Road to Triplete — Gli 11 acquisti da incubo dell’Inter morattiana

Crampi Sportivi
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10 min readMay 7, 2014

L’era Moratti si è conclusa e, in concomitanza con quella dell’Acquario, per l’Inter è iniziata quella Thohir. Nella storia del calcio Massimo Moratti rimarrà il presidente che nel 2010 ha garantito alla maglia del proprio cuore il triplete, sogno pressoché impossibile di ogni grande squadra: campionato nazionale, coppa nazionale e coppa internazionale in una sola stagione. Quello che quindici anni fa chiamavano anche grande slam.

Ma la strada verso quel triplete è stata costellata di fatiche che levati, tra recriminazioni arbitrali, scudetti contestati, battaglie in tribunale, polemiche su pedinamenti e intercettazioni ma soprattutto: granchi.

Nel senso degli acquisti scellerati, non dei crostacei.

Abbiamo scelto per voi l’11 da incubo del calciomercato morattiano e, dato che non ne avevamo ancora abbastanza, abbiamo aggiunto anche cinque riserve, tanto per gradire.

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A disposizione: Van der Meyde, Brechet, Choutos, Gilberto, Georgatos

1. Fabián Carini

Carini è un giramondo del pallone: eppure, nonostante tutto, l’Italia è stata un po’ la sua casa. Cresciuto nel Danubio, doveva essere il giovane che avrebbe sostituito e spostato nel cestino un Van der Sar incerto in quel di Torino. Tuttavia, se la Juve lasciò andare De Sanctis, scelse di tenersi l’uruguaiano. Poi due anni in prestito allo Standard Liegi, dove fece bene e l’Inter decise di prelevarlo. Nelle pazze spese morattiane, l’estremo difensore ha giocato poco e non ha mai rappresentato una seria minaccia né per Julio Cesar né per Toldo. Terzo portiere nerazzurro, negli anni italiani si è portato comunque a casa due scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. Fun-fact: riecheggia ancora il magico scambio tra Inter e Juve dell’estate 2004. In bianconero Fabio Cannavaro, ormai stanco dopo un anno nero a Milano; in nerazzurro Carini. Non si può dire che c’abbiano visto lungo.

3. Felice Centofanti

Non si sa che tipo di messaggio volesse lanciare Moratti quando, durante il suo primo calciomercato, decise di comprare Felice Centofanti, questa sacra sindone qui sopra. Eppure qualcosa voleva comunicarci. In un’Inter che continuava a comprare presunti campioni dal pedigree esotico, Centofanti era una bella e genuina pippa nostrana. Personaggio fumettistico molto più che calciatore, Centofanti è figura mitologica al punto che a ripensarlo a distanza di anni torna lo stesso dubbio di sempre: ma è esistito davvero?

Delle sue nove presenze con l’Inter — anche lui relegato in panchina dalla disciplina tattica di Pistone — il punto più alto è rappresentato da una rete siglata in casa contro la Fiorentina, di cui abbiamo questa documentazione storica:

Il video si apre con Roy Hodgson intento a giocare a subbuteo davanti le telecamere e poi splendido, luminoso il gol di Centofanti, un manifesto del calcio anni ’90: punizione strozzata di Roberto Carlos, guizzo astuto di Maurizio Ganz e tiraccio di Centofanti, qui definito “il zazzeruto centrocampista dell’Inter”.

Una volta ritiratosi — e prima di tornare a quarantadue anni al calcio giocato con la Sannicolese, squadra di terza divisione abruzzese — è tra gli inviati di Striscia la Notizia, al grido di “Felice Centofanti li sistema tutti quanti”.

4. Cyril Domoraud

Ivoriano col passaporto francese, Domoraud arrivò in Italia dall’Olympique Marsiglia nell’estate ’99 con la fama di ‘difensore eclettico’, passepartout giornalistico che, all’epoca, ricordo che veniva usato anche per Winston Bogarde. Il forte Cyril doveva, nei piani dell’allora tecnico nerazzurro Marcello Lippi, rinforzare la difesa insieme a Laurent Blanc. Riuscì a collezionare solo sei presenze, ben due unità in meno dei miliardi che vennero spesi per acquistarlo.

Il vero capolavoro della dirigenza fu piazzarlo al Milan in cambio di Helveg due anni più tardi, di ritorno dal prestito al Bastia. Come sempre, però, nelle storie che narrano un fallimento il riscatto epico avviene quando la platea è distratta: Domoraud giocò infatti, con la fascia di capitano, la partita vinta dalla Costa d’Avorio contro la Serbia-Montenegro nel mondiale tedesco del 2006. Facile che Moratti si sia mangiato le mani.

5. Gonzalo Sorondo

Eclettico (pure lui) difensore uruguayano, arrivò all’Inter nella stagione 2001 per ringiovanire la difesa nerazzurra, e invece aveva la stessa resistenza articolatoria di mio nonno. 11 presenze in 2 stagioni, zero reti e un ginocchio che ispirò un episodio di Dr House. In seguito la società provò a usarlo come pedina di scambio per arrivare ad altri giocatori. Stranamente nessuno abboccò. Una volta, in uno studio dentistico, un odontotecnico stemperò la mia tensione pre-operazione ribattezzandolo “So’ rotto”. Ancora lo ringrazio.

2. Vratislav Grecko

Ci sono dei simboli che non si scordano. Lee Harvey Oswald per l’omicidio Kennedy, Mark Chapman per l’uccisione di John Lennon. Anche Vratislav Grecko è ritenuto responsabile di aver ammazzato qualcosa: i sogni nerazzurri. Se qualcuno ricorda il 5 maggio 2002, il responsabile principe dei giorni a seguire è senza dubbio lo slovacco. Arrivato in Italia nel 2000, lo volle Marco Tardelli, che lo aveva visto agli Europei U-21: l’Inter lo pagò 10 milioni e Moratti sognava già il nuovo Roberto Carlos.

In un certo senso, il suo sinistro è stato famoso come quello del brasiliano: lo slovacco non ha mai ripagato le attese. Basti pensare che nell’anno della disfatta dell’Olimpico, i due terzini sinistri dell’Inter erano Grecko e Georgatos. Normale che lo slovacco avesse qualche chance in più. Poi l’errore sul 2–2 di Poborsky della Lazio, con quell’infausto e mal riuscito retropassaggio, che aprì al ceco la strada per il pareggio e per le lacrime del club di Milano. Ceduto quell’estate stessa, Grecko ancora gioca in seconda divisione slovacca, ma gli accidenti non sono mai finiti di arrivare.

6. Vampeta

“Vampeta di entusiasmo” titolò la Gazzetta. Marcos André Batista Santos, meglio noto come Vampeta (Vampito+Capeta, il diavolo), arrivò all’Inter e fu pagato qualcosa come 30-e-dico-30 miliardi di lire. Vantava anche un discreto curriculum: campionato e Supercoppa olandesi al PSV con Ronaldo; campionato e Mondiale per club col Corinthians. Si pensava fosse un talentuoso centrocampista brasiliano (“Un po’ Rivelino, un po’ Dunga” disse di lui Luxemburgo, ex c.t. del Brasile).

Tanto talentuoso che con l’Inter — in totale — scese in campo ben 8 volte, di cui sola una in Serie A. Poi tutti si dimenticarono di lui. In pratica l’Inter lo pagò quasi 4 miliardi a partita. Economico. Di Vampeta ci si ricordano l’esuberante lentezza e feline movenze bradipesche. E il fatto che abbia posato nudo per una rivista gay brasiliana. “Io gioco a calcio, non faccio sfilate”.

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10. Ciriaco Sforza

Ciriaco Sforza è un nome dal sapore medievale, di quelli che potresti trovare nei libri di storia nel capitolo dedicato alle oscure campagne dei lanzichenecchi nel mantovano; oppure di quelli che ti aspetti di vedere a fianco di Pico della Mirandola e di Tommaso Campanella, tra quegli schizzati hipsteroidi dei filosofi neoplatonici. E invece Ciriaco Sforza fu un fantasista svizzero, ruolo di per sé abbastanza ossimorico, una sorta di stranezza storica.
Sforza è stato il primo e unico dieci della storia della Svizzera e, di conseguenza, frutto così esotico da non poter passare inosservato a Massimo Moratti, che lo compra nel ’96 per 6 miliardi di lire. 26 presenze e un goal nell’unica stagione nerazzurra, ma la capacità di entrare nell’immaginario collettivo grazie ad Aldo Giovanni e Giacomo.

Una battuta che farà di Sforza sempre un’icona assoluta dei bidoni all-time.
Prima che l’Inter lo cedesse credeva ancora, e in modo direi romantico, alla sua utilità: «Sono convintissimo di poter tornare utile a Simoni. Le soluzioni tattiche a disposizione del tecnico sono numerose. Fra queste, ne sono sicuro, ci sara’ anche quella che prevede l’utilizzazione di un regista classico. È un ruolo intramontabile. E per fortuna è il mio ruolo».

8. Francisco Javier Farinòs

Duttile centrocampista spagnolo, Farinòs fu tra i protagonisti della cavalcata del Valencia in Champions League, terminata con la sconfitta in finale a opera di un Real Madrid pre-galactico. A memoria d’uomo, nell’estate del 2000 in Europa furono acquistati soltanto giocatori di quel Valencia di Cuper. Ed Hector Cuper, ovviamente, il quale se lo portò all’Inter per 36 miliardi. C’è da dire che Moratti, abitualmente, ne spendeva di più per molto meno.

Centrocampista irrilevante, rimase all’Inter per tre stagioni, inframmezzate da un prestito al Villareal. Si guadagna un posto da titolare in questa formazione ideale grazie alla peculiarità del suo momento di gloria: nel ritorno dei quarti di finale di Coppa Uefa 2001–02 giocati da ex contro il Valencia, si infilò i guantoni e subentrò per esaurimento cambi come portiere al posto dell’espulso Toldo, difendendo l’1–0 firmato Nicola Ventola. Quanti giganti in un aneddoto solo. Facile che Thohir se lo ricordi e gli sia anche grato, per aver difeso il gol del suo bomber preferito.

7. Ricardo Quaresma

Se c’è un giocatore ricordato per la sua totale inutilità quello è Ricardo Quaresma. Comprato per la modica cifra di 25 milioni di euro (18 più il cartellino di Pelè-non-quello-l’altro), il calciatore portoghese, famoso per la sua “trivela” (un colpo con l’esterno tanto inutile, quanto brutto da vedere), è considerato fra i più grandi fallimenti economici del dopoguerra. Mourinho stravedeva per lui, lo voleva a ogni costo e venne acclamato come il nuovo Cristiano Ronaldo. Ma di CR7 non aveva neanche le venature sul piede destro e, tranne un gol totalmente casuale al debutto, collezionò 32 presenze di nulla cosmico in maglia nerazzurra, venendo ceduto in prestito — nel tripudio generale — al Chelsea a gennaio. A Londra, sotto le mani di Scolari prima e di Hiddink poi, fu un dramma.

Ritornò quindi all’Inter e lo Special One, clamorosamente, gli ridiede fiducia: Quaresma lo ripagò con 11 apparizioni delle quali nessuno ricorda nulla e zero gol. A fine anno venne ceduto al Besiktas, dove rimase due anni per poi venire messo fuori rosa. Tornò a Lisbona ma lì, durante un processo, colpì un poliziotto venendo arrestato per aggressione a pubblico ufficiale. Gol.

E pensare che sei anni prima si era fatto vedere in maglia Sporting proprio contro l’Inter, in un preliminare di Champions League.

11. Antonio Pacheco

Attaccante del Peñarol con la fama di bomber di razza, nel 2000 era seguito anche da Juventus, Napoli e Barcellona. Ma Paco Casal, genio del mal, procuratore anche di Alvaro Recoba, riuscì a imporlo all’Inter nel 2001, nell’ambito di uno degli onerosi rinnovi contrattuali del Chino, e a farlo passare come un affarone. Capolavoro.

Appena arrivato alla Pinetina, chiamò in causa tra i suoi idoli Enzo Francescoli e Carlos Aguilera, e rassicurò la tifoseria nerazzurra garantendo che con lui e con il solido Recoba al suo fianco, nulla era impossibile. Il resto è storia nota, una presenza in campionato e zero reti. Anche se sembrava impossibile.

Al Peñarol, invece, tutti se lo ricordano. Altro che bidone, è stato una leggenda per il celeberrimo club uruguayano.

9. Sebastian Rambert

Per presentarsi con tutti i fasti del caso, il primo acquisto di Massimo Moratti fu Sebastian Rambert. Sopracciglia folte e imprevedibilità, Rambert fu soprannominato da Angelillo il nuovo Batistuta.

Pagato 4 miliardi e mezzo, in uno di quegli accordi loschi tipici del calciomercato anni ’90 il suo acquisto si portava dietro anche un tale Javier Zanetti, che a differenza di Sebastian era solo un povero sconosciuto dalla cosce enormi. Se Zanetti è arrivato oggi a superare le 600 presenze, Rambert non esordì MAI in campionato.

A disposizione:

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Andy Van der Meyde è un bidone nobile. Esterno pirotecnico cresciuto nell’Ajax di Ibrahimovic, Chivu, Van der Vaart e Sneijder (ma anche di Mido), fu acquistato dall’Inter di Moratti nel 2003 per 6 milioni di euro. Anzi, dai, scommetto che pensavate peggio. Estremamente deludente, gioca comunque più di altri bidoni, collezionando 32 presenze in due stagioni, per poi essere ceduto all’Everton, dove perfezionerà — per sua stessa ammissione — la sua dedizione nei confronti dell’alcol, delle donne e della droga, di cui lui stesso ci ha narrato in un’autobiografia onesta e degna di un film di David Fincher. “Quando arrivai all’Inter, per me fu come passare da un negozio di paese a una multinazionale. — racconta il nostro — Era tutto estremamente professionale. Il presidente Moratti, dopo ogni vittoria, sganciava 50 mila euro per giocatore. C’era un giro di soldi pazzesco”. Che, all’epoca, servì a vincere tanto.

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Lampros Choutos, precoce attaccante greco cresciuto nella Roma — dove in 4 anni colleziona 3 presenze e 0 reti — fu acquistato nel 2004 dall’Olympiakos, dove invece in 5 anni aveva segnato 22 reti. Nessuno capisce il perché, lì per lì, fatto sta che in due anni all’Inter riesce a collezionare due presenze e ben tre prestiti tra Atalanta, Maiorca e Reggina. Comunque un piccolo record, dai.

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Jeremie Brechet, terzino francese di sicura prospettiva, viene acquistato l’ultimo giorno di mercato dell’estate 2003 per sostituire l’insostituibile Gresko. E infatti in sole 9 presenze combina esclusivamente disastri, tra cui una papera colossale in un 2 a 2 col Brescia di Mazzone che costa la panchina a Cuper. Eroe.

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Gilberto, erede naturale di Roberto Carlos, viene acquistato nel gennaio del ’99, sponsorizzato da Ronaldo. Memorabili le sue parole al momento dell’acquisto: «Mi sono reso conto dell’importanza di questa cosa e di quanto cambierà la mia vita da stasera, nel momento in cui la stampa brasiliana ha cominciato a cercarmi: finora nessuno mi diceva nulla». Quell’anno solo 2 presenze per lui, del quale tra l’altro mi sono ricordato solo facendo ricerche.

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Grigorios Georgatos, altro emulo di Roberto Carlos, separato da lui alla nascita e fatto sbocciare all’ombra del Partenone, è uno dei primi tentativi originali di superare il trauma di aver ceduto il terzino sinistro brasiliano più forte di tutti i tempi al Real Madrid. L’unica cosa che aveva Georgatos in comune con Roberto Carlos, invece, era il fatto di essere pelato. Gioca tre stagioni in nerazzurro, inframmezzate da un ritorno all’Olympiakos voluto da lui stesso in quanto ammise di non essersi ambientato a Milano il primo anno. La dirigenza non sapeva, in realtà, di aver acquistato un dissidente: nel marzo 2006, infatti, Georgatos denunciò l’utilizzo di sostanze per migliorare le prestazioni sportive da parte di alcuni calciatori, pur confermando l’estraneità della società Inter al fattaccio. Fu questa la sua vera bomba di sinistro dalla distanza.

A cura di Simone Vacatello, Emanuele Atturo, Gabriele Anello e Matteo Santi

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