Perché è un bravo ragazzo

Crampi Sportivi
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6 min readDec 7, 2016

A volte il successo improvviso, l’impresa che fa gridare al campione, arriva anche grazie al contesto in cui un determinato evento si compie e più in generale all’impatto, in termini di emozioni e visibilità, che quel contesto consente. Si può dire che Álvaro Morata abbia lasciato nella memoria dei tifosi della Juventus un ricordo che va forse al di là di quello che è il suo attuale valore come attaccante, e questo principalmente per essere stato il simbolo della rincorsa alla Champions League 2014/15, conclusasi con una sconfitta ma a modo suo epica, perché inattesa, dopo anni in cui i bianconeri aspiravano al massimo a raggiungere i quarti.

I cinque gol messi a segno nella fase finale di quella Champions, tra i quali spicca per importanza e significato nella carriera del giocatore, quello segnato a Madrid durante la semifinale di ritorno, hanno a suo tempo reso Morata un uomo immagine per la Juve (fresca di partnership con Adidas, tra l’altro suo sponsor personale) e contribuito alla scelta dello spagnolo come volto della campagna di lancio di PES 2016.

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Tra i meriti dell’attaccante c’è inoltre un’innata capacità di farsi benvolere dai propri tifosi, perché non è un tipo polemico, sicuramente soffre la panchina ma pur di giocare nel Real la sopporta, e anche a Torino non si è mai lasciato andare a comportamenti o dichiarazioni sopra le righe nei periodi in cui giocava poco, a differenza di quanto fatto da altri. Basta fare un po’ di attenzione ai comportamenti di Morata fuori dal campo per rendersi conto di quanto si avvicini allo stereotipo del bravo ragazzo, nella vita privata e nello spogliatoio. L’impressione è confermata dal suo profilo Instagram (ricco di foto di momenti di serenità familiare e auguri ed incoraggiamenti ai compagni) e dai gesti di gentilezza inusuale che ha avuto per i tifosi di tutte le età (qui, qui e qui qualche esempio).

Eppure, a quasi due anni dal gol che aveva riacceso le speranze bianconere nella finale di Berlino e che sembrava aver assegnato a Morata un posto nel gotha degli attaccanti europei, il suo hype si è appannato, e non soltanto per colpa dell’infortunio che lo ha tenuto fermo ai box in questo ultimo mese, e che ha interrotto bruscamente il sun fulminante inizio di stagione (6 gol messi a segno da fine agosto a metà novembre, quasi sempre da subentrato). La sensazione, infatti, è che gli manchi ancora qualcosa.

Il mese scorso Morata ha compiuto 24 anni: presto non sarà più considerato «un giovane», perché ai talenti è richiesta una conferma rapidissima ai piani alti e il tempo è infame, soprattutto nei confronti degli atleti. L’attuale numero 21 del Real Madrid ha sempre giocato in squadre prime della classe, ma mai da titolare assoluto: nella prima Juve di Allegri il posto ha dovuto guadagnarselo, mentre il secondo anno, in cui lo juventino medio si aspettava di vederlo giocare titolare e arrivare a 20 gol in stagione, non è uscito benissimo dal ballottaggio con Mandžukić e Dybala. Agli Europei ha messo a segno tre reti, eppure c’era la sensazione che Morata fosse ancora «troppo poco», sia per diventare la punta titolare della Spagna due volte campione in carica, sia per essere considerato titolare nel Real Madrid. Infatti, pur essendo stato bollato come «futuro crack» e avendo quindi goduto di un’eccellente visibilità mediatica, la carriera dell’ex bianconero è stata caratterizzata da (troppi) alti e bassi, e il fatto di trovarsi in un ambiente esigente come Madrid rischia di penalizzarlo ulteriormente.

A fronte di un indubbio talento e di potenzialità indiscusse, anche se finora espresse solo parzialmente, Morata ha di fatto steccato quella che avrebbe dovuto essere la stagione della sua conferma, salvandosi solo perché qualche highlight (penso al contropiede uno contro tutti contro il Bayern e al gol che ha deciso la finale di Coppa Italia) ha fatto dimenticare sei mesi di buio totale. Bisogna però ammettere che quando è stato messo sotto i riflettori Morata ha scricchiolato ed è infine caduto vittima dei suoi stessi swing emotivi: nell’autunno 2015 si sono visti in campo troppi egoismi e nervosismi da parte sua. L’episodio dei calzettoni cambiati dopo un richiamo dell’arbitro a Mönchengladbach (che Allegri non ha preso bene) è stato un ulteriore scivolone; il gol mancato contro il Siviglia poi, stigmatizzato da tifosi e stampa perché di fatto consegnava il primo posto del girone al City e mandava la Juventus a sbattere contro il Bayern, è stato forse il picco più basso del suoi due anni in bianconero.

Se poi una delle scuse per il suo black out, come lasciato intendere dal giocatore stesso in un’intervista rilasciata dopo la finale di Coppa Italia, è stata la difficoltà nel superare una delusione amorosa, è il caso di riflettere sulla maturità di un professionista che purtroppo non pare aver stabilito con chiarezza le sue priorità, specie se da grande vuole fare il centravanti del Real Madrid. Insomma, giudicate voi se i problemi di cuore possono essere una motivazione plausibile per il fatto di non fare gol.

L’ex numero 9 bianconero ha pianto di commozione durante l’evento di presentazione per il suo ritorno al Real, la scorsa estate. Nel frattempo, però, tifosi e stampa storcevano il naso all’idea che la recompra di Morata fosse di fatto l’unico acquisto delle Merengues nel 2016, visto che Florentino Perez ha abituato i tifosi a campagne caratterizzate da spese milionarie e acquisti molto più rumorosi. C’è da chiedersi, in realtà, se Álvaro sia rimasto al Real per una seria intenzione dello staff di includerlo nel progetto tecnico, o solo perché il club spagnolo non ha trovato nessuna squadra interessata ad acquistarlo alla cifra che — si vociferava — la dirigenza sperava di ottenere dalla sua cessione: 50 milioni di euro.

Zidane, in tutto questo, sembra aver deciso di dosare l’utilizzo della punta cresciuta nella cantera, sulla quale incombe, non bisogna dimenticarlo, la potenziale eredità di Karim Benzema. Nonostante il francese vada per la trentina e la sua immagine pubblica sia stata macchiata dallo scandalo del sex tape che gli è costato la Nazionale, Benzema è da otto anni al Real, e ha sempre superato i venti gol, tranne alla sua primissima stagione. Difficile dunque togliergli il posto in squadra per dare definitivamente fiducia a un «giovane non più così giovane» che, in fondo, deve ancora dimostrare di essere diventato pienamente adulto.

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(il didascalico tweet con cui Morata celebra il gol di Benzema durante l’ultima partita di UCL)

Al Real Morata appare felice; è vero che si tratta di un attaccante che ha sempre reso bene come «arma in più» a partita in corso, ma se da una parte il giocatore ha bisogno di maggiore continuità per mettersi alla prova ad alti livelli, dall’altra una squadra che punta sempre all’all in ha bisogno di un numero 9 capace di mettere sul piatto una ventina di gol a stagione. Il limite maggiore di Morata, d’altronde, finora è stato quello di «giocare da solo», intestardendosi in azioni personali. Inoltre, per quanto dotato di una progressione straordinaria, della capacità di giocare come prima e seconda punta e di un buon tiro con entrambi i piedi, lo spagnolo non sempre prende le decisioni migliori in termini di posizionamento, parte ancora troppe volte a testa bassa e non è un cecchino, senza contare che a volte si abbandona a reazioni e polemiche inutili se provocato dal suo marcatore, rimediando cartellini evitabili. Sono tutti mali curabili, ma è difficile che il Real decida di titolarizzare un giocatore che non sia un’infallibile macchina da gol, e che su certi aspetti resta ancora incompleto.

Ciò che si mette in in questione a Madrid, più che altro, è la sua affidabilità sul lungo periodo, più che la sua tecnica e le sue potenzialità. D’altra parte, solo un impiego costante può permettergli di coprire la distanza tra l’attaccante promettente che è e il goleador che potrebbe diventare, ma molto dipende da lui stesso. Se al Real continuerà a fare la riserva forse sarà il caso di considerare un trasferimento in una squadra europea di seconda fascia, dove poter giocare titolare. Perché intanto il tempo passa.

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