Roland Garros: il grande torneo dei minori della Storia

Crampi Sportivi
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9 min readJun 3, 2013
Paris

Una cosa che trovo interessante del tennis è il suo modo di situarsi all’interno della nostra sfera culturale. Il discorso popolare sul tennis è un interessante coacervo di contraddizioni e dissonanze valoriali. E tutte hanno spesso origine nella visione del tennis come Sport essenzialmente aristocratico: praticato per indolenza o per il desiderio di indossare completini di dubbia virilità. Il tennis, ancora oggi nel 2013, per molti è una cosa a metà tra uno sport vero e proprio e un passatempo per l’alta borghesia (una versione leggermente meno ridicola del badminton).

Vintage tennis

Questa serie di stereotipi (che come tutti gli stereotipi hanno un fondo di verità) fanno passare in secondo piano il fatto che il tennis, soprattutto negli ultimi venti anni, è diventato uno sport incredibilmente agonistico: niente capello immacolato, niente maglietta intonsa, niente andatura dinoccolata stile John McEnroe, bensì sudore, fatica, nervi tesi, esuberanza fisica (tutto questo naturalmente non vale per Roger Federer che, anche nel 2013, sembra fluttuare sul campo come una semi-divinità scesa sulla terra per regalare agli uomini qualche attimo di sospensione dalla mortalità).

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Zulutennis

Esempio di esportazione dell’eleganza occidentale[/caption]

A fine maggio arriva l’evento che esaspera e fa esplodere tutte queste contraddizioni: il Roland Garros. Se Wimbledon è il torneo nel giardino di casa della regina: nobiltà, eleganza, ortodossia; il Roland Garros è più una festa di bo-bo: snobismo, gauchismo e grand republique. Eppure, paradossalmente, il Roland Garros è anche il torneo più duro della stagione, e lo è per due semplici ragioni: si gioca sulla terra rossa, si gioca al meglio dei cinque set.

Fattori che rendono il Roland Garros, come vedremo, un torneo incline all’epica più di qualunque altro.

Rivolgendomi a chi segue con fatica questo sport, cosa cambia nel giocare su Erba, su Cemento o su Terra rossa?

La terra-amica Per essere davvero spicciolo, il rimbalzo della pallina. L’erba presenta un rimbalzo scivoloso e rapido, la pallina va tagliata, smorzata, addomesticata, favoriti sono i giocatori con diverse soluzioni, che hanno una prospettiva verticale del campo e che giocano colpi con brevi aperture (c’è da dire che l’erba di una volta sembra scomparsa come le mezze stagioni). Il cemento presenta un rimbalzo veloce, ma duro e alto, il che privilegia, generalmente, grandi servitori e tutti i giocatori in grado di giocare un power-tennis ultra-moderno, fatto di aggressività e ampie aperture dei colpi.

La terra è tutt’altra cosa. Sulla terra la pallina non viaggia veloce, è la superficie stessa ad addomesticarne la traiettoria, smorzarne la velocità, aggiustarne l’altezza. Il che porta alcuni giocatori ad abbandonare un atteggiamento aggressivo e a rifugiarsi spesso in un inossidabile stoicismo, che si traduce nel giocare tre o quattro metri oltre la linea di fondo. Non è necessario aggredire la pallina, potrebbe andare bene anche aspettarla.

La principale conseguenza di queste differenze è la loro traduzione in termini di Temporalità, ovvero di lunghezza degli scambi. Se lo scambio su erba ha il gusto della guerra lampo; se quello su cemento è un braccio di ferro muscolare; lo scambio su terra è un misto tra agonismo, pazienza e guerra di nervi. E può portare a situazioni del genere

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Lo scambio sulla terra è mediamente il doppio più lungo rispetto alle altre superfici, questo influisce in termini di durata complessiva della partita, che al Roland Garros può arrivare anche a cinque ore (!). Ora, provate a figurarvi cinque ore di spostamenti laterali, corse e colpi dietro a una pallina che viaggia a settanta km orari, che c’entra questo con l’idea di uno sport indolente e “aristocratico”?

Lo Slam dei minori Queste caratteristiche, che rendono il gioco sulla terra così estremo dal punto di vista fisico, hanno condizionato la storia del palmares del Roland Garros, che non è nobile così come si potrebbe pensare. Molte prestigiose eminenze del passato hanno faticato a far pesare il loro tennis in un torneo simile: Pete Sampras, Jimmy Connors, John McEnroe non hanno mai vinto l’Open di Francia. Roger Federer, un distillato di talento tennistico ai limiti del mistico, lo ha vinto una sola volta (con Nadal fuori gioco). È come se il Tennis, inteso come arte, e l’aristocrazia ad esso legata, non trovassero del tutto posto al Roland Garros, per lasciar spazio all’agonismo puro, alla fame dei minori e a quelli che Andrè Agassi in Open definisce “ratti da fango”, tennisti che vivono la stagione da marzo a giugno: il loro tennis inizia a Montecarlo e finisce quando inizia a crescere la prima erba sui campi. Poi si rinchiudono in qualche oscura isola delle baleari, dove continuano ad allenarsi su roventi campi in terra fino all’arrivo del marzo successivo. Sono atleti di grande forza fisica e tenacia, ma, soprattutto, sono atleti che vivono in simbiosi con la superficie rossa. Il palmares del Roland Garros, per queste ragioni, è così ricco di perfetti anonimi: Thomas Munster, Albert Costa, Gustavo Kuerten (tre vittorie!), Gaston Gaudio, Sergi Bruguera. Personaggi che non avrebbero il rango e la statura per stare così tranquillamente nella hall of fame di un grande slam (a confronto l’albo d’oro di Wimbledon ha l’aspetto di un’asfissiante oligarchia).

Ed è forse anche questa la ragione per cui il Roland Garros è, più degli altri, una narrazione incline all’epos, una narrazione che si nutre di anti-eroi che vincono tiratissime battaglie di cinque ore e, un turno dopo l’altro, arrivano in finale con alle spalle una storia dall’aspetto quasi militare.

Un torneo che prevede nei suoi Mondi Possibili, che Guillermo Coria, un faticatore dall’aspetto spettrale e dall’elasticità muscolare del tutto fuori dal comune, possa arrivare in finale

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Tutto questo imprevedibile finisce quando nel 2005 arriva Rafael Nadal.

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Rafael Nadal, ovvero un animale da terra Molto spesso si crede che l’innalzamento della qualità di tennis, soprattutto al suo livello altissimo (Federer, Nadal, Murray, Djokovic), abbia determinato la scomparsa di queste specializzazioni per superfici: ma allora perché il Roland Garros lo vince sempre Nadal?

Nadal ha vinto sei degli ultimi sette Roland Garros, 56 delle 57 partite disputate. Praticamente non c’è storia, vince solo lui, e senza troppa fatica (in nessuna di queste finali è arrivato al quinto set!). Proviamo a darne una spiegazione tecnica.

Il tennis moderno è fatto dai cosiddetti “colpitori”. I ragazzi giovani che si affacciano al circuito — nelle ultime due generazioni — hanno tutti più o meno le stesse caratteristiche: sanno fare poche cose, ma le sanno fare bene. Cioè sono tutti molto alti, servono tutti molto forte, tentano di prendere il pallino del gioco, e poi tirano delle mine terrificanti da fondo campo, possibilmente da immobili. I nuovi giocatori di tennis danno a volte la sensazione di essere delle terribili gru-sputapalline. Be’, a meno che non si faccia di questo modo di giocare un’arte spietata (Del Potro, Soderling a un certo punto della sua vita), per Nadal questi giocatori piatti e potenti sono una vera manna dal cielo. Nadal infatti, oltre ad avere una forza fisica e nervosa spaventosa, è un “colpitore” forte almeno quanto loro, con il vantaggio che in corsa colpisce ancora meglio che da fermo. E sulla terra rossa questo ha un significato davvero delirante.

Un’altra cosa che contraddistingue la Terra Rossa, infatti, è il modo caratteristico con cui ci si può muovere, “pattinare”, sul campo. Una cosa molto diversa dal nervoso e frenetico rumore tipico delle sgommate sul cemento. Se sul cemento muoversi dà l’impressione di un continuo tentativo di non inchiodare per reggersi in piedi (e questo vale per tutti tranne che per Djokovic, che dà l’impressione di aver mosso i primi passi da infante direttamente sul cemento australiano) sulla terra ci si può muovere elasticamente, scivolando, pattinando. E nessuno si muove meglio di Rafa Nadal. Nadal dà l’impressione di sfruttare l’elemento materiale del campo direttamente a suo favore: sembra letteralmente vivere in simbiosi con la Terra Rossa, affrontare Nadal sulla terra è come cercare di inseguire un pesce in acqua.

Innanzitutto, la sua fase difensiva rasenta una condizione disumana. Nadal veramente raccatta tutto quello che gli si rimanda di là, con qualsiasi taglio, a qualsiasi potenza. Il giocatore avversario è costretto sempre a tirare un colpo in più per fare il punto, il che sfilaccia inesorabilmente le fibre nervose dei giocatori, li porta a rischiare sempre di più, a cercare il pezzetto di linea sempre più esterno e, in definitiva, a sbagliare. Deve essere davvero una brutta sensazione vedere un animale che dall’altra parte ti ributta indietro davvero qualsiasi cosa

Altre volte c’è anche di più. Quando nello scambio parte il cosiddetto “tergicristallo”, Nadal si muove da una parte all’altra del campo con la semplicità del danzatore, ogni tiro che passa aumenta in lui la forza agonistica e aumenta nell’avversario lo scoramento e la certezza di non poter in nessun modo portare a casa il punto; poi arriva il momento in cui Nadal si stanca di rincorrere, allora scivola alla sua sinistra e, in una posizione quasi completamente rattrappita al suolo che lo fa sembrare un grosso ragnone, lascia andare la “chela” mancina, un dritto che il più delle volte trasforma un’azione difensiva in una offensiva, facendosi vincente.

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Vedere Nadal giocare è una terribile rappresentazione del concetto di Furia Agonistica.

Questo modo di giocare e colpire la palla ha qualcosa di inumano e, a lungo andare, ha logorato le povera ginocchia di Rafa, che ormai programma una stagione sempre meno fitta. Concentrandosi, come un ciclista fa per un grande giro, sul Roland Garros. È roba sua e anche quest’anno sarà molto complicato portargliela via.

Cos’è successo nella prima settimana? Una componente non trascurabile del Roland Garros è il morboso nazionalismo del tifo di casa. Se c’è un francese in campo il Susanne Lenglen si trasforma rapidamente in una inquietante arena piena di rampolli della borghesia appuntati con la coccarda tricolore di sapore giacobino che esultano ad ogni punto dei beniamini di casa battendosi il petto. Nonostante la Francia non si faccia mai mancare la sua schiera di forti giocatori, capirete che per loro non è esattamente facile giocare sul terreno “amico”.

Il percorso notevole di questa settimana è allora quello del francese Gael Monfils. Monfils è un tennista trapiantato nel corpo di un giocatore di NBA ed è l’unico che si-fa letteralmente di tifo amico. Questa settimana ha cacciato dal torneo Ernest Gulbis (uno dei giocatori più in palla del circuito) e Thomas Berdich (numero cinque del mondo, lo sponsor H&M non ha portato bene), aprendosi il tabellone per una sfida semplice, quella con Tommy Robredo, un vecchio spagnolo che sa praticamente giocare solo di dritto, ma ci gioca talmente bene che ci ha costruito su una carriera. Talmente bene che ha martellato il povero Gael in cinque set, annullandogli quattro match point, dando vita a un match spettacolare e facendo tornare il pubblico di casa agli arrondissement con la coda tra le gambe.

Per rimanere sui francesi, J. W. Tsonga — un tennista molto forte trapiantato nel corpo di Mohammed Ali — è ancora vivo. E con lui R. Gasquet, che se c’è un vero beniamino di casa è proprio lui, che non solo è francese ma è anche bianco. E poi ha un rovescio clamoroso: leggero, fluido, una vera poesia. Il suo problema è che, in un tennis estremamente muscolare, può mettere sulla palla dieci kg di meno rispetto agli avversari.

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Una nota in particolare per Tommy Haas, un vecchio tedesco con la faccia da bagnino di Baywatch, sfiancato da mille operazioni, che è tornato quest’anno a giocare il suo solito tennis fantastico. Un tennis che è la totale negazione del piattume che ci propinano negli ultimi anni. Un tennis fatto di soluzioni diverse, di colpi imprevisti, di cambi di ritmo, di tagli e di profondità. Un tennis intelligente e raffinato che pochi eletti sono rimasti a giocare e che ha avuto ragione in cinque set, e nella indubbiamente più bella partita del torneo, di John Isner: 2 metri e 5 di tennista con la faccia da scemo.

Nole Djokovic non è in forma smagliante ma dovrebbe trottare senza problemi alla semifinale con Nadal (io, sinceramente, eviterei a Nadal questa pantomima degli incontri ai primi turni e lo spedirei direttamente in semi). Roger Federer è stato mandato invece dall’altra parte del tabellone e la strada per la finale non è mai stata teoricamente così semplice, con Murray e Del Potro fuori gioco per infortunio. Eppure è forse proprio da quella parte, con Re Roger abbastanza propenso ai sonni in cinque set (con Simon — classico giocatore “basta che la ributto de là” — ci stava per lasciare le penne), che si può aprire uno spazio per le sorprese, uno spiraglio perché si infili qualche anti-eroe. Qualche spagnolo o argentino mezzo calvo che gioca colpi arrotatissimi. Noi in fondo ce lo auguriamo. È questa estensione dei possibili, questa minaccia all’aristocrazia del tennis che forse fa del Roland Garros un torneo interessante, e infinitamente più ruspante di quanto una città Egomaniaca come Parigi vorrebbe.

Emanuele Atturo

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