Rinascere da simbolo — Intervista a Florian Planker

Crampi Sportivi
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4 min readMar 26, 2018
© Gabriele Merlin

Quando la vita decide di farti lo sgambetto, gettandoti a terra e interrompendo un percorso che fino a poco prima ti sembrava ormai tracciato e sicuro, il bivio che ti si presenta è uno e uno soltanto. Puoi “tirare in mezzo Dio, il destino o chissà che” — parafrasando un vecchio successo di Ligabue — puoi restare seduto lì, a terra, e piangerti addosso, oppure puoi reagire, risollevarti, rialzare la testa e ridisegnare quella strada che, seppur con qualche curva in più, può ancora essere la tua. Ed è proprio quello che è capitato a Florian Planker, portabandiera azzurro alle recenti Paralimpiadi di Pyeongchang. Florian nasce a Bolzano e fin da bambino è chiaro a tutti che sarebbe diventato un campione. Giovanissimo e determinato a 17 anni, mentre la maggior parte dei ragazzini sogna di diventare un calciatore, lui è già una promessa dell’hockey italiano: gioca in Serie B e la nazionale gli ha già messo gli occhi addosso. Il talento di quel giovane ragazzo era lampante e l’idea di diventare un membro fisso della squadra azzurra stava diventando pian piano qualcosa di ben più concreto di una semplice e remota possibilità.

Il destino, però, a volte agisce in maniera strana, per non dire assurda. Quel maledetto giorno Florian è in sella alla sua moto con il suo migliore amico. Una moto e una strada che conoscevano bene ma che, quella volta, gli voltò le spalle. Strada bagnata, la moto che scivola, la corsa in ospedale e un rischio infezione altissimo: l’esito è l’amputazione della gamba. Una soluzione estrema e vitale, ma che — per un ragazzo giovane con un futuro sportivo roseo di fronte a sé — sarebbe potuta essere devastante se a combattere non fosse stato Florian. Gli basta un anno per rimettersi in pista, in tutti i sensi. Sembra difficile sciare con una gamba sola e senza il piede di appoggio, ma la determinazione e soprattutto la passione sono più forti di qualunque ostacolo. La sua nuova condizione non lo ferma, al contrario: da quel momento il successo non è solo più probabile, diventa certo. Nello sci alpino vince un bronzo alle Paralimpiadi di Salt Lake City 2002 e uno ai campionati del mondo di sci alpino paralimpico due anni più tardi. Partecipa ai Giochi Paralimpici di Nagano 1998 e di Torino 2006, passando subito dopo all’hockey su slittino. Senza contare i tanti titoli italiani, con la Nazionale conquista un oro, nel 2011, e un argento , nel 2016, ai campionati Europei. Partecipa ai campionati del mondo e alla paralimpiadi di Vancouver 2010 e Sochi 2014.

Ma non basta: Florian non ha intenzione di mollare e quella di Pyeongchang è stata per lui la sesta edizione dei Giochi, la terza con la Para Ice Hockey.

Edizione per la quale Florian è stato anche scelto da Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico, come portabandiera azzurro: «Per me sarà la sesta paralimpiade — ci ha raccontato Florian proprio prima di partire per i Giochi — . Ne ho disputate tre con lo sci, mentre questa sarà la terza con l’hockey. E sì, sarò anche il portabandiera. L’essere stato scelto da Pancalli come portabandiera della spedizione azzurra non può che essere un grande onore. Spero di portare bene a tutta la squadra».

Una squadra cresciuta notevolmente dl 2003, anno di fondazione della Para Ice Hockey. Allora Florian non faceva ancora parte della formazione azzurra, ma in questi anni l’evoluzione è stata enorme: «Nel 2003 hanno fatto le prime squadre a Torino, in Lombardia e Trentino Alto Adige e sicuramente è stata dura iniziare da zero in vista di Torino 2006.

Hanno comunque partecipato e da lì in poi si sono allargate le squadre, sono arrivati nuovi elementi. Specialmente negli ultimi anni i giovani hanno dato un grande aiuto, forza nuova che speriamo anche Pyeongchang possa darci la giusta forza e lo stimolo per dare ancora di più in questa occasione perché possiamo andare anche a vincere una medaglia.

La Norvegia è una squadra al nostro livello. Poi ovviamente anche nell’hockey, così come negli altri sport, ci vuole anche un pizzico di fortuna: può bastare un rimpallo sfavorevole e ti cambia tutta la partita. Il Canada ha un gioco bellissimo, perfetto. La storia dell’hockey non è un caso che venga proprio da lì. Si conoscono benissimo tra di loro e giocarci contro è sempre bellissimo anche perché si può solo imparare. A Pyeongchang avremo il piccolo vantaggio dell’assenza della Russia, ancora bloccata per doping, e per noi è un’occasione buonissima. Noi a Sochi siamo arrivati quinti e loro secondi: questa volta però abbiamo l’occasione di arrivare al podio. Puntiamo al terzo posto».

Così raccontava Florian a poche settimane dalla partenza per Pyeongchang, dimostrando una forza, un carattere e soprattutto la volontà di affrontare i Giochi per portare a casa un risultato storico e una medaglia. Una medaglia purtroppo solo sfiorata dalla Para Ice Hockey, che ha chiuso al quarto posto il torneo paralimpico. La squadra azzurra, infatti, si è purtroppo dovuta arrendere alla Corea del Sud, perdendo così il bronzo dopo una partita equilibrata ma combattuta. Una medaglia di legno che comunque rappresenta un enorme salto avanti nella storia della Para Ice che come miglior risultato, prima dei Giochi 2018, aveva il sesto posto di Sochi 2014. Obiettivo podio solo sfiorato per gli azzurri e per Florian che tuttavia, il suo personalissimo oro l’ha già vinto.

© Gabriele Merlin

Articolo a cura di Giulia Abbate

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