PLAYOFF NBA 2014: PRIMO TURNO WEST COAST (FATTI, FATTACCI, MAGLIE ALLA ROVESCIA E TIRI SPETTACOLARI)

Crampi Sportivi
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5 min readMay 19, 2014
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San Antonio Spurs 4 — Dallas Mavericks 3

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Dove eravamo rimasti? Ah già: gli Spurs sono troppo vecchi, è finito un ciclo, Duncan si ritira, Ginobili va a fare il sindaco di Bahìa Blanca, Parker si trova una ragazza fissa. Dove siamo ora? Ah già: gli Spurs arrivano ai playoff in scioltezza e superano il primo turno. E attenzione perché la finale 2013 se la ricordano possesso per possesso.

Onore agli sconfitti. Anche Dallas, data per bollita, con tanti “anziani” di lusso (eccoli in una gif animata direttamente da Magnum P.I.), ha tirato fuori una serie clamorosa, portando i nero-argento in Gara 7 e regalandoci momenti da: “Meno male che esiste l’NBA”. Vediamoli questi momenti.

Nowitzki, dopo un tiro che avete visto dieci milioni di volte, ci tiene a farvi sapere che la palla entrerà (molto prima che effettivamente entri).

Vince Carter perde la serie ma si porta a casa il momento più bello ed emozionante. 2 punti sotto a 1.07 secondi dalla sirena ricorda al mondo che lui non è passato lì per sbaglio: Vinsanity.

Tony Parker rimane uno dei playmaker più forti e imbloccabili della Lega. Chiedete a Monta Ellis.

Oltre ai Big 3, San Antonio ha dalla sua quello che al college avevano ribattezzato “The Human Avatar” (questa è la sua mano vicina a quella di un umano), silenzioso uomo ovunque, capace di fare tutto e farlo benissimo. Se si va per la finale, Kawhi Leonard sarà l’uomo dei San Antonio Spurs.

E Marco? Marco Belinelli viene buttato nell’acqua alta poche volte e la risposta non è straordinaria, ma i playoff sono lunghi e il Sylvester Stallone di San Giovanni in Persiceto è pronto per cogliere la sua occasione.

Portland Trail Blazers 4 — Houston Rockets 2

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Nelle prime due gare della serie, l’ala grande dei Blazers assomiglia tanto a Dio vestito da LaMarcus Aldridge: una media surreale di 44.5 a partita, con 45/59 dal campo.

Nel finale di Gara1, gli arbitri puniscono Howard per un fallo che aveva subito. È un episodio decisivo. La reazione di Dwight e coach McHale ci dice qualcosa su un atteggiamento sconosciuto nel nostro Paese: il rispetto delle decisioni. Conte, Mazzarri e non solo buttassero un occhio.

È una serie scriteriata: 3 delle prime 4 finiscono in overtime, solo alla quarta una squadra (Portland) riesce a far valere il fattore campo.

Harden, la barba più famosa d’America, tira male ma ha sempre punti nelle mani; Lillard, il Rookie of the year 2013, gioca i primi playoff come fosse nel giardino di casa. Alla fine uno vince e uno perde: il loro duello a colpi di magie è riassunto qui.

I playoff sono il regno delle storie da favola e/o Libro Cuore. E così, in gara3, sbuca un tal Troy Daniels dalla panca di Houston: un reietto della D-League che allo spirare dell’overtime fa serata con la bomba decisiva.

Solo 8 squadre su 219 hanno rimontato una serie da 1–3 sotto. I Rockets ci arrivano vicini. Stanno per sbancare Portland e guadagnare Gara7, in casa, quando il bambino col Salmo 37 sul braccio decide di tirare una freccia al vento dei loro sogni. Bum. Game, set and match.

Los Angeles Clippers 4 — Golden State Warriors 3

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Iniziamo dalle dolenti note: fino ad ottobre non vedremo più Stephen Curry. Per nostra fortuna hanno inventato youtube. In caso di astinenza cliccare qui, qui e qui.

C’è una telefonata, diventata molto famosa negli ultimi giorni, che ha condizionato l’opinione pubblica intorno alla serie. In questa conversazione privata, il proprietario dei Clippers, Donald Sterling, si esprime in termini dispregiativi nei confronti dei neri (con la sua fidanzata messicana, ma questa è un’altra storia).

Le parole di Sterling hanno dato molto fastidio alla squadra, che però ritenendo i Playoff più importanti, ha fatto quadrato, scegliendo una “protesta silenziosa” non banale: hanno effettuato il riscaldamento indossano le maglie al contrario per non far vedere il nome della squadra.

La serie è bellissima, forse quella tecnicamente più valida del primo turno, e si risolve in una gara 7 al cardiopalma, vinta dai Clippers grazie a due minuti finali enormi.

Blake Griffin, appena uscito per falli, rivedendo l’azione sul maxischermo reagisce così.

Oklahoma City Thunder 4 — Memphis Grizzlies 3

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OKC arriva a questi playoff come squadra da titolo, senza girarci troppo intorno. Negli anni precedenti il loro limite era la poca esperienza a giocare partite caldissime e alcuni meccanismi che non giravano, con Westbrook che impazziva e Durant da solo con il mondo sulle spalle, o semplicemente con Miami in finale sospinta dalle divinità tutte.

Memphis è una di quelle squadre solide, lavoratrici, cazzute, con bei giocatori, con un bel gioco, che regolarmente arriva ai playoff, becca i più forti e esce dopo una serie giocata alla grande. Il mondo non è un luogo giusto, questo lo sappiamo noi e lo sanno loro.

Kevin Durant sa che per vincere il Titolo non gli basta essere un fenomeno, gli si chiede di più. Allora supera il record di Jordan per partite consecutive sopra i 25 punti (41), vince la classifica come realizzatore, aggiorna il career high personale a 54 punti contro Golden State, vince l’MVP (qui trovate il suo bellissimo discorso commosso e commovente dopo la premiazione), vince questa serie contro Memphis, e pensate che se non tornerà a casa con l’anello sarà solo il solito perdente. A voi convince sta cosa? A me mica tanto.

Esiste un tiro da 4 punti? Ti chiedono i bambini al campetto. Sì che esiste, eccolo.

Divertitevi con la Top 10 della stagione di Kevin Durant.

Nessuno può fermare Kevin Durant, ah no, mi correggo, solo uno, è alto 1.70 e ha 62 anni.

Memphis soccombe anche perché Zach Randolph decide di appoggiare una mano sulla faccia di Steven Adams saltando così Gara 7.

Intanto Russell Westbrook, non proprio il vostro playmaker convenzionale, è l’altro motivo per cui Oklahoma potrebbe andare in finale. Qui lo vediamo stoppare Tony Allen sopra al ferro saltando quasi da fermo.

A PRESTO CON IL SECONDO TURNO

di Gioele Anni, Marco D’Ottavi e Valerio Coletta

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