Previsione Clippers
Gli ultimi fotogrammi di playoffs nella testa di Chris Paul risalgono a gara 6 delle semifinali di conference, contro gli Houston Rockets. I Clippers hanno un ampio margine di vantaggio, si trovano a +19, sul 3–2 nella serie a 14 minuti e 35 secondi dal primo storico traguardo di franchigia: le finali di conference.
Poi si abbatte la tempesta perfetta. Ariza, Brewer e Smith cominciano il bombardamento da dietro l’arco. Sette triple, tutte nell’ultimo quarto di gioco. Più la ciliegina di “The Jet” a 11 secondi dalla sirena, per mettere il punto esclamativo su una pazza rimonta che ha fatto naufragare le speranze dei padroni di casa di chiuderla in sei gare, senza troppa fatica.
Anche se i Clippers hanno avuto un’altra chance per eliminare i Rockets in gara 7- vanificata un po’ perché demoralizzati un po’ per il logoramento fisico di giocare 14 partite con una rotazione così corta- nella mente di Paul rimangono quelle triple. Come gli scatti multipli che i fotografi fanno per creare una sequenza dinamica.
Una carrellata di canestri a partire dall’ultimo minuto e mezzo del terzo quarto
È da tre stagioni che i Clippers chiudono la regular season con almeno 50W. Il passaggio di proprietà da Sterling a Ballmer (e le procedure legali che hanno interessato il primo) non ha intaccato il rendimento della franchigia in nessun modo. In questo triennio, ogni stagione è stato aggiunto qualcosa di buono: nel 2012–13 il primo record di 50 vittorie in stagione regolare, nel 2013–14 l’arrivo di Doc Rivers come head coach, nel 2014–15 i vistosi progressi tecnici di Blake Griffin. Anche il record ai playoff è migliorato: 2–4 nel 2013, 4–6 nel 2014 e 7–7 nel 2015. Eppure, nella crescita dei giocatori e con una nuova guida tecnica, i Clippers non sono ancora riusciti a superare lo scoglio delle semifinali di conference.
Aver eliminato gli Spurs al primo turno è suonato come la svolta decisiva per la corsa all’anello, dimostrando di non essere solo una corazzata da regular season incapace di sapersi adeguare nei playoff, ma di poter sconfiggere i campioni in carica in 7 sudatissime gare.
Poi la lenta frenata contro i Rockets, quel 3–1 Clips è parso onestamente impossibile da ribaltare. Le avvisaglie del gioco offensivo un po’ alla sbando che Houston aveva fatto trapelare in regular season, sono venute fuori al secondo turno e Doc le ha cavalcate nelle prime quattro gare facendo venire il mal di testa ai Rockets. Con girandole di blocchi, lob dalla rimessa per De Andre Jordan e giochi a tre tra Paul e i due lunghi.
Ma da gara 5 si è rotto qualcosa. Houston ha cominciato a segnare tanto dal pitturato, a riscuotere di più dal secondo quintetto e a tirare meglio da tre in situazioni di catch and shoot. Se nell’ultimo quarto di gara 6 Houston non ha sbagliato quasi un singolo colpo, in gara 7 il meglio è arrivato dalla propria metà campo. Con la presenza di Smith e Howard, i Rockets hanno protetto il ferro tenendo gli avversarsi a 6 su 17 nella restricted area.
La free agency
Con l’uscita alle semifinali di conference, sono ripiombate le critiche dei media che classificano i Clippers come non-contender o squadra forte ma incompiuta. Chris Paul ha giocato i playoffs semi-infortunato, dopo l’eroico buzzer su una gamba in gara 7 contro gli Spurs, ha saltato le prime due gare del secondo turno per una infiammazione al tendine del ginocchio sinistro. L’amarezza del leader maximo che ha prosciugato le sue forze per sbattere di nuovo sul muro del secondo turno di playoffs è parecchia. Da quella sequenza di triple subite, parte la free agency dei Clippers.
Punto primo: allungare una panchina che vede come elementi validi due giocatori e mezzo (Jamal Crawford, Glen Davis e Austin Rivers).
Punto secondo: rinforzare lo slot di ala piccola, nel quale figurano Matt Barnes, Jordan Hamilton (e volendo Crawford, in caso di quintetto piccolo).
Punto terzo: riconfermare i giocatori dello starting five in scadenza di contratto ( uno solo, De Andre Jordan).
Senza seguire un ordine cronologico, ma attenendoci a questi tre punti, il mercato dei Clippers è stato altamente proficuo.
Con la firma di Josh Smith che rifiuta il rinnovo con i Rockets e accetta di giocare al minimo salariale per un anno di contratto a $1.5M (da non dimenticare il supplemento di $5.4M che prende dai Pistons per averlo tagliato la scorsa stagione mediante stretch provision), i Clippers mettono a roster un’ala che va forte a rimbalzo, sa mettere palla per terra, tira da tre, ha buone capacità di playmaking ed è un rim protector molto sottovaluto. Proprio contro i Clippers, in questi playoffs, ha dimostrato di avere il pacchetto completo dal punto di vista tecnico. Il problema si pone quando il cervello non connette. La compatibilità con De Andre Jordan e Griffin è tutta da verificare. Al fianco di Superman, dopo una seconda metà di regular season in sordina, ha fatto vedere cose pregevoli. Al primo turno, smantellando le retrovie dei Mavs a suon di lob (alzati e ricevuti). Al secondo turno, colpendo dalla lunga distanza e sfoggiando qualità difensive nel pitturato non indifferenti. Ha le skills per essere un ottimo fit, l’idea di vederlo in campo aperto servire uno tra Griffin e Jordan o giocare alto-basso dal gomito sempre con uno di questi due, fa sfregare le mani a Doc e coaching staff. Sarà interessante vedere cosa porterà ai Clippers.
Lance in una recente partita dei Global Games contro Charlotte
Se c’è un giocatore che ha bisogno di riscattarsi, quello è Lance Stephenson. Firma-scommessa dei Clippers, che lo prendono cedendo Hawes e Barnes a Charlotte. Credibilissimo candidato al razzie award 2015 per la categoria peggior giocatore (da cui ci si attendeva un upgrade). Rimbalzi a parte, che tra i pari ruolo è uno di quelli che ne cattura di più, il suo contributo agli Hornets è stato pari a zero, se non cancerogeno (Net rating di -7.2 con lui in campo). Impossibile che ritrovi la dimensione che aveva ai Pacers, quando godeva di più possessi e libertà offensiva (leggasi isolamenti), ma come terza/quarta guardia in uscita dalla panchina può dare effort in difesa e strappare qualche rimbalzo per ripartire in transizione. Senza trascurare i guizzi offensivi che possono rianimare o far affondare una partita e fanno parte del suo DNA di baller newyorchese.
Tra i pezzi grossi sul viale del tramonto di questa free agency c’è Paul Pierce, che firma un triennale con i Clippers da $10M. Va a rimpolpare il reparto esterni dei Clippers e da Local con la l maiuscola, già pochi giorni dopo la sua firma, ha manifestato la sua soddisfazione nel poter giocare i suoi ultimi anni di carriera in una squadra che punta al titolo:
“sto cominciando a vedere la luce alla fine del tunnel. Voglio un’altra opportunità per vincere il titolo. Sono un veterano. Sarei come una seconda voce in spogliatoio e posso ricoprire quasi ogni ruolo che avranno bisogno che giochi”
“The Cap & The Truth” si riunisce a Doc Rivers (suo ex allenatore nei Celtics dei big three) e a Sam Cassell (ex compagno ed ora assistant coach, la scorsa stagione agli Wizards, dalla prossima proprio ai Clippers). Il contesto in cui si troverà Pierce sarà simile a quello già vissuto nella capitale. Dove ha toccato i suoi minimi in carriera in termini statistici, ma si è preso grosse responsabilità offensive. Con un clamoroso buzzer beater messo a segno in una memorabile corsa ai playoffs che si è arrestata contro gli Hawks, giocata da specialista del tiro che scotta, quello dei finali di gara. Quello che manca ai Clippers.
L’ultimo colpo di mercato è uno swing man che arriva da lì vicino, la distanza che separa lo spogliatoio dei locali da quello degli ospiti. Wesley Jhonson, sponda Lakers, al minimo salariale per i veterani. In teoria, il sostituto di Matt Barnes( ala piccola con mani educate dal perimetro e competenza in difesa), in pratica qualcosa di più. Wesley Jhonson, oltre a poter cambiare sui lunghi nella propria metà campo(facilitato dalla sua considerevole apertura alare), può condurre le transizioni e conta su un palleggio arresto e tiro più affidabile rispetto a quello di Barnes.
Il caso De Andre Jordan
In ogni soap-opera, quando si consuma un dramma, ci sono degli indizi che fanno presumere che sta per scoppiare. Arriviamo ora ai giocatori scontenti e in scadenza di contratto. Uno solo, appunto, De Andre Jordan . Il centro dei Clippers accoglie a casa sua (luogo cruciale nello sviluppo degli eventi) Chandler Parsons e Mark Cuban. I due emissari Mavs hanno per lui un’offerta di 80 milioni in 4 anni, max contract con la M maiuscola. Ma non è tutto: il discorso con cui fanno leva per convincere il big man dei Clippers a cambiare casacca è di natura motivazionale, più palloni e responsabilità in attacco, più high fives dai compagni e lo spazio utile per poter diventare uno dei migliori centri NBA.
DeAndre si sente poco coinvolto nei processi offensivi dei Clippers, sente di essere l’unico giocatore del quintetto titolare a non aver ancora totalmente guadagnato la stima di Chris Paul. Giocare all’ombra dei due all-star, Paul e Griffin, è una cosa che digerisce sempre meno. Questi i segnali della rottura. I Mavs gli hanno mostrato attenzione e rispetto. Ed era esattamente ciò che DeAndre voleva ricevere da questa Free Agency.
“I love that, I love that. I’m going to Dallas”:
L’accordo è stretto, i buoni argomenti di Cuban e del vassallo Parsons faranno arrivare a Dallas la versione 2.0 di Tyson Chandler. Se non fosse che…gli accordi presi durante la free agency hanno valore legale ed effettivo a partire dalla mezzanotte del 9 di luglio. E allora succede di tutto; Jordan comincia ad avere seri ripensamenti, così come i senatori Griffin e Paul che vogliono tentare il tutto per tutto. Una delegazione vola a Houston dove alloggia DJ e tra battaglie di emojii su Twitter (sapientemente spiegata da Paul Pierce) e barricamenti vari, Jordan si rimangia la parola e firma un quadriennale da 87.7 milioni di dollari con la franchigia di Steve Ballmer, lasciando Dallas tra l’incredulo e lo sdegnato ma soprattutto senza un rim protector titolare. Il putiferio scatenato dal dietro front spinge persino il Commisioner a dichiarare che non sono cose accettabili nel mondo della pallacanestro a stelle e strisce.
La rinegoziazione si è tenuta a casa De Andre, con mamma Jordan presente.
La gravità della decisione sta più nella tempistica che nel ripensamento in sé. Se De Andre Jordan, fosse tornato sui suoi passi il giorno dopo aver stretto l’accordo con i Mavs- azinchè una settimana più tardi- sarebbe stato totalmente diverso.
Il futuro
La situazione dei Clippers dover aver ingaggiato Paul Pierce era la seguente: perso De Andre Jordan, niente Bi Annual Exception da poter esercitare per prendere altri asset, niente Mini MLE perché già utilizzata per coprire il contratto di Pierce, se si utilizza la MLE piena si tocca l’hard cap.
Al di là delle limitazioni sulle manovre di mercato, il guaio grosso è vedere il tuo centro titolare che rifiuta un quinquennale da oltre $100M per preferire il Texas come nuova casa, da cui ricominciare. Senza De Andre Jordan, i Clippers non solo si sarebbero privati di un rim protector, ma di un sette piedi con irreale agilità negli spazi brevi, primo destinatario dei pick and roll giocati con Chris Paul. Per quanto sia lacunoso su certi fondamentali offensivi (e non alludo al 32% ai liberi), la sua verticalità è un bene prezioso per i Clippers. Perché si incastra perfettamente con le caratteristiche di CP3 e perché crea giochi di rapido consumo.
Poi c’è un discorso di rotazioni. Senza De Andre Jordan, Doc sarebbe stato costretto ad utilizzare Blake Griffin da 5, per tanti minuti. In una fase della sua crescita tecnica che lo vede sempre più coinvolto lontano dal canestro, grazie ai miglioramenti fatti sul ball handling e sul jumper dalla media distanza. Sarebbe come tarpargli le ali, offensivamente parlando. Ma i veri danni all’esoscheletro dei Clips si vedrebbero nella propria metà campo: Griffin ha dimostrato di saper tener testa sui cambi difensivi ai vari Howard, Duncan, Gasol, ma se si tratta di uno o due possessi. Non è abbastanza preparato per limitare i big man di questa lega in modo continuativo, specialmente se ottimi taglianti sulla linea di fondo (non sempre ottimale Blake, a difendere questa area del campo).
Per come si è conclusa la faccenda, i Clippers hanno schivato un proiettile che puntava dritto alle loro speranze di vincere un titolo nel breve termine. E nonostante i vincoli del Cap, sono riusciti finalmente a formare un secondo quintetto degno di questo nome.
Le ultime cinque annate, dall’arrivo di Blake Griffin, hanno sciacquato l’identità di franchigia perdente e sfortunata che i Clippers avevano fino all’altro ieri. La sensazione è che sia bastato un pugno di apparizioni in post-season per cancellare il loro tumultuoso passato. Prima di tramutarsi in una stabile squadra da playoff, hanno visto passare tante scelte disastrose al Draft (vedi Michael Olowokandi e Lorenzen Wright), momenti di iella nera (il disastroso infortunio a Shaun Livingston), bust del calibro di Darius Miles e Chris Wilcox, giocatori forti come Odom e Brand senza il terreno fertile per fiorire e poter dare un contributo sostanziale e giocatori al capolinea come Baron Davis o Sam Cassell.
Oggi hanno due All-Star veterani e un centro dominante a formare un core indissolubile. L’anno scorso hanno superato la bufera del caso Sterling senza accusare il minimo colpo e la leadership, con una figura carismatica come Ballmer (andatevi a vedere i suoi discorsi motivazionali per la Microsoft- di cui è stato CEO per quattordici anni- se non l’avete ancora fatto) in veste di owner e un Doc Rivers nel doppio ruolo di allenatore e President of Basketball Operations, non manca.
Alcune mosse del GM-coach sono state rivedibili, è vero. Cedere Jared Dudley e una futura prima scelta la scorsa estate per liberare modesto spazio salariale (4 milioni), firmare Spencer Hawes utilizzando la MLE piena al posto di usare quei soldi per mettere le mani su un veterano, firmare Jordan Farmar con la bi-annual exception ($2 million+) per poi tagliarlo a metà della regular season limitando così le manovre per questa free agency sono soltanto alcuni degli esempi.
Ma i colpi di questa estate sono stati rassicuranti. Si è riscattato, attuando con un anno di ritardo la migliore campagna acquisti possibile (alla luce dei limiti che lui stesso aveva fatto scattare). E ha svolto un encomiabile lavoro di mediatore nell’ affaire De Andre Jordan.
Paul Pierce è l’arma nei finali di gara, Josh Smith lo Stretch Four che può allargare il campo e punire da fuori, Wes Jhonson il Matt Barnes 2.0 e Lance il play-guardia per cambiare l’inerzia alle partite.
Qualche effetto collaterale, dovuto a questa ricca scorpacciata di assets, c’è stato. Ballmer ha pagato 4.8 milioni di luxury tax, che è più di tre e volte e mezzo la somma che Donald Sterling abbia mai sborsato per i Clippers. I veri problemi potrebbero arrivare dalla stagione 2017–2018. L’anno in cui sia Paul che Griffin possono esercitare la early-termination option e diventare di nuovo free agent per puntare ad un secondo contratto al massimo salariale.
Per la prossima stagione i Clippers sono chiamati a sfruttare bene le loro correnti ascensionali. Hanno la barca e l’equipaggio per centrare le finals, cercando di mantenere la giusta andatura e senza farsi tradire dalle emozioni. E come uno skipper esperto andranno a vele spiegate, verso l’obiettivo finale.