Previsione Golden State Warriors

Crampi Sportivi
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8 min readOct 30, 2015

“καὶ τὴν ἅμαξαν τοῦ πατρὸς ἐν τῇ ἄκρᾳ ἀναθεῖναι χαριστήρια τῷ Διὶ τῷ βασιλεῖ ἐπὶ τοῦ ἀετοῦ τῇ πομπῇ.”: “…ed egli offrì il carro di suo padre quale dono al re Zeus quale ringraziamento dell’aver inviato l’aquila”.

( Anabasis Alexandri,2. 3, Arriano, IV secolo avanti Cristo)

Come tramanda la tradizione e con la conferma di storici illustri come Quintinio Rufo, Giustinio e Claudio Eliano, l’umile contadino Gordio arrivò con sua moglie un giorno nella piazza principale della capitale della Frigia. Destinato probabilmente a vendere le sue sementi con scarsi guadagni, il nostro amico capì dalla folla festante che quello doveva essere il suo giorno fortunato. Il jackpot tintinnante gli venne dato dal fatto che, grazie all’oracolo di Zeus, era stato appena nominato re solo per essere entrato per primo nella porta della città, che venne poi rinominata col suo nome.

Gordio, per ringraziare la divinità, decise di legare il suo gioco al timone in maniera inestricabile. La profezia diceva che chi avesse sciolto questo nodo avrebbe avuto il dominio assoluto sull’Asia. Arrivato in città nel 334 a.c, Alessandro Magno è l’enfant prodige delle tattiche militari ( con lui la falange assurge a nuova vita e rivoluziona il modo di fare la guerra) e punta al dominio di Europa e Asia. Venuto a sapere del folkloristico aneddoto, il Re Macedone decide di non perdere troppo tempo e taglia di netto col suo spadone il giogo, assicurandosi il dominio sul continente.

Il 14 giugno 2015, la serie delle Finals Nba è ferma sul 2–2 e Lebron sfoggia l’abito buono (40 punti, 14 rimbalzi e 11 assist), ma la gara va dal figlio di Dell, che la decide firmando 17 punti dei 37 totali nell’ultimo quarto e chiudendo di fatto lì la contesa. In quella notte Golden State taglia di netto i due nodi.

Il titolo di Mvp lo vincerà meritatamente Iguodala e qua potete capirne il motivo, seppur in maniera molto parziale.

Il primo nodo da sciogliere era se Steph Curry, giocatore a lungo ingestibile per le difese avversarie, fosse poi in grado di risolvere le partite quando bisognava arrivare all’alloro. Gara 5 è la completa dimostrazione di due assiomi: Stephen Curry è stato in assoluto il giocatore più dominante della passata stagione e lo è stato perché assassino seriale di una squadra costruita per brillare anche nei (rari) suoi momenti di assenza dal flow dell’incontro.

L’analisi della squadra campione non può prescindere dal suo giocatore più rappresentativo e dobbiamo compensare in maniera esaustiva quello che è fin ora stata la carriera di Steph Curry. La vera maledizione di un giocatore che fin dai tempi di Davidson aveva dato ampi sprazzi della sua classe era quella di avere delle caviglie ballerine.

Proprio quando sembrava che la sua carriera si stesse inesorabilmente sfilacciandola soluzione è arrivata con l’assunzione di Keke Lyles come direttore delle perfomance atletiche dei Golden State Warriors. Deus ex machina di tecniche innovative sul controllo del corpo, ha posto Steph di fronte a un semplice quesito: ristrutturare completamente la sua struttura fisica per garantirsi anni a venire da protagonista e non da semplice comprimario bloccato da infortuni cronici. Curry è un giocatore più potente dal punto di vista fisico, perché su di lui è stato fatto un capillare lavoro d’irrobustimento di glutei e fianchi che non ne limitasse l’esplosività.

La prova tangibile è il fatto che adesso riesca a sollevare ben 400 pounds (i nostri 180 kg) nello stacco da terra col bilanciere. Le cavigliere della Zamst ( le A2Dx) sono state poi il corollario di questa rinascita che ha dato al nativo di Akron la possibilità di brillare. Nell’ultima stagione Steph ha giocato la bellezza di 80 gare di regular season, aggiungendo altri 21 impegni quando i giochi hanno iniziato a valere l’intera posta in palio e il pallone a pesare decisamente di più. Il titolo è stato il coronamento di quello che è universalmente riconosciuto come un giocatore “normale”.

In una lega caratterizzata da strapotere fisico, da giganti ipermuscolosi e da capacità atletiche in grado di annichilire la capacità di comprensione di noi umani, Curry ha lavorato sul suo corpo per giungere a un punto d’impatto tale che la distanza con le altre superstar fosse limata, se non cancellata definitivamente. Se pensi al prototipo del giocatore del Terzo Millennio e lo imposti sulla modalità macchina da guerra ti verrà in mente Lebron, Melo: nel suo essere fisicamente a-storico in una lega d’alieni, Curry ha investito tempo ed energie per riuscire a reggere gli urti dei blindati che lo circondano.

Il giocatore non va più sotto neanche a livello difensivo, dove spesso sta iniziando a prendere la tendenza di rimanere col proprio uomo e non farsi battere subito dal palleggio sul missmatch. Non sarà mai Tony Allen, ma un giocatore con una tale conoscenza del gioco può migliorare anche nella metà campo difensiva ( visto che poi, in linea di massima, quando va dall’altra parte si fa valere per usare un eufemismo).

Inoltre Steph è la quint’essenza di quel “ earned, not given” che entusiasma gli americani, impegnati a santificare storie che partono da lontano anche e soprattutto quando non hanno tutti i crismi per arrivare al successo.

Si, ok, forse ho un concetto di normalità abbastanza relativo, godetevi un pochino di ball-handling per smentirmi.

Il secondo nodo era quanto dovesse durare la maledizione sopra la Baia, visto che dal 1975 Oakland non riusciva a forgiarsi del titolo di campioni Nba. Dal 1996 al 2005 i Warriors hanno mancato continuamente la post-season, offrendo ai loro spettatori la vergognosa media di 27. 7 partite vinte per stagione.

Il titolo è stato la ciliegina sulla torta anche e soprattutto per quei tifosi che hanno assistito a più di una decade di vacche magre, ponendo un calore difficilmente concepibile a livello di Majors americane. Non ne saranno ricompensati ancora a lungo visto che dal 2017 il passaggio a San Francisco, per ovvi motivi di appeal, priverà la “Roarcole” del suo infernale brusio.

Elettrizzante come un riff di Santana.

Il giogo è stato sciolto in maniera brillante e con obiettivamente pochi problemi: Steve Kerr, al suo primo anno d’allenatore, ha compiuto la transizione definitiva dalla Pallacanestro degli anni Novanta a quella del nuovo Millennio. Ha plasmato un collettivo dai posti interscambiabili, dove il concetto di lungo è stato portato avanti da un giocatore come Draymond Green, che all’anagrafe dovrebbe essere 2 metri e un centimetro, ma ha finito per alternarsi con Bogut.

Il risultato? Che con Green da centro lo scarto medio durante l’intera stagione supera i 30 punti su cento possessi tra i Warriors e i loro avversari. Il meccanismo ha avuto dei rallentamenti ( leggasi le prime partite della serie con Cleveland), ma non è stato accantonato. Intensità e una panchina lunghissima (oltre al già citato Iguodala, l’apporto dei vari Barbosa, Livingston e un Festus Ezeli pronto quest’anno a prendersi il posto lasciato vacante da David Lee) hanno fatto la differenza tra la franchigia di Oakland le altre 29 della Lega e sono il punto d’incontro da cui ripartire per la nuova stagione.

Perché dopo l’exploit, è la riconferma la verifica di quanto bene sia stato fatto il lavoro di recisione di quel famoso nodo.

L’anno che verrà.

Fatta alla perfezione la bambola, la pigotta meritava durante la offseason soltanto un lavoro di cesello per non lasciarla sgualcire. Si doveva ripartire da Green e pagarlo per il suo reale valore: il contrattone da 85 milioni in cinque anni valorizza al massimo quanto espresso fin ora dall’ex Michigan State, che ha parecchie faretre da aggiungere al suo arco e un ventaglio di potenzialità che potrebbero garantirgli più di una chiamata all’All Star Game, anche se non da partente in quintetto.

David Lee ha salutato tutti in direzione Boston per Gerald Wallace, subito tagliato per dar spazio a Jason Thompson. Il fatto che il quadriennale firmato da Curry nel 2011 sia ancora in rigore permette un’elasticità per quanto riguarda il salary cap prodigiosa. L’Mvp della passata Regular Season non rientra neanche nei primi cinquanta giocatori più pagati della Lega, cosa che col senno di poi s’è rivelata un vero colpo di fortuna.

Una mossa che sicuramente farà piacere a tutti i fan del gioco e ai nostalgici dei Novanta viene dalla scrivania e dai quadri dirigenziali: Steve Nash sarà l’assistente della crescita dei giocatori, intervenendo personalmente sul campo per dare consigli dall’alto della quasi ventennale esperienza Nba. L’ingresso dell’ex superstar dei Phoenix Suns nello staff tecnico, al di là di una eventuale e ragguardevole operazione di marketing, rinforza un front office di caratura assoluta. Prendendo ad esempio il modello Spurs, i Warriors sono l’esempio lampante di come vettura di successo si costruisca ai box, con meccanici ed ingegneri di esperienza sicura: Ron Adams, il secondo assistent coach oltre al totemico Bill Walton, è l’uomo chiave dietro a quella che è arrivata a essere una delle migliori difese della lega.

Assistente allenatore di Tom Thibodeau a Chicago si poneva in assoluta contrapposizione al coach di New Britain: energico e collerico il primo, pacato e calmo il secondo. Uno ying e uno yang che hanno portato concretezza difensiva a una delle migliori squadre della Lega per continuità di risultati negli ultimi anni. Il pensiero di quello che realmente sembra un filosofo e che nel tempo libero si diletta con la poesia è racchiuso nella massima “ La cosa divertente, la cosa realmente divertente è vedere un gruppo diventare connesso difensivamente e lavorare cooperando l’un l’altro è realmente poetico”.

E in effetti sprazzi di versi su parquet Golden State la distribuiti con un generosità e non solo quando si trattava di bombardare le retine avversarie.

L’adattamento su Tony Allen di Green e Bogut in Gara 4 delle Semifinali di Conference spiega perfettamente come la difesa di Gsw superi con intensità e dedizione il fatto di andare sotto per centimetri da parecchie squadre della stessa caratura e como lo small ball stia monopolizzando e monopolizzerà l’Nba da qui ai prossimi anni. Centri che stanno con le guardie, il futuro è adesso.

In una squadra che punta a confermarsi l’ossatura non cambierà: per questo lo scopo della Regular Season sarà di piazzarsi comodamente tra le prime tre ad Ovest e mantenere i giocatori sani e senza infortuni di sorta. Il buon giorno non si vede certo dal mattino visto che la squadra dovrà fare a meno nei primi match di stagione di Bogut, fratturatosi il naso durante il match di pre-season contro Houston e Iguodala, operatosi in estate. A loro si accompagna Coach Kerry, che salterà le prime tre partite per un intervento alla schiena e sarà sostituito da (nientepopodimenoche) Luke Walton.

Potrebbe essere finalmente la stagione di Thompson e di Barnes: nonostante il Titolo lo scorso anno, il secondo gemello degli Splash Brothers ha palesato pause di continuità e gioco durante i playoff, tratto che lo accomuna all’ex Tar Heels. Come al solito fare previsioni è affrettato, ma non possiamo esimerci dal prestarci al gioco: L’Ovest è il solito maledetto budello infernale, un saloon pieno e pronto ad esplodere.

Ci sono gli sceriffi buoni, pronti a riportare l’ordine da fuori prima della pensione ( I San Antonio Spurs), gli sfidanti arroganti che decidono che la loro è la legge da far trionfare in città (Clippers e Houston), e i campioni, usciti da anni di mediocrità per affermarsi in due anni consecutivi e iniziare una dinastia. Saranno fuoco e fiamme e resteranno loro contro gli Spurs, per una gara 7 di Finals a Ovest da fazzoletti bagni e possesso decisivo in post tra Duncan alla sua ultima azione della carriera e Green che lo difende come se ne valesse della sua vita.

Per sciogliere l’ennesimo nodo e aspettare poi il Cavaliere del Nord Solitario, con 23 tacche sul suo fucile.

Dite che riesce a sparare da fuori le porte del saloon?

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