Quando Messi e Aguero vincevano l’oro

Crampi Sportivi
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9 min readJul 24, 2016

Benedetti siano il gioco del calcio in tutte le sue declinazioni e la sua versione olimpica. Nata con aspirazioni prive di professionismo e (purtroppo) divenuta nel tempo una vetrina per giovani promesse e affermati calciatori che indossano i panni di eruditi del pallone. Il torneo di calcio olimpico, visto dai nostri occhi, ha sempre avuto il sapore di quella occasione persa quando non riusciamo ad andare avanti nell’Europeo di categoria: in quel caso, e forse mai nella situazione contraria, l’Olimpiade appena sfumata diventa l’ennesima occasione persa per puntare i riflettori sui nostri ragazzi sperando in una plusvalenza ghiotta. Oppure per mandare Tommaso Rocchi in vacanza più tardi, dipende dai punti di vista.

Basta sfogliare l’album dei ricordi di questa competizione per apprezzarne gli inizi, con delle rappresentative improvvisate e le medaglie assegnate un po’ a caso. Nelle prime edizioni del torneo olimpico, tutte le squadre eliminate negli scontri diretti prendevano parte al Torneo di Consolazione, una competizione parallela che si alimentava con le nazioni eliminate dal tabellone principale e terminava decretando il vincitore (appunto) della Coppa Consolazione. Ma vi immaginate oggi Harry Kane intrappolato a Rio De Janeiro nel tentativo di lauerarsi campione della Coppa Consolazione.

Ma c’è una cosa che più di tutte permette agli spettatori di innamorarsi di questa competizione: la capacità di ammirare in campo squadre e realtà parallele alle loro nazionali maggiori. Pensiamo al Messico, al Camerun o alla Nigeria, capaci di portare a casa l’oro olimpico schierando giocatori che anche solo per un mese hanno dato l’impressione di poter dominare i vertici del calcio mondiale. Parliamo, sopratutto, dell’Argentina bi-campione olimpica, culla di una generazione esplosiva che di li a poco avrebbe occupato posti d’onore nelle rose delle migliori squadre del Mondo, prima di perdere due finali di Copa América e una finale Mondiale in soli tre anni.

La squadra olimpica argentina occupa quel gradino che separa l’Albiceleste dall’Under 20. Nata nel 1959, occupa un posto di rilievo nella storia delle Olimpiadi grazie al doppio oro olimpico vinto ad Atene 2004 e Pechino 2008, che ha permesso agli argentini di piazzarsi alle spalle di Ungheria e Inghilterra nella speciale classifica delle squadre calcistiche più medagliate di sempre, nonostante il pass olimpico sia arrivato solo 6 volte in 60 anni. Ayala, Almeyda, Zanetti, Crespo e Simeone nel ’96, allenati da Daniel Passarella. Poi il terzo posto nel pre-olimpico del 2000, prima di lasciare spazio a una generazione d’oro capitanata da Javier Mascherano, primatista assoluto di presenza con la Nazionale Olimpica (18) e due volte consecutive oro olimpico.

A voler forzare il più classico dei paragoni sportivi, quello che riguarda il calcio e la pallacanestro, riusciremmo a scindere lo spirito che contraddistingue i due tornei: quello calcistico, aperto al professionismo e culla delle generazioni future grazie alla limitazione che permette di convocare giocatori di età inferiore ai 23 anni, assieme a massimo tre “over”; quello cestistico, spesso al centro di numerose polemiche per via della manifesta indolenza con cui i dominatori mondiali di questo sport (spesso e volentieri impegnati in NBA) preferiscono rinunciare alla manifestazione estiva, per concedersi il meritato riposo prima di un’altra lunghissima stagione.

Portieri

L’avventura olimpica argentina è stata la culla delle delusioni, delle sconfitte e di quel retrogusto amaro in fondo al palato umido, spesso anche individuali e specifiche della vita dei calciatori. Dei cinque portieri impegnati nelle due rassegne olimpiche, l’estremo difensore di maggior successo è stato Sergio El Chiquito Romero: nel 2008 Romero è campione d’Olanda con l’AZ Alkmaar, poi vola a Pechino a prendersi l’oro olimpico e pone le basi per quella che sarà una mediocre carriera iniziata da luminosa stella. Il trasferimento alla Sampdoria in Serie B, la prima stagione in A coi blucerchiati, un prestito al Monaco, un’annata vissuta ad alternarsi con Viviano ancora a Genova. Infine, la cessione al Manchester United per essere il secondo dietro a David De Gea. Il portiere titolare dell’Argentina vice-campione del Mondo non è nemmeno titolare nel suo club.

Ed è pazzesco che non sia andata meglio a nessuno degli altri portieri impiegati nella doppia olimpiade: Willy Caballero ha raggiunto il culmine della sua carriera da titolare a Malaga e oggi fa il secondo dall’altro lato di Manchester, nel City. Nel 2004, ad Atene, era anche il secondo di Germàn Lux. Un disastro. Proprio Lux, campione in terra ellenica, è stato il secondo di Franco Costanzo nel River Plate, il secondo di Moyà e Aouate al Maiorca e oggi è ancora instancabilmente, irrimediabilmente il secondo di Stipe Pletikosa al Deportivo.

Menzione d’onore per Nicolas Navarro, primo portiere straniero nella storia del Napoli e titolare per ben 19 partite di campionato grazie agli infortuni di Gennaro Iezzo e Matteo Gianello, prima di tornare ad essere il secondo portiere di River, Gimnasia, Tigre e San Lorenzo. Posto riservato per l’ultimo portiere di questa squadra d’oro, Oscar Ustari, impiegato per 174 partite in 12 anni di carriera. Se consideriamo la media di 45 partite disputate da un club in una sigola stagione, in 12 anni fanno 540 presenze. Eternamente secondi. Spero in tutto questo di aver dimenticato qualcosa o qualcuno.

Abbiamo potuto apprezzare da vicino sia Romero che Navarro ed entrambi non hanno brillato per le loro prestazioni, a giudicare dalle rispettive carriere. Eppure nel 2008, dopo Napoli-Milan 3–1, la piazza partenopea era caldissima per questo giovane portiere arrivato dall’Argentinos Jrs., dove collegare Napoli, Argentina e Maradona è un attimo, un battito d’ali, una colpo d’acceleratore.

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Spesso non è impegnativo cercare di capire i problemi di questi giocatori in campo

L’Argentina non ha mai dovuto affrontare quel problema di estremi difensori che ha sempre riguardato noi italiani, che abbiamo trascorso gli ultimi cinque anni a chiederci chi sia il degno erede di Gianluigi Buffon mentre lo stesso capitano “ammazzava” tutta la diretta concorrenza. No, l’AFA questo problema non se lo pone minimamente proprio perché loro, un estremo difensore decente, lo stanno ancora cercando.

Difensori

Fabricio Coloccini io me lo ricordo pure! Con la maglietta del Milan nella sua unica presenza in campionato in maglia rossonera. Riavvolgiamo il nastro: nel 1999–2000 il Milan preleva il riccioluto difensore dal Boca Juniors, per prestarlo a quattro squadre diverse in quattro anni. Finalmente l’orologio della sua casa milanese segna l’ora esatta, quella giusta per rimanere mezza stagione a Milano e mettere insieme una presenza in campionato, tre in Coppa Italia e una in Champions League. Fine delle trasmissioni. Poi tre anni al Deportivo e la fascia di capitano al Newcastle. Coloccini è l’emblema di una Nazionale Olimpica che ha affidato le chiavi della sua difesa a 11 giocatori in quattro anni, con risultati pressochè pessimi.

La difesa argentina, molto semplicemente, è un grosso punto interrogativo già da diversi anni (in Brasile, nel 2014, tra i convocati figurava Hugo Campagnaro!). Così, accantonando i soli Ayala e Heinze (per puro campanilismo), ci ritroviamo a disquisire amabilmente delle gesta di grandi innovatori del ruolo del difensore: Nicolàs Burdisso, dotato di garra in quantità industriali ma poco elegante e sicuro; Clemente Rodriguez e Leandro Fernandez, i soliti ignoti; Fabian Monzòn, che in Italia abbiamo ammirato con la maglia del Catania; Ezequiel Garay, che a soli 30 anni si accontenta di sparacchiare palloni in tribuna nella fredda San Pietroburgo in compagnia di Domenico Criscito, uno che in materia di rimpianti potrebbe tenere un master; Nicolas Pareja e Federico Fazio, i due centraloni della panchina del Sevilla di Emery, con Fazio che viene venduto al Tottenham e poi ritorna in prestito a Siviglia.

Per esclusione ne rimane uno, Pablo Zabaleta, onestissimo terzino di spinta penalizzato forse dalle confusionarie corsie laterali del Manchester City. E si potrebbe metter su una grande discussione, stappare un cartone di Campari e rigare tutti gli specchi del mondo nel tentativo di dimostrare che comunque sia i difensori argentini forti esistono e sono tra noi ma invece no, sarebbe solo una inutile perdita di tempo.

Nel 2004 l’Argentina si laurea campione olimpica senza subire nemmeno una rete. Quattro anni dopo sono appena due i gol incassati dalla retroguardia Albiceleste. La verità è che forse gli argentini davvero non sappiano difendere (come gli olandesi) e che abbiano bisogno di spedire qui da noi i piccoli Walter Samuel per affilare le tecniche di difesa contro ogni uomo e contro ogni cosa e assicurarsi qualche garanzia negli ultimi metri del campo? Forse sì. Garay centrale e Aguero e Di Maria sulle fasce, potrebbe essere una soluzione ottimale. Una squadra sacrificata all’attacco, dove segnarne uno più di quelli che si prendono sarebbe l’unico mantra.

Centrocampisti

El Tanguito, El Principito, El Mudo, El Jefecito, El Buenito, El Cabezon, El Comandante: l’Argentina, se vogliamo, è tutta qui in questi pochi soprannomi. Se ci spostiamo verso la cintola del campo da gioco, la nostra doppia Argentina inizia a prendere fiducia: gambe e idee che in un contesto fantastico dovrebbero servire a tappare i buchi lasciati dai compagni arretrati.

Tra qualche settimana inizieremo a dar vita alle nostre prime impressioni su Ever El Tanguito Banega, arrivato all’Inter a costo zero e pronto a dimostrare perché è provato che i giocatori dal baricentro bassissimo debbano dominare il mondo. Banega e Riquelme sono stati per la nazionale olimpica un continuum di idee e colpi di genio che potrebbe clamorosamente morire tra pochi giorni, quando la l’Argentina di Olarticoechea scenderà in campo a Rio senza un giocatore capace di imprimere il suo ritmo al gioco in maniera così personale.

A rileggere il centrocampo argentino di quel quadriennio, sembra una vera gioia: una primizia per gli occhi, con Mascherano a dragare i palloni davanti alla difesa. El Jefecito è recordman assoluto di presenze e unico ad aver vinto entrambi gli ori consecutivi, da leader della squadra. Spostandoci tra i vari reparti la situazione concede gioie alterne: scartiamo a prescindere Josè Sosa, Nicolas Medina e Mariano Gonzalez, davvero troppo inconsistenti per trovare spazio tra queste righe, prendiamo invece Diego Buonanotte e la sua carriera spaccata in due da un incidente automobilistico che rischiò di ucciderlo, ma che ha comunque portato via quella riserva di talento espressa in giovane età.

Prendiamo anche tre giocatori come l’ex interista Kily Gonzalez, un tipo duro que se nega a decìr adios; El Cabezon d’Alessandro, uno dei tanti a esser stato per molto tempo il nuovo Maradona; infine Lucho Gonzalez, oggi svincolato dopo il suo ritorno al River.

Per chiudere questa porzione centrale di campo, in vista della pazzesca abbondanza che troveremo davanti, volevo ringraziare l’Ajax Amsterdam e la famiglia Rosales per aver creato assieme Mauro Rosales Damiàn, probabilmente il mio argentino preferito di sempre, nonchè fautore della mia passione per la MLS. Giocatore di una lentezza pazzesca e dalle caratteristiche assolutamente comuni, Rosales è stato per me qualcosa nell’infinito parco giocatori che è questo mondo intero: è stato il mio giocatore preferito di Pro Evolution Soccer, con la maglia bianchissima dell’Ajax e il colorito di pelle olivastro, è stato il mio primo approccio con l’Argentina e il giocatore che più mi ha fatto capire che si può essere inutili, esserlo bene e ad alti livelli. Solo 11 presenze in nazionale maggiore: non ti hanno mai capito abbastanza.

Attaccanti

Discuterne sarebbe superfluo. Negli ultimi dieci anni l’Argentina è stata una bellissima fabbrica di attaccanti che ha prodotto centravanti, mezzepunte e ali di tutte le dimensioni, di qualsiasi categoria di peso e con le caratteristiche più variegate. I due ori olimpici passano dall’incredibile capacità di convertire in gol ogni palla che viaggiava dalla trequarti campo in su, manifestando un dominio che abbinato alla Nazionale maggiore è stato paurosamente improduttivo ma che ha consegnato all’Europa e al Mondo intero degli autentici dominatori.

Nello stesso gruppo ci sono stati Carlos Tevez, Javier Saviola, Angel Di Maria, Lionel Messi, Sergio Aguero ed Ezequiel Lavezzi (che per attitudini anagrafiche potrebbero tranquillamente essere i sei attaccanti della Nazionale Italiana tipo “gli azzurri in attacco con la coppia Saverio Saviola-Angelo Di Maria).

Così avremmo in bacheca:

5 Campionati Argentini
10 Campionati Spagnoli
6 Coppe di Spagna
8 Supercoppe di Spagna
4 Campionati francese
3 Coppe di lega Francese
2 Coppe di Francia
3 Supercoppe di Francia
2 Campionati Portoghese
5 Coppe di lega portoghese
1 Campionato Greco
1 Campionato Brasiliano
5 Campionati Inglesi
3 Community Shield
3 Coppe di Lega Inglese
1 Coppa d’Inghilterra
1 Supercoppa italiana
2 Scudetti italiani
2 Coppe Italia
1 Coppa Argentina
2 Copa Libertadores
1 Coppa Intercontinentale
1 Coppa Sudamericana
1 Coppa Uefa
4 Mondiali per Club
6 Champions League
5 Supercoppe Uefa
5 Palloni d’Oro
1 Europa League

E allora dedicheremo queste ultime riflessioni a Luciano Gabriel Figueroa e Lautaro Acosta, sbagliatissimi in un contesto gigantesco, ancorati alla mediocrità di una carriera incompiuta anche dopo due prestigiosissimi Ori olimpici, che mai come in questo caso si son rivelati esser di carta. Figueroa ha impattato col calcio europeo frantumandosi, accumulando alcune presenze anche in Italia, con la maglia del Genoa mentre Acosta ci ha provato in Spagna, con Racing e Siviglia, mettendo insieme pochissime partite e tornando indietro.

Un’Argentina invincibile che ha perso tre finali negli ultimi tre anni partendo proprio dalla doppietta olimpica, alimentando i miti di Maradona e della sua generazione trasformandosi in un racconto più che una squadra, un romanzo che si alimenta grazie alle parallele vite dei suoi protagonisti, dai successi con le loro squadre di club all’ultimo, tragico ritiro di Messi. Morte, distruzione, telenovelas, moriremo tutti.

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