Rookie Analysis

Crampi Sportivi
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9 min readMay 5, 2016

La stagione NBA 2015–2016 sta entrando nella sua fase più calda, con semifinali di Conference di alto livello e si avvicina sempre più il Draft 2016, con Philadelphia, Lakers e Phoenix a sperare di vedere una delle proprie palline estratta per la pick numero 1. Prima di iniziare a introdurre i nuovi futuri campioni (possibili), però, abbiamo cercato di fare un’analisi tra i rookies di questa stagione, divertendoci a buttare giù dalla torre i 3 peggiori, in relazione alle aspettative, e ad eleggere il Rookie of the Year 2016 ed i suoi due maggiori competitor.

TOP 3

Karl-Anthony Towns (pick n°1)

Futuribile? No, già alla prima stagione ha dimostrato perché è stato la scelta numero 1 del draft 2015, avvicinandosi partita dopo partita al premio di Rookie of the Year, più che mai meritato. Nel suo anno a Kentucky ha condotto il college nel numero di rimbalzi, difensivi (169) e offensivi (92), stoppate (88), totalizzando statistiche come le seguenti: 10.3 punti, 6.7 rimbalzi, 1.1 assists, 2.3 stoppate, in 21.1 minuti a partita; tirando con percentuali degne di nota: 56,6% dal campo e 85,2% ai liberi.

Il giocatore a cui assomiglia maggiormente — per dimensioni, fondamentali, mano educata e college di formazione — è senza dubbio Anthony Davis. Non male per i Wildcats aver potuto lustrarsi gli occhi con giocatori che passano rare volte nella vita, a distanza di soli 3 anni. A differenza del suo predecessore, Karl-Anthony Towns non è riuscito a rendere la bacheca di Kentucky ancora più imponente, avendo perso la finale con Duke, ma il primo anno NBA è pauroso: 18.3 punti, 10.5 rimbalzi, 2.0 assistenze, 1.7 stoppate in 32 minuti a sera, tirando con il 54.2% dal campo, il 34.1% dall’arco e l’81.1% dalla lunetta.

Il numero forse più surreale è 51, ovvero le volte in cui il lungo con cittadinanza dominicana è andato in doppia-doppia. Paragoniamo queste cifre all’anno da rookie di Davis: 13.5 punti, 8.2 rimbalzi, 1.0 assist, 1,8 stoppate a gara, con 51.6% dal campo e 75.1% ai liberi, totalizzando 20 doppie-doppie in 64 incontri. Beh, le cifre parlano da sole: siamo di fronte all’ennesimo giocatore NBA totale 3.0, completo, fisicamente di un altro pianeta, che dominerà la scena nei prossimi anni, proprio come Anthony Davis.

Due cose, in particolare, rendono questa previsione più facile di altre: in un basket che sta andando verso il sovra-utilizzo del tiro dalla lunga, lui, 211cm per 110 chili, ha già capito l’importanza di tale fondamentale soprattutto ormai per un lungo (le 30 triple messe a segno in stagione ne sono la prova), per aprire il campo e avere un’arma offensiva in più. E last but not least, Towns va a scuola da un signore chiamato Kevin Garnett. Secondo me la parte caratteriale — assolutamente non secondaria a quella tecnica — subirà una tempra pari a quella delle migliori katane giapponesi.

L’All-Star nato a Chicago, però, non è riuscito da solo a far arrivare ogni stagione i playoff nella “bayou”, né tantomeno a rendere i Pelicans una squadra che compete ai massimi livelli. Ci riuscirà, invece, Towns con i suoi T-Wolves? Indubbiamente il cast di supporto di Towns è giovane, costruito con raziocino e spaventosamente più talentuoso degli allora Hornets (basti pensare a Wiggins, Rookie of the Year 2015!), ma la Western Conference è eccessivamente competitiva… let’s see!

La miglior prestazione in termini di punti per KAT nel suo primo anno di NBA.

Kristaps Porzingis (pick n°4)

Giù dal podio nella serata del draft il 25 giugno 2015 a Brooklyn, ma assolutamente SUL podio nel suo primo anno. 221 cm di talento purissimo hanno risvegliato una più che mai sopita “Grande Mela” con giocate che da tempo non facevano stropicciare così gli occhi a Spike Lee.

Gli iniziali malumori della Knicks Nation riguardo l’ennesima pick discutibile da parte della dirigenza sono stati pressoché subito subissati dalle espressioni meravigliate dei tifosi, fino alle estasiate standing ovation del Madison Square Garden all’uscita dal campo del lungo lettone. Sensazioni che hanno riportato New York al periodo della Linsanity, con uno straniero sulle luci della ribalta. Infatti, in una squadra perdente che fino a metà stagione ha creduto nell’ottavo posto a est, il centro ha giocato titolare ogniqualvolta si sia allacciato le scarpe, portando a casa di media 14.3 punti, 7.3 rimbalzi, 1.9 stoppate, con il 42.1% dal campo, 33.3% dall’arco (con 82 triple a segno!) e 83.8% ai liberi.

Il paragone più che appropriato, sembra ovvio: il Nowitzki lettone”!

https://www.youtube.com/watch?v=Q2cZG3TgSJY

Al contrario del tedesco, Porzingis ha un innato senso della stoppata (dovuto ovviamente anche ad altezza e lunghezza di braccia), ma può e deve migliorare nella difesa in post. Nella direzione in cui sta andando l’NBA può essere uno dei nomi importanti della lega. Quando questa squadra non sarà più di proprietà di Carmelo Anthony, costruirla intorno a lui penso sia la scelta più oculata che il Maestro Zen possa fare, magari aiutandolo ad avere una carriera NBA leggendaria quanto quella di Nowitzki.

https://www.youtube.com/watch?v=vmeVaxI5cEA

Un’esplosione nella parte centrale della regular season ha fatto sì che anche il giovanissimo (1996!) lungo da Texas faccia parte di questa top 3. Lungo, ancora più lungo se si aggiungono le braccia che assomigliano più a prolunghe che ad arti del corpo. Non troppo atletico ma stoppatore, è l’unico dei tre giocatori selezionati per questo podio ideale che fa parte di una squadra “vincente” (sopra il 50% di vittorie), gli Indiana Pacers. Il freshman ex Longhorns ha lasciato l’università collezionando nella sua unica stagione 10.1 punti, 6.5 rimbalzi e 2.6 stoppate a partita, in appena 22.8 minuti di media, fermandosi al secondo round dei Midwest Regional, eliminato da Butler 56–48.

Nella sua stagione di debutto, Turner ha dovuto affrontare subito un infortunio che lo ha tolto dai giochi per circa un mese e mezzo, da metà novembre a capodanno. Anche per questo il suo impatto con l’NBA è stato lento e difficoltoso, entrando dalla panchina per il più delle volte. Questo fino alla fine di gennaio, quando registra il suo career high di punti in una super prestazione, sebbene accompagnata da una sconfitta, contro i Warriors campioni in carica: 32 punti, 8 rimbalzi e 2 stoppate in 28 minuti di gioco, con 12/17 al tiro e 7/9 dalla lunetta. Questa, insieme ad altre prestazioni convincenti, gli hanno fatto guadagnare il posto in quintetto da numero 4.

Un posto che si è tenuto stretto fino al termine della regular season e dei playoffs. I suoi numeri in stagione sono stati 10.3 punti e 5.5 rimbalzi, in appena 22.8 minuti di gioco, tirando con il 49.8% dal campo e il 72.7% ai liberi. Tuttavia, la cifra statistica che lo mette in maggior risalto riguarda un fondamentale difensivo: su 48 minuti sarebbe il terzo miglior stoppatore della lega con tre palle rispedite al mittente.

A chi assomiglia Myles? A LaMarcus Aldridge. La lunghezza delle braccia, la staticità della parte superiore del corpo, il non entusiasmante atletismo, lo rendono molto simile “esteticamente” al lungo texano. Ma è la tecnica del jumper, l’in-between game e l’abilità fronte a canestro che lo rende ancora più simile a LaMarcus. In particolare guardate il loro fade-away girando sulla spalla.

Sembrano fotocopie, ma non lo sono.

Se andiamo poi a visionare le cifre della prima stagione di Aldridge, si può notare una certa corrispondenza: 9.0 punti, 5.0 rimbalzi, 1.2 stoppate, con il 50.3% dal campo e il 72.2% dalla lunetta in 22.1 minuti di media a partita. Al contrario del neo-Spurs, tuttavia, l’abilità in post basso è da costruire quasi da zero e l’abilità come passatore è molto limitata. Tutte mancanze che a 20 anni appena compiuti gli si possono perdonare: con un allenatore abile come Vogel, Turner potrà migliorarsi nei prossimi anni. Lo ritengo senza dubbio la rivelazione tra tutti i rookies e credo che Indiana, con la sua maturazione, si possa candidare come papabile finalista a Est nei prossimi anni.

FLOP 3

D’Angelo Russell (pick n°2)

Il primo a venir buttato giù dalla torre è la chiamata n°2 da parte dei Lakers, fatta per consegnare il testimone di Kobe nelle mani di D’Angelo Russell, esterno da Ohio State. Esterno, perché chiamandolo “playmaker” non farei altro che disturbare la quiete del Dr. Naismith nella sua tomba al Memorial Park Cemetery di Lawrence, nonostante al college occupasse quel ruolo sul parquet. L’anno dei lacustri, reso documentario (lungo il giusto) sulla dipartita del Mamba, poteva essere ed è stato un’arma a doppio taglio come NBA ticket per D’Angelo: l’eredità di Kobe, qualora esista qualcuno con le spalle tanto larghe da reggerla, ovviamente sarebbe pesata sul primo anno di Russell, ma vista l’attenzione concentrata appunto sull’ultima stagione di KB, la sua crescita in background sarebbe potuta essere più “facile”, nonostante Los Angeles sia la piazza più esigente della lega.

https://www.youtube.com/watch?v=BdGeXcJ-hfo

La sera in cui D’Angelo è stato ignorato maggiormente nel suo anno da rookie.

Certo, qualche speranza qua e là la nuova faccia di Los Angeles l’ha data, come la fantastica rimonta sul campo dei Kings il 7 gennaio, propiziata dai suoi 27 punti, o come la career night contro i Brooklyn in cui riesce a metterne a segno addirittura 39 (con 8 triple). I numeri finali sono comunque stati sufficienti: in 28.2 minuti di media, distribuiti su 80 partite, ha totalizzato 13.2 punti, 3.4 rimbalzi e 3.3 assistenze a gara, con percentuali però rivedibili (41.0 % dal campo, 35.1% dall’arco e 73.7% dalla lunetta).

Somiglianze? Russell Westbrook meno esplosivo o Michael Carter-Williams con più tiro perimetrale. Per entrambi i paragoni c’è un denominatore comune: la difficoltà di prendere sempre le decisioni corrette, comprendendo il gioco e stando sotto controllo. Questo è il tratto da migliorare maggiormente per un giocatore che dovrà diventare “uomo franchigia” (a meno che i Lakers non si regalino Durant in estate). Come i sopracitati poi, Russell è leggermente over-size per il ruolo: nonostante sia molto meno atletico dei due, è un ottimo rimbalzista. Al momento non ha gioco spalle a canestro e per una point guard di questa taglia costruirsi un affidabile gioco in post (alla Livingston) dove portare i pari-ruolo meno dotati fisicamente deve essere una priorità, soprattutto quando il tiro dalla lunga è abbastanza ondivago. Saranno in buone mani i futuri Lakers?

https://youtu.be/yzQJ5evxC4A?t=39s

In quanto a imitazioni, il ragazzo è messo bene.

Una chiamata altissima per l’atleta più esplosivo d’Europa, ovvero il croato Mario Hezonja, su cui hanno puntato tutto i giovanissimi Magic, che con Oladipo e Gordon hanno formato un trio di saltatori incredibili. Sul taccuino di tutti gli scout NBA, tra i punti forti del ragazzo croato vi erano l’estrema fiducia nei propri mezzi e i fondamentali avanzati rispetto alla giovane età. Bene, queste due strenghts si sono combinate perfettamente dando vita ad una weakness: Mario crede davvero troppo nelle proprie abilità, al limite dell’arroganza, cercando troppo spesso la giocata difficile, ad effetto, che possa risaltare perfettamente queste sue incredibili doti. L’ex Barcellona così non è riuscito a guadagnarsi i favori né di coach Skiles, che gli ha concesso solo 18 minuti circa a sera, né dell’ambiente in generale.

I numeri per lui, o meglio contro di lui, parlano chiaro: nove partite da starter e 70 dalla panchina, segnando 6.1 punti, 2.2 rimbalzi e 1.4 assist di media a gara. Numeri di certo non entusiasmanti per una pick top 5. La cosa che fa dubitare riguardo il suo futuro NBA è che all’ala croata non manca niente dal punto di vista tecnico/atletico per essere comunque protagonista in una lega formata da così tanti super uomini. Quel che sembra mancare sono la giusta forza mentale e la concentrazione per giocare continuativamente ad alto livello, su entrambi i lati del campo.

https://www.youtube.com/watch?v=jLJXCQYl8PE

Eppure qualcosa c’è.

Willie Cauley-Stein (pick n°6)

Dopo Los Angeles e Orlando, un’altra piazza difficile (per motivi diversi dalle precedenti) in cui Willie Cauley-Stein ha dovuto adattarsi alla vita NBA. Un team costruito un po’ in modo randomico, con la superstar Cousins, l’ineffabile Rondo al timone e Rudy Gay in un ruolo ancora non comprensibile ai più, in cui si pensava l’ex Wildcats fosse il lungo difensivo adatto a compensare la non attitudine di DMC nella propria metà campo. Tuttavia, questa chimica sperata non si è risolta in un vantaggio difensivo e offensivo sul campo, anzi i Kings, nonostante WCS, sono stati una delle peggiori difese della lega con quasi 115 punti subiti su 100 possessi.

Il lungo da Kentucky, inoltre, non ha saputo ritagliarsi con regolarità i propri spazi, partendo titolare solo in 39 occasioni delle 66 totali, con 21.4 minuti a partita, realizzando 7.0 punti, catturando 5.3 rimbalzi e rispedendo al mittente un pallone di media a serata, il tutto con un ottimo 56.3% dal campo, che fa da contro altare a una pessima percentuale ai liberi (64.8%), fondamentale in cui Cauley-Stein può e deve migliorare.

Fisicamente è molto simile a Tyson Chandler: lungo, con un’apertura alare incredibile, molto rapido nel correre su e giù sul parquet, verticalissimo in ogni suo giocata, difensiva e offensiva. A livello statistico troviamo ancora più somiglianze: nella sua prima stagione NBA, Chandler giocò appena 31 partite da titolare sulle 71 totali, con circa 20 minuti di utilizzo medio, in cui 6.1 punti, 4.8 rimbalzi e 1.3 stoppate furono le sue medie a gara, con il 49.7 % dal campo e un pessimo 60.4% ai liberi. Come si vede, non fu entusiasmante dal punto di vista delle cifre, ma neppure dal punto di vista comportamentale: Chicago fece infatti molta fatica a incanalare nella giusta direzione l’eccessiva cattiveria sportiva dell’attuale centro dei Suns.

In quella “giungla” dello spogliatoio di Sacramento, invece, diciamo che non si ci si pone nemmeno il problema di gestire al meglio caratteri difficili (vedi Cousins), tanto ognuno fa ciò che vuole. Una trade, come accadde per Chandler, potrebbe essere la soluzione per fare evolvere il talento di WCS, altrimenti sarà veramente difficile vederlo brillare sul Pacifico.

https://www.youtube.com/watch?v=2gHCsvqGlXg

E poi c’è Justise Winslow, che meriterebbe un discorso a parte.

Articolo a cura di Matteo Confalonieri

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