Ronaldeide

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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5 min readJul 12, 2016

Convinta che un campione sia un campione solo se dimostra di esserlo anche fuori dal campo e nella sua consapevolezza di avere un’immagine pubblica, per molto tempo ho contrapposto Messi a Cristiano Ronaldo provando per il primo una simpatia umana direttamente proporzionale all’irritazione che mi scatenava il secondo, con il suo modo di fingere un fallo, lo stile teatrale nel protestare e nell’esultare, il suo fanatismo da primo della classe che sa di esserlo e non intende nasconderlo. Poi, sabato sera, ventiquattro ore prima della finale dell’Europeo, sono entrata in uno stadio.

Non lo Stade de France, il Palatino, una bellezza archeologica sulla sommità del colle omonimo straordinariamente aperta di sera (c’erano il primo vento dopo una giornata torrida, la luna, il Circo Massimo era lì sotto e potevi stupidamente pensare cose come che se Roma fosse una persona bisognerebbe farle dichiarazioni d’amore enormi… insomma, una di quelle serate lì). L’occasione era uno spettacolo-lezione di Alessandro Baricco dal titolo Palamede, in scena per l’anteprima del Romaeuropa Festival 2016; prima dello spettacolo, sul prato, c’è stata un’invasione di grilli — chiara allusione a quella delle falene parigine, e chiaro ammonimento del fatto che stavamo entrando in tema calcistico mascherato da epica greca, ma noi sulle falene eravamo in anticipo di un giorno e quindi non abbiamo colto la premonizione.

La storia è la seguente (contiene spoiler): Palamede è l’amico del cuore di Achille, hanno fatto insieme la migliore scuola militare (quella di Chirone), è bello di una bellezza perfetta (cominciate a capire?), è intelligente di un’intelligenza buona e tutta al servizio dei suoi compagni (eh lo so, così vi confondo, tornate alla bellezza fisica). A lui si attribuiscono alcune invenzioni e alcuni stratagemmi utili in guerra, cose come le fiaccole e la parola d’ordine (probabilmente pure il colpo di testa); a lui si attribuisce un’idea da nulla, una cosuccia che avrebbe avuto un futuro discreto come la scrittura.

Ora, in questa storia c’è naturalmente un antagonista. Un certo tale che si chiama Odisseo, Ulisse; uno non bello, non alto, con la chioma non curata (state capendo?), non “intelligente” ma più precisamente astuto, che teoricamente farebbe lo stesso mestiere di Palamede (la guerra, ma per un attimo pensate “il gioco del calcio”), che teoricamente militerebbe nello stesso esercito di Palamede (i greci, ma pensate “il campionato spagnolo”), salvo fingersi pazzo, completamente pazzo pur di non essere arruolato (Messi, perché lasci la Nazionale? Perché la lasci, perché lasci la Nazionale? Perché?). È Palamede a smascherare la finta pazzia di Ulisse (cercare l’episodio, impararlo a memoria), è lui a trascinare alla guerra il compagno, ma così facendo crea anche una frattura insanabile (una frattura grande, diciamo, come quella che passa tra Barcellona e Real Madrid, per fare un esempio): è l’intelligenza che ha vinto sull’astuzia, il coraggio che ha vinto sulla codardia. Imperdonabile.

E qui, è lecito fare un’osservazione: ma non ci avevano, per anni, raccontato Ulisse come l’eroe completamente positivo, quello delle Colonne d’Ercole, della curiosità irrefrenabile, quello che resiste al canto delle sirene, (quello che da piccolo era così basso che lo hanno allungato per i piedi e riempito di ormoni della crescita), quello che “il mio nome è Nessuno” (un nessuno, una pulce), Inferno canto XXVI, (quello che negli ultimi anni spesso ha vomitato in campo, ma stringe i denti ed è andato avanti)? E Palamede, chi lo ha mai sentito nominare? Nell’Iliade, non c’è traccia di lui; mai una volta leggiamo il nome del migliore amico di Achille; possibile? La storia che Baricco ricostruisce passa per testi minori e frammenti di testi dispersi di storiografi e tragediografi (Eschilo, Sofocle ed Euripide: sappiamo per certo che ciascuno di loro è autore di una tragedia chiamata Palamede) e ci consegna questo eroe scientifico, razionale, al servizio del gruppo, contro un Ulisse empirico, più tendente alla superstizione; è la scienza che si oppone alla poesia, il futuro che scalza il passato. E del futuro, della scienza, non si può che avere paura.

Mentre Palamede è lontano assieme ad Achille, Ulisse si introduce nella sua tenda e vi nasconde dell’oro, molto oro (molti palloni d’oro), lo denuncia come corrotto al servizio di Priamo, lo fa richiamare all’accampamento stando attento che con lui non torni anche Achille. Ulisse è questa cosa qua, Inferno canto XXVI, Inferno.

Ora, la storia passa in tribunale. L’orazione di difesa di Palamede la scrive il sofista Gorgia da Lentini e questa sì, ce l’abbiamo; Baricco l’ha adattata consegnandoci un capolavoro della logica. Palamede smonta una a una tutte le accuse, mostra l’impossibilità di agire così come gli è contestato che avrebbe agito, e poi (attenzione, chi ci ricorda?) in un necessario autoelogio elenca i suoi pregi, tutti i grazie che gli si devono, le intuizioni che lo hanno portato a essere il più stimato tra i compagni, le sue doti, il coraggio l’altruismo la fantasia. Ma questa storia continua con una condanna, continua con una lapidazione. Continua con un valoroso guerriero che torna e seppellisce il suo migliore amico sebbene vi sia l’assoluto divieto di dare un luogo di riposo a un corpo il cui nome stenterà persino ad arrivare sino a noi: il massimo della sconfitta è quest’oblio.

Solo che c’è un’epica classica e c’è un’epica calcistica, e nell’epica calcistica la lotta tra Ulisse e Palamede, la lotta tra la poesia e la follia funambolica dei baricentri bassi e la scienza esatta della potenza fisica, dello stacco di testa, dell’incrocio dei pali, ha avuto un altro epilogo, e io l’ho capito ventiquattr’ore più tardi.

Un mese fa, il tribunale è toccato a Messi, e l’orazione di difesa è stata imbarazzante (tutto un “Io non so, gioco a calcio, non capisco di niente, mi affido alle persone, sono un ignorante” di fronte al mondo intero); hanno fatto seguito la sconfitta nella finale di Coppa America e l’annuncio del ritiro dall’esercito (la nazionale argentina). Palamede, invece, poco dopo scendeva in campo con la sua corazza di gelatina e muscoli di acciaio, veniva colpito subito alle gambe dal nemico, resisteva, veniva colpito di nuovo, si rimetteva in piedi, subiva l’attacco delle falene, usciva tra le lacrime. Riappariva a bordo campo venti minuti più tardi, sempre meno bordo e sempre più campo, ripigliava i compagni doloranti e gli diceva “Possiamo battere la peste se ci spostiamo verso il mare e verso il centro della difesa”, piangeva e scacciava le falene, saltava con la gamba fasciata e insieme a lui probabilmente saltavano i cuori preoccupati di oltre mezza Madrid, e intanto, intanto, venivano fuori i testi dispersi che dimostravano quanto e come CR Palamede 7 stesse per essere ingiustamente condannato al tribunale dei campioni dentro e fuori dal campo.

Perché il frammento di un testo diceva una cosa, una cosa importante come che CR Palamede 7 aveva invitato a vedere la finale la vedova di Borgonovo, che è una cosa che mica ti saresti aspettato da uno come lui, Omero mica te l’aveva detta, una cosa così. E poi ancora i pianti, una coppa alzata come uno scudo, dichiarazioni, “Questa vittoria è per tutti i portoghesi e per tutti gli immigrati”, che uno dice aspetta, voglio proprio vedere che succede quando si ritrovano uno davanti all’altro nello stesso esercito (il campionato spagnolo), CR Palamede 7 e Leo Ulisse Messi. Chiamate uno meno cieco di Omero, a raccontarla, perché che storia che sarà. Epica.

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