Provaci ancora Juan

Mattia Musio
Crampi Sportivi
Published in
3 min readJul 12, 2018

Fra tutte le metafore mai costruite per lo sport, ce n’è una che rende perfettamente la natura barbara del tennis.

“Il tennis è pugilato. Ogni tennista, prima o poi, si paragona a un pugile, perché il tennis è boxe senza contatto. È uno sport violento, uno contro l’altro, e la scelta è brutalmente semplice quanto sul ring. Uccidere o essere uccisi. Sconfiggere o essere sconfitti. Solo che nel tennis le batoste sono più sotto pelle.”

La suggeriva Andre Agassi, nel suo istant-classic “Open”, portando in superficie la malvagità e la rudezza di uno sport nato fra i nobili.
Di sicuro è una metafora che si adatta perfettamente a Juan Martín Del Potro, uno che il pugile lo avrebbe potuto fare senza problemi.

“Giocare con DelPo è facile e tremendo insieme. Facile perché ha uno schema di gioco che segue ogni partita. Tremendo perché se è in giornata, contro quello schema di gioco non ci puoi fare niente”. (Rafa Nadal)

Dopo quasi cinque ore di gioco la Torre di Tandil affonda, consegnando la semifinale proprio a un Rafa Nadal esausto; sfinito dalle botte costanti dell’argentino. Tuttavia è il maiorchino ad uscirne vincente. La magia di Juan Martín sta nell’essenza stessa dei suoi risultati, una carriera esplosa subito con il mitologico US Open, poi il buio degli infortuni e le rinascite nell’intermittenza delle grandi occasioni.

Il fatto che Juan Martín sia “il dritto più potente del circuito” semplicizza la narrativa omerica della sua carriera, fatta da una miriade di match come quelli di ieri, lottate per pomeriggi interi, perse sulle battute finali.
Le sconfitte di DelPo però sono diverse: non sembrano mai realmente maturate dai suoi errori, mai generate da prestazioni insufficienti, malgrado l’andatura ciondolante. Juan Martín dà tutto. riempendo di buche la metà campo avversaria e incutendo una paura nera anche ai Top Two. I malcapitati viaggiano da una parte all’altra, in balia del dritto alla Mike Tyson dell’argentino, mortifero fino alle battute finali.

Ma allora perché DelPo non vince mai?

Sembra quasi un rito, una ricorrenza religiosa. Le partite giocate a testa alta con i migliori lasciate andare un po’ per sfortuna, un po’ per disattenzione, un po’ perché è abitudine. Del Potro conquista tutti proprio perché è il simbolo perpetuo della sconfitta immeritata, quella che ti fa pensare “speriamo che il prossimo Slam lo vinca lui”, frase che però ti ritrovi a dire alla fine di tutti gli Slam, tutti gli anni.

Un giorno forse questo incantesimo si spezzerà, e vedremo ancora la Torre alzare le braccia a cielo come nel 2009 newyorkése. O forse non succederà, ma in quel caso ce ne faremo una ragione: a noi Juan Martín Del Potro piace anche, e sopratutto, quando molla un istante prima della vittoria, nel limbo luminoso del sarebbe potuto essere, ma non è stato.

Come dice la famosa massima: “non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta”, nemmeno in quel periodo ipotetico vivente che è Del Potro.

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Mattia Musio
Crampi Sportivi

Per sempre grato al serve and volley, al piano sequenza e al doppio passo. Laureato alla UniCa.