirà per giustificarmi con mio figlio. La realtà dei fatti è che ero milanista mentre Diego Milito “scriveva triplete in ogni campo d’Europa” e a me Milito piaceva un casino.

Danilo DE SENSI: Nasco juventino, da buona tradizione calabrese, per merito di uno zio, di un certo Pavel e di un contesto atipico (per la provincia in cui sono nato) che vedeva all’interno del giro di amicizie di allora una netta divisione tra romanisti e juventini. Ho continuato e continuo ad amare di un amore nostalgico la Juventus ma non oso più, da tempo, definirmi tifoso. Il tifo, invece, quello spasmodico, delirante, da bava alla bocca è ancora presente in me e si è accresciuto con l’amore spasmodico per una città, Lisbona, e il suo Sporting Clube de Portugal. Seguo con un certo interesse la telenovela del Valencia, il Borussia Dortmund e il West Ham. Ho avuto un breve e travolgente periodo di passione per i Los Angeles Clippers, ma è passato anche quello. Restano però intatte le speranze di vedere Alvaro Bautista vincere un motomondiale, e Bora Milutinovic trascinare al successo il Trinidad & Tobago, o anche il Guangdong Sunray Cave.

Luigi DI MASO: Chi scrive di calcio ama il calcio, potete starne certi. Nel calcio come nell’amore ci troveremo a far vagare il nostro cuore verso orizzonti sentimentali disparati, prima di trovare quello giusto. C’è chi si innamora degli occhi o del culo, di un uomo o di una donna, e c’è chi si innamora della rouleta di Zidane o della grinta di Gattuso. Ad esempio da bambino mi ero infatuato del doppio passo di Ronaldo, quando indossava le strisce nero azzurre orizzontali. Più o meno nello stesso periodo frequentavo la Lazio che scaldava i cuori in Champions con Nedved e Simone Inzaghi. E sapeste quante volte il Foggia mi ha tradito e deluso. Oggi finalmente ho una relazione stabile e soddisfacente con la Juve. Nonostante la Champions non decolli ancora, vi assicuro che sto benissimo così. Dichiaro anche qualche scappatella in passato con la Fiorentina di Prandelli e la prima Roma di Spalletti. Ma oggi quando torno a casa c’è lei, e i suoi collant zebrati sono troppo sexy.

Armando FICO: Tifare per la maglia azzurra, per chi nasce a Napoli, è un fattore presente nel DNA, tuttavia il mio primo contatto col calcio risale ad Brasile-Italia del 1997 e a una frase specifica detta da mio zio: “vabbè, noi giochiamo per giocare. Capito che squadra ha il Brasile e chi abbiamo noi?”. Era il Brasile di Taffarel, Romario, Cafù, Aldair, Denilson e del fenomeno Ronaldo; noi alla fine pareggiammo 3–3 dopo esser stati avanti 3–1. Non c’è niente di scritto, pensai. Meglio ha saputo fare solo il Napoli, che prima mi ha offerto il rito domenicale che aspettavo da anni e poi la chiave di lettura per interpretare la mia stessa città. Scrivo di calcio per questo, per vivere la realtà e capirla. Oltre Napoli ci sono Arsenal, Borussia Dortmund, Porto e Atletico Madrid. Tutte squadre con dietro idee, progetti e filosofie troppo interessanti per non meritare di essere decifrate. All’ombra di Thorpe, Rosolino e van den Hoogenband nasce invece l’amore per nuoto e sport acquatici; a Vermiglio devo la passione per la pallavolo.

Michele GARRIBBA: Non sono un tifoso, non ci sono bandiere o colori sociali in cui mi trincero davanti alla televisione o allo stadio: simpatizzo Milan perché mio padre ha creato una monarchia assoluta in casa. Simpatizzo anche per i New York Knicks per un motivo ancora più stupido: era la squadra più trasmessa quando ho iniziato a seguire la NBA. In verità la mia fissa è sempre stata tifare un giocatore piuttosto che una squadra: mi sembra la forma più alta per amare uno sport, non la più romantica, ma la più razionale insomma, da ciò ne consegue la profonda simpatia verso i Clippers di Chris Paul. Tutto ciò raggiunge il culmine portandomi a tifare sempre la squadra NBA sotto nel punteggio ed anche questo mi sembra razionale e mi chiedo perché non lo facciano tutti.

Sebastiano IANNIZZOTTO: Non c’è un momento preciso in cui ho scelto di tifare Inter: è stata sempre lì, qualcosa che sentivo a un livello istintivo. Ho resistito alle lusinghe bianconere dei miei zii: mi portarono a vedere Juve-Ajax, finale della Coppa Campioni ’96, in pizzeria. Resistetti: ho preferito perseverare nella sofferenza, nello sberleffo dei compagni di classe ogni lunedì mattina, ho scelto il dolore e la contrizione, la sfiga. Quando avevo dieci anni, invece, mi sono innamorato del Catania. Andavo al Cibali con mio padre. Lo stadio era dietro casa, si vedeva dalla finestra di camera mia e mi sembrava grandissimo. Compravamo un pacco di Cipster, lo mangiavamo insieme sulle gradinate della tribuna B e ci guardavamo le imprese di Ciccio Passiatore e di Umberto Brutto. Sempre a quell’età mi appassionai ai Chicago Bulls di sua maestà Michael Jordan. Di quel periodo custodisco una t-shrt nera con il logo dei Bulls grandissimo stampato sopra. Ogni tanto la metto, d’estate, per dormire o andare a fare la spesa al discount.
Tra i 17 e i 21 anni ho giocato a rugby, negli anni migliori per la palla ovale catanese: l’Amatori Catania era in Super10 e non se la cavava affatto male. Del declino successivo (mio e dell’Amatori) preferisco non parlarne, troppo dolore. Mi sono innamorato dei Sale Sharks e degli Harlequins per motivi abbastanza futili (l’avete visto lo stemma degli Harlequins? ecco) come in ogni innamoramento che si rispetti.

Alessandro MASTROLUCA: Sono un romanista nostalgico che si perde nel ricordo di un tiro sotto al sette di 15 o vent’anni fa. Fedele al dogma del 4–3–3 zemaniano. Al calcio spettacolo, alla vittoria da cercare segnando un gol più dell’avversario. Foggia come seconda squadra, per diritto di nascita.

Elena Chiara MITRANI: Faccio il tifo per la Juve da quando ero all’asilo; eredità paterna. Il giorno della mia prima comunione, tra le altre cose, ebbi in regalo la mia prima maglia bianconera, con lo sponsor Danone e il numero 6 di Paulo Sousa. Simpatizzo per due squadre: l’OGC Nice perché da dieci anni passo le vacanze estive a Nizza; dato che ho una passione per i talenti buttati, li tifo ancora di più da quando si sono dedicati a rilanciare le cause perse (Ben Arfa, Balotelli). E poi il Monza, perché il balcone della cucina di casa dei miei si affaccia sui loro campi di allenamento e spesso ci arrivavano i palloni nel giardino del condominio. Ho delle preferenze sporadiche per altre squadre, ma non posso dire di tifarle al punto di esaltarmi o rimanerci male. Premier: Arsenal. Scottish Premier: Celtic. Germania: BVB. Spagna: quando erano meno forti avrei detto Barcellona, ma voglio ancora bene a Zidane e Morata. Rugby Top 14: Stade Français. NFL: New England Patriots. NBA: Celtics. Twitter: A German Team. Quidditch: Grifondoro.

Marco A. MUNNO: Immaginate un bambino timido, introverso e un po’ sfigato al suo trasferimento in una nuova città, senza amici, dopo aver visto la prima partita di calcio della sua vita. Non sapevo se fosse forte o meno, ma alla prima partita fu amore intenso: i colori della Sampdoria erano belli. Bellissimi. Prendono gli occhi così come la lealtà prende il cuore. Come scoperto a posteriori, in quella prima partita della Samp vista (contro l’Arsenal) si stava chiudendo il ciclo vittorioso, aggiungendo poi uno dei tratti più belli del tifare doriano: si, si vince poco. Nel basket preso fra la Fortitudo Bologna, la parente povera che arrivava ad un passo dal superare la ricca Virtus, soccombendo infine all’onta del tiro da 4, e i Clippers, quelli che a Los Angeles sono sempre più poveri, dentro o fuori dal campo, del glamour dei Lakers.

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Saverio NAPPO: Io non tifo il Napoli, lo venero. Mio padre è convinto che abbia commesso un errore madornale a portarmi allo stadio per la prima volta nel 1994 ma non sa che il Napoli mi era già entrato nella testa molto tempo prima. Sono cresciuto nel culto del calcio post-maradoniano a Napoli quindi nel segno della sofferenza e della fede cieca, quella vera. Amo il calcio di provincia, indipendentemente da quello che il mio essere partenopeo mi suggerisce di fare. Credo di essere vissuto a Catania in un’altra vita, altrimenti non si spiega l’amore per la città dell’elefante e la squadra che la rappresenta. Ah, e mi piacerebbe una serie A con la metà delle squadre del sud. Amo le differenze e le rivalità: non c’è calcio senza un rivale.

Simone NEBBIA: Zio Enio, con una enne sola. No, è che mio nonno all’anagrafe s’era sbagliato. Ma vabbe’ che importa, poi all’anagrafe, la mia, ci ha pensato lui. Nell’anno uno degli anni Ottanta è venuto in reparto maternità al San Giovanni, vestito per bene perché insomma quando ti nasce il primo nipote un minimo ti fai bello, era di luglio e allora mettersi una sciarpa non era proprio consigliato, a meno che non fosse quella sciarpa giallorossa, quella che mi mise nella culla e allora nessun concetto poté scalfire ciò che chiamiamo fede, l’amore senza condizioni. Il resto è simpatia, dedizione all’agonismo, interesse speculativo. Insomma io tifo la Roma e non ho mai avuto pensiero potesse non essere. Il resto è sport.

Mattia PIANEZZI: Juventus, da quanto ricordo ho sempre tifato Juventus, anche nei tempi della disillusione post calciopoli, amore sadomaso, senza vergogna, ma con un po’ di invidia per chi allo stadio può andarci ogni domenica. Poi mi piacciono: gli attaccanti forti di testa, il Palermo (per una serie di giocatori feticcio negli anni: Ilicic, Budan, Migliaccio, Miccoli, Budan, Dybala, Vazquez, Budan, Bresciano), i Toronto Raptors da piccolo (un DINOSAURO), il rumore della pallina quando la colpisce Federer — ma un tempo seguivo Moya e ricordo ancora quella sua vittoria assurda a Roma, i pugili che stanno a distanza, Igor Budan.

Simone PIEROTTI: Può sembrare strano che un toscano non sia tifoso della Fiorentina, o in alternativa delle canoniche Juventus, Milan e Inter. Mi sono innamorato del calcio a 9 anni — galeotto fu il Mondiale di USA 94 — e, dopo la delusione per la finale di Pasadena, dovevo trovare a tutti i costi una squadra per cui tifare. In un’afosa serata d’agosto assisto a un triangolare tra Cesena, Milan e Parma: la sfida decisiva è fra quest’ultime due. “Mamma, per chi facciamo il tifo?”, domando a mia madre. “Per il Milan no di certo!”, ribatte lei, che non ama per nulla il calcio e non ha ancora digerito la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche. “Va bene, allora tifiamo per il Parma”, e finisco per innamorarmi davvero di quella squadra che chiude il 1994 in testa al campionato (poi a Befana perderà 3–1 lo scontro diretto con la Juventus) e in particolare di Zola, che mi è simpatico anche per l’ingiusta espulsione contro la Nigeria ai Mondiali. Nonostante tutto, ogni weekend controllo sempre cosa fa il Parma, che giochi in Serie A o tra i dilettanti. Per il resto, amo e seguo il Viareggio (un po’ di sano campanilismo), lo Sheffield Wednesday, l’Olympiakos, i Chicago Fire e il Boca Juniors.

Mattia POLIMENI: Da ragazzo sono stato indeciso a lungo. Ai grandi pranzi di Natale c’erano gli zii che insistevano perché tifassi Milan e non potendo fare troppo affidamento sul giudizio cognitivo che si ha a 6/7 anni mi lasciai convincere e la cosa durò anche un po’. Poi, per ribellione pre-adolescenziale ai poteri forti, ho deciso: tifo Juve. Un giorno strano quello del passaggio da Milano a Torino. 24 ore nel mondo bianconero e solo una forte percezione che fosse solo per dispetto. Per fortuna proprio in quel periodo sul finire degli anni dell’indecisione (la mia) Luiz Nazario da Lima stava stravolgendo tutto e lo stava facendo a Milano. Ho iniziato una storia d’amore senza sapere a cosa sarei andato incontro, ma come tutte le storie d’amore il bello è la corsa assieme nello sguardo complice degli inizi. Penso che per tifare Inter bisogna avere un cuore grande e sapere che ci sarà sempre da fare di più. Come in tutte le storie d’amore. Negli altri mondi son contento quando vince il West Ham, una dimensione che mi ha attratto grazie a Carlton Cole — attaccante insostituibile in tutte le mie formazioni videoludiche tra il 2006 e il 2012. Simpatizzo sicuramente per Oklahoma. Il motivo? Russell Westbrook, ma forse sono stati i baffoni di Steven Adams.

Valerio SAVAIANO: In Italia, almeno a Roma, c’è questa regola per cui si devono (o possono?) avere tre nomi propri prima del cognome. In realtà si usa sempre il primo mentre gli altri due sono solo argomento di dialogo quando non si sa più di che parlare. Ecco, io mi chiamo Valerio Savaiano ma all’anagrafe risulto Valerio Paulo Roberto Savaiano. Paulo Roberto come Falcao. Il mio essere romanista era nel mio nome già prima che imparassi le regole del calcio. Detto ciò, a parte una reale dedizione per Roger Federer, vivo di solo calcio e rivolgo le mie attenzioni su club che in un certo senso ricalcano la storia di “eterni secondi” della Roma: l’Arsenal, prima di tutto, è la mia reale seconda squadra. Subito dopo il Borussia Dortmund, perchè amo quel muro giallonero. Poi il Siviglia perché sono innamorato della città e per lo stesso motivo il Palermo, unica altra italiana per cui provo un reale trasporto, una reale simpatia.

Matteo SERRA: Non era difficile dalle mie parti (Pattada, Sardegna, Mediterraneo, Pianeta Terra) essere della Juve e io non è che ci abbia pensato più di tanto. Mi è bastata una maglia di Del Piero con le strisce molto larghe e lo sponsor della Sony, un poster di Zidane e la voce di Idris. Da “grande” ho imparato a riconoscere e ad amare quell’alchimia particolare che non rivedo in altri club (ma magari è solo perché non sento il bisogno di cercarla) per cui attorno a pilastri alla Buffon, Barzagli, Marchisio possano trovare momenti di protagonismo figure mitologiche come Mellberg, Pepe, Giaccherini o Sturaro. E io non so mai a chi volere più bene. Giocando a Nba live 99 mi sono innamorato dei Chicago Bulls (vuoi mettere Rodman con i capelli di un colore diverso ogni partita?) e a causa di mio padre, sfegatato ferrarista, tifo forte per Michael Schumacher. P.s. Sempre Forza Dinamo SS!

Paolo STRADAIOLI: Sono interista per tradizione famigliare ma tifo realmente Inter dal derby di Champions del 2003, quando mi sono accorto che forse avevo scelto la parte sbagliata di Milano e da lì in avanti la retorica dell’underdog non se n’è più andata, regalandomi gioie e dolori con la consueta schizofrenia che contraddistingue la beneamata. Fortunatamente mi rifaccio in NBA dove sono stato stregato da Pop, Manu, Tim, Tony e Boris, anche perché quattro su cinque facevano parte del roster di NBA Live 04. Per quanto riguarda le simpatie tendo a seguire l’hype, quindi quest’anno propendo per Siviglia, Borussia Dortmund, Manchester City, Bucks, 76ers e Orlando Magic.

Simone VACATELLO: Sono tifoso romanista da quando ero bambino, allora mi piaceva il suono di Rizzitelli-Voeller e oggi mi piace l’idea che la vittoria non debba essere scontata, ma frutto di un percorso di crescita, figlia di qualcosa che hai imparato a proposito di te stesso, e che non per forza ti è piaciuto. Il giorno del terzo Scudetto ero allo stadio e nella bolgia di fine partita sono corso a chiedere l’autografo a Gianni Rivera, due file sopra di me. Quando nel 2010 la Roma perse contro la Sampdoria ero in uno studio televisivo locale, circondato da avversari festanti, e gli unici romanisti presenti eravamo io e Vincent Candela, mio mito di gioventù, che non potevo abbracciare perché ero soltanto uno del pubblico. Il mio cuore palpita anche per l’amaranto della Reggina, che ha portato il campionato più bello del mondo nella mia terra, per la maglia del Boca Juniors, per quella dei Wolverhampton Wanderers e per le Nazionali di Grecia e Irlanda. Durante un viaggio a Barcellona ho capito il blaugrana e ho lasciato che mi seducesse, senza sporgere denuncia. Se avessi potuto scegliere di vivere un’esistenza da calciatore, avrei voluto quella di Paolo Pulici, ragion per cui il granata non mi lascerà mai indifferente. Nel basket americano tifo per i New York Knicks, perché non vinceranno mai più un anello, ma quando lo faranno sarà una festa alla quale sarà bello partecipare, meglio se in veste di chi ha condiviso tutti i dolori precedenti.

William VALENTINI: Mi bloccarono i macellai sotto casa. Avevano capito che dietro quel velo di disinteresse e di malcelata antipatia verso la squadra più tifata in città (e simpatizzata anche da mio padre) si poteva nascondere solo un futuro laziale. Non si sbagliavano. Così per tutta l’adolescenza non ho mancato una partita all’Olimpico, tranne quando la becera idiozia di alcuni mortificava la mia passione, ma durava pochissimo. Sarà per questo che amo le storie di sport tortuose.
Espanyol de Barcelona perché nessuno l’ha mai capita; Birmingham City (mia madre mezza inglese è una Villans e non potevo farle torto), Besiktas per cultura e storia. Tradizionalmente Catania, per uno spudorato meridionalismo (mi introdusse un compagno di rugby), anche se la fascinazione per il Crotone cresce. Tifo lo sport russo, amo la classe nel pedalare di Nibali mentre Samoa, Fiji e Argentina sono le migliori squadre di rugby della galassia. Dopo Bode Miller lo sci è finito. La mia ammirazione incondizionata invece va a Enzo Maiorca e a William Trubridge, apneisti leggendari prima che sportivi.

E vissero tutti insieme felici e contenti.

Stretta la foglia, larga la via.

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