Sagan point break

Simone Nebbia
Crampi Sportivi
Published in
2 min readSep 25, 2017

C’è quel punto, quel momento preciso appena dopo il traguardo in cui i due si guardano, senza dirsi niente. Chilometri di corsa fianco a fianco, qualcuno scappa ma sempre torna indietro, nulla da temere, qualcuno si avvicina ma no, grazie, non serve niente, faccio da solo agli ultimi metri. Ma ecco, c’è quel momento di sospensione che piazza gli occhi dell’uno negli occhi dell’altro: strano sport il ciclismo, tutto in verticale un metro dopo l’altro e basta una frazione di secondo in orizzontale per decidere tutto. E fare la storia.

Peter Sagan governa la bicicletta che trema sotto le gambe e alle spalle la linea bianca; Alexander Kristoff, norvegese idolo di casa, ha la testa ancora bassa e non si aspetta che dall’altra parte, a pochi centimetri, c’è uno slovacco che lo sta guardando, lo trova lì sotto qualche sbuffo di barba, forse si chiede cosa voglia dire, forse l’ha capito anche lui pure senza il fotofinish che quello slovacco è diventato campione del mondo per la terza volta consecutiva, come mai nessuno aveva fatto.
Dietro, dietro c’erano tutti gli altri. E ci hanno provato, Alaphilippe, Gilbert, Gaviria, anche gli italiani Ulissi, Moscon, nomi e basta, uno dietro l’altro, ma la sera sono andati tutti nelle loro stanze, ognuno a recriminare su quanto si poteva fare e non si è fatto, su quanto gli squadroni e le tattiche di gara nulla possano contro uno che senza fare tattiche arriva prima. Prima di tutti. Sempre.

Nessuna tattica. Tranne una. Scegliere il vento giusto. Come se al posto della bicicletta avesse una tavola da surf, questo slovacco che governa le onde dell’asfalto, perché il mare chissà quando l’ha visto la prima volta. Fosse stato australiano, chissà. Ma c’era la bicicletta. E tanto gli bastava. Che poi sul surf, nell’acqua e sotto il sole, è un po’ diverso distinguere le gocce di sudore. E invece sulla bicicletta le vedi una per una, scendere sotto il casco e cadere sulle caviglie come per oliare il meccanismo che le farà potenti.

Ma poi c’è la riga bianca e le caviglie non servono più, tutto torna in testa, negli occhi puntati sull’avversario lì di fianco. Cosa volevi dirgli Peter? Che la forza serve fino a un certo punto? Forse, per un momento appena, l’ho visto anch’io che per te le onde e l’asfalto sono lo stesso, basta chiudere gli occhi no? Prendere il vento, il vento giusto, premere le caviglie come se il sole, sul letto del mare — te lo immagini? — non tramontasse mai.

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