Pompey Supporters Trust — L’amore ai tempi del tifo

Crampi Sportivi
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5 min readOct 14, 2015

C’era una volta una squadra capace di vincere la FA Cup spezzando dopo 35 anni il dominio delle squadre di Londra, Liverpool e Manchester e di piazzarsi ottava in Premier. Una bella favola, quella del Portsmouth FC che, se non ci fossero stati i tifosi, avrebbe però avuto un finale a tinte foschissime.

La storica affermazione in Coppa d’Inghilterra non è poi tanto datata, visto che risale al 2008. Ma da quel momento tutto quello che poteva andare storto ha iniziato ad andare storto, tra voragini di bilancio e un assurdo balletto di proprietà (straniere).

Una volta compreso che il gioco non valeva più la candela — ovvero che per rimanere al top bisognava contrarre altri debiti rispetto a quelli già accumulati — il “padrone” franco-israeliano Alexandre Gaydamark ha preferito rivolgere le proprie attenzioni altrove. Quando ha staccato la spina, Gaydamark, figlio di un presunto trafficante d’armi di origini russe, ha lasciato un’eredità pesantissima di milioni di sterline di passivo. A questo punto il dramma ha assunto anche venature farsesche, con una girandola di personaggi “opachi” che si sono succeduti a ritmi folli.

Il primo a materializzarsi per le porte fin troppo girevoli della sede del Portsmouth è stato un uomo d’affari degli Emirati Arabi Uniti, Sulaiman Al Fahim. È durato poco, ma, visti i conti in profondo rosso, ha iniziato a vendere giocatori come caramelle. Poi è stato il turno del saudita Ali al-Faraj, che però di iniezioni di denaro liquido nelle casse ormai prosciugate dei Pompey non ne ha fatte, “preferendo” invece non pagare gli stipendi dello staff, calciatori compresi. Il terzo proprietario in pochi mesi, il nativo di Hong Kong Balram Chainrai, non ha potuto evitare che nel febbraio del 2010 il Portsmouth divenisse il primo e finora unico club a entrare in amministrazione controllata giocando ancora in Premier. In realtà Chanrai si era ritrovato ob torto collo sulla barca che affondava, dal momento che stava provando a recuperare un credito che vantava nei confronti di al-Faraj, il quale si era fatto prestare quasi 20 milioni di sterline da investire (sic!) nella compagine della costa meridionale dell’Inghilterra.

Il caos societario non ha tuttavia impedito ai giocatori di raggiungere un’altra finale di FA Cup, eliminando a sorpresa in semifinale il Tottenham e perdendo di misura contro il Chelsea. Ma ormai i sogni di gloria andavano riposti nel cassetto, la crisi era irreversibile e il salto dal precipizio inevitabile. Per la serie le stranezze e le coincidenze del gioco del calcio, è quanto mai singolare come il Portsmouth in quei mesi da tregenda avesse iniziato un percorso inverso rispetto a quello dei grandi nemici del Southampton, che invece stavano risalendo la china grazie a una proprietà straniera ben più avveduta e solida.

A differenza del St Mary’s, al Fratton Park si sono vissuti momenti di vera disperazione, con retrocessioni in serie, un’altra amministrazione controllata e rischi di fallimento pressoché quotidiani. La finanza creativa non ha smesso di infestare la mente dei poveri tifosi del Portsmouth nemmeno quando nel 2011 è arrivato l’ennesimo nuovo proprietario, il banchiere lituano Vladimir Antonov. Pure su di lui il fit and proper person test che in teoria deve svolgere la Football League per dare l’assenso alla cessione di un club non doveva essere stato svolto al meglio, poiché per il buon Antonov cinque mesi dopo la sua apparizione è stato spiccato un mandato di cattura internazionale.

Per fortuna dopo questo blob di imbrogli e speculazioni effimere c’è la parte più bella e romantica di tutta questa assurda vicenda. C’è la storia del Pompey Trust, che scalda i cuori dei vari appassionati di football. Un ultimo capitolo a lieto fine degno di alcune delle opere più belle dell’immenso Charles Dickens, che proprio da queste parti è nato nel 1812. Il Portsmouth è ancora vivo grazie ai tifosi, che sempre ci sono stati e sempre ci saranno.

Nel 2013 è stato il Pompey Supporters Trust infatti a vincere la concorrenza di un’altra cordata dai contorni nebulosi e ad acquistare la maggioranza delle quote del club. “Ours”, con questa parola composta da cartoncini dorati su uno sfondo blu nella Fratton End i tifosi hanno salutato l’ingresso in campo della loro squadra per l’esordio stagionale in League Two il 3 agosto 2013. In tutti i sensi, figurativo e non, “è il nostro club”, abbiamo “scacciato i mercanti dal tempio”. Da tutta questa epopea ne esce ancor più rafforzato il senso di comunità, che qui, ma anche nel resto del Paese, è un ancora un valore molto sentito, tanto che “support your local team” non è solo un motto pro forma. Quel primo match della campagna 2013–14 contro l’Oxford United si concluse con una sonora sconfitta (1–4), ma anche con il record di presenze sugli spalti per la categoria, 18.818, oltre 10mila dei quali abbonati. Nonostante un campionato pessimo, il Portsmouth ha fatto registrare una media casalinga superiore alle 15mila unità.

Il Pompey Supporters Trust detiene il 58,5% della società, mentre il restante 41,5 è di 11 tifosi più facoltosi che hanno sborsato 1,7 milioni di sterline. Il trust, invece, tra sottoscrizioni individuali (i membri sono oltre 2.300) e raccolta fondi è arrivato a 2,5 milioni. Nell’arco di 18 mesi, grazie ad accordi con tutte le parti interessate, un profondo maquillage dell’immagine del Portsmouth, che ha rivitalizzato l’interesse degli sponsor, e una gestioni molto assennata (non più soldi e asset imboscati a Jersey o alle Isole Cayman, tanto per capirci), sono stati ripagati tutti i debiti che gravavano sul groppone dei Pompey.

Se i trust dei paradisi fiscali, molto frequentati dagli ex proprietari del Portsmouth, sono tra gli strumenti più oscuri usati nell’ambito della finanza internazionale, quelli dei tifosi sono una vera e propria mano santa.

Il fenomeno è diffusissimo nel Regno Unito e ormai copiato anche ad altre latitudini, Italia compresa. Dall’inizio degli anni Novanta di Supporters Trust ne sono nati tantissimi, praticamente uno per ogni club. Il Portsmouth è la società più illustre ad aver enormemente beneficiato della loro esistenza, ma ce ne sono state anche altre per cui i trust hanno rappresentato un’insperata ancora di salvezza. Quando l’imprenditore di turno ha combinato la frittata — leggi sperperato un mare di soldi — sono i tifosi che si sobbarcano l’onere di ricomporre i cocci e di intraprendere un percorso virtuoso. Oppure ricominciare tutto da capo, come accaduto al Wimbledon.

Compito non facile, la gestione societaria, tanto è vero che spesso i trust hanno dovuto ridimensionare il loro ruolo — è successo per esempio con il trust del Brentford, che in precedenza aveva la maggioranza delle quote. Per le compagini di maggior rilievo è difficile ipotizzare che i fan possano avere una voce in capitolo formale e reale, ma è significativo che ci sia un club di Premier — lo Swansea City — il cui 20% delle azioni è in mano ai tifosi, che, con la loro presenza nel board, hanno dato un’impronta di gestione oculata e saggia a una compagine che non a caso nella massima serie sta facendo miracoli.

La stabilità societaria donata dal Pompey Supporters Trust non ha invece ancora prodotto i risultati sperati sul campo. Ma nel medio e lungo termine è molto probabile che si tornerà a parlare di promozioni e risultati degni del blasone dei ragazzi in blu.

Articolo a cura di Luca Manes

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