Più Chilavert per tutti

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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2 min readJan 20, 2016

Ci sono sempre stati alcuni frammenti anarchici nella mia prima infanzia. Erano eccezioni davvero ristrette nella vita più che ordinaria di un bambino che doveva seguire le norme: lavarsi i denti, non bere bibite gassate, andare a scuola quando c’era ancora la nebbia e i cartoni di Rai Due non erano ancora finiti.

C’era un evasione dal reale tutte le volte che accendevo la televisione o che riuscivo a sintonizzarmi su Telemontecarlo per la Copa América del 1997. C’era un uomo, un uomo che non aveva le stigmate del predestinato e giocava in porta, come me.

Sembrava normale, poi usciva fuori e ci buttava quel pizzico di cosa che io, tra i pali dei Pulcini, non avrei mai avuto l’onore e l’ardire di fare.

Chilavert faceva gol: tanti. Su rigore, su punizione, ogni volta che il gioco si fermava e deviava per la statale dell’Impossibile, uscendo dalla grigia autostrada dell’Abitudine. Lo leggevi nell’occhio dei difensori che non sarebbe andata come sempre, nel normale script di 22 uomini che corrono con sforzo e dedizione senza evadere dall’ordinato, se non nei colpi di genio che cristallizzano spesso el futbol sudamericano.

Lui era lì, grosso come un buttafuori o come il cugino bullo che si rimpinzava di dolci alla prima comunione. Tirava sassate terrificanti che ti facevano brillare gli occhi, contento di essere riuscito a non andare a letto quando ti avevano detto i tuoi genitori.

Quando segnava Chilavert c’era la trascrizione dei miei gol futuri, come se anche io potessi in un mondo distorto e utopico esultare sollevando i pugni.

https://www.youtube.com/watch?v=bT2YhdlEfCE

La bomba è stata piazzata e il 26 gennaio tra i candidati alla presidenza della Conmebol ci sarà anche lui, Josè Luis Chilavert, colonna della nazionale paraguayana e del Vélez Sarfield. Il Bulldog ha tutto per rapirmi anche nel suo programma politico, perché come crismi porta in piazza tutti quei valori retorici e populisti che hanno molta presa sui fessacchiotti della mia risma.

Un programma impastato di bolivarismo puro: Chilavert infatti crede che i diritti televisivi debbano essere ripartiti in maniera più equa e vuole riportare in voga un calcio impostato sulle gesta di resistenza di Evo Morales come centromediano e il pallone di pezza al posto delle firme Nike e Adidas.

Modello neanche troppo celato d’ispirazione.

Non andrà così, probabilmente verrà battuto da qualche grigio burocrate da poteri forti, ma anche io una volta ebbi l’onore e quell’ardire folle di imitarlo, di poter dire: “Aqui Estoy, Asì Soy” e di spostare l’asticella del Reale senza incorrere in penalità.

Dalla mia porta avanzai, stretto nelle sicurezze acquisite a ventiquattro anni: basse le luci del campo di calcetto e una partita già persa dove dovevo battere un rigore che non avrebbe significato nulla.

Magari per voi, che per me il racconto è più importante e dovevo lasciarlo all’epica. Batto forte, centrale, è un piatto imparabile nel suo essere maldestro. È il primo gol della mia carriera: fa testo solo per me, ma è decisivo, da sottolineare in grassetto.

Esulto, a pugno chiuso. Come El Bulldog, ultimo vero animale politico.

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