Rettile

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readDec 1, 2015

Credo che Kobe sia stato più ossessionato dal gioco di Michael Jordan, per il semplice fatto che Jordan non aveva un Jordan prima di lui. Certo, aveva dei giocatori leggendari, dei modelli, delle pietre miliari, ma non aveva Michael Jordan nello specifico e quello che ha significato per il mondo, esteticamente e mediaticamente (essendo lui stesso Michael Jordan). Mentre Kobe sì. Kobe ha ripetuto a se stesso, in ogni momento della vita, che per diventare come Jordan e migliore di Jordan e migliore di tutti, sarebbe dovuto diventare qualcosa oltre l’umano e non parlo banalmente di forza, inteso come tecnica, atletismo, conoscenza del gioco; intendo a livello bioritmico, metabolico, cellulare.

Kobe è un giocatore diverso perché si è violentato con l’ossessione per il gioco, al punto di trasformarsi in un nuovo essere. Non dico migliore o peggiore, non so se abbia raggiunto Jordan, non mi interessa ora, dico peró che tutti gli abbiamo visto fare cose innaturali. Non mi riferisco ai punti, ai numeri, ai 360 in campo aperto, parlo di dettagli, indizi, scatti, per lo più momenti legati alla sfera istintuale, quella nervosa, quella che reagisce automaticamente, senza possibilità di essere mascherata o nascosta, quella che ci mostra mente e corpo nudi, dove possiamo affacciarci per vedere cosa è veramente Kobe Bryant. Una serie di tasselli che, a mio avviso, se ricomposti, potrebbero portarci a una conclusione Lovecraftiana: Kobe, nel tempo, si è allontanato dall’essere umano.

Esistono tante storie su Kobe Bryant, sulla sua ossessione, sulla sua cattiveria, sulla sua inumana cultura del lavoro, ma sento che le storie in questo momento sarebbero un mezzo troppo debole, per questo ho scelto di affidarmi a dei video. I video li vedi, sono testimoninze lampanti e molto efficaci per il genere di dimostrazione che voglio provare a fare. So che molte cose che ho visto fare a Bryant non riuscirò a trovarle, forse alcune me le sono anche immaginate, ma sono sicuro che attraverso il materiale presente su youtube riuscirò a comporre un piccolo compendio del Kobe diverso, innaturale, inumano, unico.

Reptilia

Un riflesso nervoso è una risposta automatica e involontaria dell’organismo, mediata dal sistema nervoso che genera una risposta in seguito a uno stimolo proveniente dall’ambiente o dall’interno del corpo o da Matt Barnes. Qui possiamo vedere una classica situazione in cui si litiga con quella canaglia di Matt Barnes, il quale, giustamente, non abbassa mai la cresta, e continua a pizzicare e a beccare Kobe. Il momento che vi voglio sottoporre è quando Barnes finge di sbattere la palla in faccia a Kobe. BAM, in faccia, a mezzo centimetro dagli occhi. Qui torniamo al concetto di “riflesso nervoso”, non è una cosa che controlli, non dipende da quanto tu sia duro o coraggioso, semplicemente il tuo corpo reagisce, perché è così che funziona il corpo umano.

Kobe non reagisce e soprattutto non sbatte gli occhi, c’è la fottuta prova nel video. Kobe continua a fissare Barnes e a ciondolare leggermente da un piede all’ altro, come in una sorta di stato intermedio tra la trance agonistica, l’impossibilità di pensare a nulla se non a vincere tutte le micro sfide che separano l’inizio della partita dalla vittoria dei Lakers e l’odio, ma non l’odio di un mammifero, questo è l’odio di un rettile, che può aspettarti per 7 ore immobile senza battere le palpebre e appena ti volti scattare e spezzarti in collo. L’unica nota che mi sento di fare è che la frequenza cardiaca di un uomo adulto è di 70 battiti al minuto, quella di un serpente è di 20.

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Incendio

Kobe Bryant è uno stronzo e un pazzo, non credo di dire una cosa sconvolgente, tantomeno di essere offensivo o irrispettoso, anzi, questo è il motivo per cui è un profilo così incredibilmente interessante e affascinante. Da sempre mi fa pensare a Vegeta (spero di non dover spiegare chi è Vegeta): stronzi, pazzi, chiusi, introversi, ombrosi, cattivi, ossessionati dal voler essere i migliori dell’universo, solitari, megalomani, egocentrici. L’egocentrismo di Kobe Bryant è qualcosa di molto sofisticato, è una bolla nera che ingloba tutto ciò che lo circonda, per miglia. È anche una delle principali ragioni per cui è l’unico giocatore dell’era moderna ad essersi avvicinato così tanto ai 100 punti in una partita.

Insieme naturalmente alla forza e alla tecnica spropositate c’è anche la possibilità di imporsi su tutto e tutti e decidere che da adesso in poi tiro solo io e nessun altro di voi sfigati gioca o tocca la palla, e zitti. Anche qui voglio arrivare a dimostrare quanto l’ossessione per il gioco, per la vittoria e per se stesso, abbiano trasfigurato Bryant a livello biologico. In questa partita di playoff contro gli Spurs a Kobe fischiano un tecnico, è talmente incazzato e talmente profonda la bolla nera di egocentrismo in cui vive che non vede più le persone che lo circondano. Non è una battuta. Va per sedersi in panchina e con uno scatto d’ira folle colpisce il sedile, senza calcolare che nel mezzo c’è il povero Joe Smith. Kobe non lo vede, non lo calcola, non lo sente, vede tutto nero, nel suo personalissimo incendio di rabbia.

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Quiescenza

Nel 2007–2008 i Lakers perdono 4 a 2 le Finali contro Boston, uno smacco molto pesante da ingoiare. Due anni dopo si ritrovano di nuovo lì, la pressione è alle stelle e per i Lakers perdere sarebbe imperdonabile. Per Kobe vincere quel Titolo è una priorità assoluta, sarebbe il suo quinto anello e soprattutto quei Celtics lo hanno sovrastato e questo lui non lo può sopportare. Questo significa che non si può sbagliare niente, ogni secondo di gara è prezioso e deve essere massimizzato per la vittoria finale. La condizione mentale di Kobe durante quelle Finals è assurda. Sbaglia tanto, ma la concentrazione su ogni secondo di gioco è inumana.
Questo momento lo ricordo perfettamente, siamo a Gara 1, Kobe è in panchina e lì accanto, nel suo posto super lusso, c’è Chris Rock che attacca bottone, presumibilmente con una battuta o con un commento leggero sulla partita. È una cosa che a Los Angeles, allo Staples Center, capita spesso. La reazione di Kobe è emblematica, non possiamo, realisticamente, sapere cosa gli passi nella testa. A mio avviso le ipotesi sono due. La prima potrebbe essere un’attività cerebrale vorticosa; sta ripassando a mente ogni partita giocata contro ogni singolo membro dei Boston Celtics, sezionando tutti i possessi, tutti i punti deboli, i movimenti, i tagli, la tendenza a fare una determinata scelta e poi le possibilità di colpirli.

Chi ha seguito Kobe in questo decennio sa che quello di cui parlo non è fantascienza e che lui è capace di queste cose. Nel libro di Ettore Messina “Basket, uomini e altri pianeti” il coach racconta della sua esperienza ai Lakers e riporta un episodio in cui Kobe si complimentò con lui per la preparazione di un gioco offensivo basato sui pick and roll, aggiungendo poi che questi pick and roll in transizione li faceva già alla Virtus Bologna con Ginobili, facendolo rimanere di stucco. La seconda ipotesi per me però è quella più probabile, ovvero Kobe è in uno stato di quiescenza. La quiescenza è uno stato in cui possono andare le piante e alcuni animali, nel quale vengono sospese momentaneamente le attività vitali, o comunque dove l’energia a livello cellulare viene ridotta al minimo indispensabile. Serve a non sprecare inutili energie in momenti “morti”, come ad esempio in panchina mentre Chris Rock attacca bottone. Il problema è che la quiescenza non è propria dell’uomo.

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Emisferi incrociati

Perché qualcuno dovrebbe imparare a tirare con la sua mano debole? Palleggiare ovviamente, appoggiare ovviamente, schiacciare certo, allenare la coordinazione senza dubbio, ma perché uno dovrebbero voler tirare con l’altra mano, visto che non la userebbe mai e che comunque prima di arrivare ad averne una padronanza quantomeno decente ci impiegherebbe mesi di allenamento intenso? Per poi usarla veramente forse? No, perché comunque avrebbe la sua mano forte con cui è naturale che tiri. Le risposte, in ogni caso, sono due: perché è un ambidestro naturale di grande talento che per divertire gli amici, talvolta, usa l’altra mano (al campetto), o perché è un pazzo ossessivo non ambidestro che passa la vita anche a tirare di sinistro nell’eventualità che una volta, essendo a meno 14 contro Dallas a 4 minuti dalla fine, recuperando la squadra un pallone in attacco, strappandolo ad un compagno che non saprebbe che farsene, uscendo dalla linea da 3, creando spazio dalla marcatura di Jason Terry e voltandosi per tirare, potrebbe in questo modo evitare di essere stoppato dal suddetto Terry, tirando col braccio più lontano da lui, e portando in questo modo la squadra a meno 11. Quello che a quei tempi sembrava un circus shot qualsiasi, oggi sappiamo con certezza essere il frutto della maniacalità ossessiva di un visionario.

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P.S.

O magari in caso di lacerazione del tendine della spalla vuoi continuare a giocare usando una mano sola, come una lucertola che continua a vivere dopo che gli tagli la coda.

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Non ho mai pensato che Kobe potesse lasciare il basket. Avevo questa idea un po’ ingenua che comunque lui non avrebbe lasciato, non so come. Forse proprio questa mia teoria che si stesse trasformando lentamente in qualcos’altro, che l’ossessivo allenamento lo potesse rendere immune anche al passare del tempo. Pare di no. Però mi chiedo una cosa, avete mai visto un rettile invecchiare? Un rettile muore se lo uccidi, altrimenti resta immobile, per giorni e quando meno te lo aspetti

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