PLAYOFF NBA 2014: FINALI DI CONFERENCE (TRASH TALKING 2.0, IL DESTINO E I FANTASMI DEL PASSATO)

Crampi Sportivi
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5 min readJun 6, 2014
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EAST COAST

Miami Heat 4 — Indiana Pacers 2

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Illustrazione di Davide Barco

Adesso vi dirò una cosa che vi farà cascare dalle vostre sedie a dondolo: Miami ancora non ha cominciato a giocarli, i playoff. Ha ingranato la prima, al massimo la terza, si è presentata in Gara 1 a Indiana — perdendo — come se fosse in pre-season, camminando, giochicchiando. Miami è una squadra subdola, entra nella serie di traverso, studia le difese e gli attacchi avversari a partita in corso, cambia sempre il quintetto titolare, non sai mai bene come prenderli e appena ti distrai un secondo BAM, ti investono come un treno e allora non gli stai più dietro. La domanda è: sarà capace Miami di scalare tutte le marce con uno schiocco di dita e giocarsi le finali al massimo? Perché con le finali è diverso, con gli Spurs è diverso. Non puoi giochicchiare con gli Spurs.

Avete presente il bambino antipatico, insopportabile e se non bastasse anche bravo che vi ha tormentato in tutti i giochi della vostra infanzia? Ecco, LANCE STEPHENSON È QUELLO MA A UN LIVELLO DI PLAYOFF NBA. Questi sono gli scherzetti peggiori che ha fatto a Lebron: questo, ma soprattutto questo e tutte le meme che ne sono conseguite.

Quando dico che Stephenson è bravo non lo dico per fargli un favore. Voi che sapete fare con 0,1 secondi a disposizione?

Ray Allen sta bene e vi saluta.

Senza vergogna vi dico che tra le due finali questa è stata la meno entusiasmante, ma se comunque vi volete fare un giretto ecco il mini movie della serie in 3 minuti, compreso di discorso di Lebron alla squadra prima di Gara 1 They don’t like us, we don’t like them.

WEST COAST

San Antonio Spurs 4 — Oklahoma City Thunder 2

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Illustrazione di Davide Barco

Wikipedia definisce il Destino come “un insieme d’inevitabili eventi che accadono secondo una linea temporale soggetta alla necessità e che portano a una conseguenza finale prestabilita”.

San Antonio Spurs — Oklahoma City Thunder è la finale di Confernce NBA, una cosa seria, precisa; si affrontano le due migliori squadre dell’Ovest e sai che nulla è lasciato al caso, tutto è studiato. Dall’altro lato, però, si capisce già dall’inizio che Indiana non è in grado e che Miami è già in finale. E allora il fantasma del tiro di Ray Allen si affaccia, inutile negarlo, e il mondo, che guarda, vuole la rivincita. La narrazione dello sport ha dei canoni ben precisi e la possibilità di riaffrontare i propri demoni è uno dei suoi capisaldi. Se poi gli eroi positivi sono Popovich e Ginobili, Parker e Duncan, si poteva stare certi che un “insieme di inevitabili eventi bla bla bla” li avrebbe portati alla “conseguenza finale prestabilita”: la rivincita.

Andiamo a guardare un po’ quello che è accaduto:

Primo segno del destino: l’assenza di Serge Ibaka. Oklahoma passa il turno, ma perde Ibaka, uno dei migliori interpreti di questi playoff. La diagnosi è più o meno “ oh mamma sì è fatto male male, fuori per tutta la serie”. Tornerà invece in gara 3 (un giorno dovremmo parlare della capacità di recupero dei giocatori NBA) e darà tutto alla causa con giocate come questa o questa. Purtroppo per lui, il destino gli ha schiacciato in faccia un paio di volte, sotto forma di Kawhi Leonard (qui e qui).

Secondo segno del destino, “un argentino molto forte”: Ginobili, Ginobili, Ginobili. Un giorno potremmo raccontare in giro di averlo cresciuto noi, nel nostro campionato, i più fortunati racconteranno ai nipoti che l’hanno visto giocare da vicino in uno dei tanti palazzetti italiani che ha impreziosito con la sua presenza. Per Charles Barkley è uno dei 5 più forti europei di sempre, noi non mettiamo limiti alla provvidenza né alla geografia, e diciamo solo Ginobliiiiiii.

Terzo segno del destino, “un marine di origine serba”: la grandezza e la continuità dei San Antonio Spurs si deve a tanti fattori, ma ce ne è uno principale che supera gli altri di una spanna. Questo fattore è Gregg Popovich, ciò che lo rende riconoscibile e apprezzato nel mondo è il gioco che ha dato alla sua squadra (qui un interessante articolo dove si arriva a paragonare il gioco degli Spurs al tiki-taka della nazionale spagnola), ma non è la sua unica peculiarità. Più si avvicinano le partite che contano più Gregg da il meglio di sé in un altro fondamentale, quello delle risposte alle domande dei giornalisti, in questa serie vi offriamo tutto il meglio del suo repertorio: le non risposte, più incisive delle risposte, il prendersi gioco dei poveri reporter, simpatia.

Vigilia di Gara5. Flashback. Queste squadre sono già state qui. Due anni fa, stessa Finale di Conference, stesso 2–0 Spurs, poi stesso 2–2 Thunder. Allora OKC proseguì la striscia, vinse 4–2, sfidò Miami in Finale (e perse). E allora il destino può scegliere. Perché anche la rivincita di Durant contro LeBron sarebbe gradevole. Ma la beffa del 2013 fu troppo crudele: la storia chiede un’altra fiche per gli Spurs. Il destino mette i panni dell’eroe inatteso: Boris Diaw e i suoi 26 in Gara6. La tavola è apparecchiata…

…e, se per caso vi fosse sfuggito, Marco Belinelli da San Giovanni in Persiceto è il primo italiano a una Finale NBA. Qui le sue emozioni della vigilia.

Kobe Bryant durante la sua carriera ha ascoltato e rispettato pochissime persone, una di queste è Derek Fisher, non a caso detto Il Venerabile Maestro, e lo sapete perché? Perché è uno che ti mette una tripla dall’angolo in Finale di Conference mentre il sangue gli sgorga dalla testa e gli cola sul collo taurino.

A PRESTO CON LA FINALE!

Acura di Gioele Anni, Marco D’Ottavi e Valerio Coletta

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