Salire sul carro dei vincitori: chi ci può ancora provare dopo questa due giorni di Champions

Crampi Sportivi
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9 min readMar 19, 2015

Monaco vs Arsenal

Non è bastato il 2–0 dell’Arsenal al Louis II, dove gli inglesi hanno letteralmente bombardato i padroni di casa, per passare il turno. Il fortino monegasco ha tenuto e alla fine il club del Principato può festeggiare il ritorno ai quarti di finale dopo 11 anni.

L’Arsenal ha perso la possibilità di qualificarsi all’andata. Dopo il 3–1 subito all’Emirates, rimontare sarebbe stato difficilissimo in ogni caso. Sulla partita c’è in realtà poco da dire: i Gunners hanno dominato dall’inizio alla fine, senza lasciar spazio al Monaco. Diverse le occasioni da gol, due le reti realizzate e qualche palo ad aumentare i rimpianti per l’ennesima eliminazione agli ottavi di finale (è la quinta consecutiva).

Solo Arsenal in campo. Ma all’andata?

Ci sono tre uomini che raccontano la qualificazione del Monaco ai quarti di Champions.

Il primo è Yannick Ferreira-Carrasco. In estate sarebbe dovuto andar via, la Roma lo voleva. Poi nella Capitale ci hanno ripensato e così lui è rimasto al Monaco. Meglio, perché Jardim lo ha fatto giocare spesso (40 presenze stagionali) e ha dato il via libera alla cessione in prestito di Ocampos all’OM pur di tenerselo.

Lui è il primo protagonista della storia, visto che ha segnato il 3–1 all’Emirates. Un gol al 94’ che ha fatto la differenza, tecnica e psicologica. E l’ha fatto con la fascia da capitano al braccio. Non male per chi è un classe ’93 arrivato a Montecarlo nell’estate 2010, come rinforzo per il settore giovanile del Monaco. Chissà che Wilmots non si ricordi di lui anche per il Belgio.

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Non so voi, ma a me quella corsa di Jardim ne ricorda un’altra.
Di un suo connazionale. Sempre in uno stadio inglese, ma 11 anni fa.

Il secondo protagonista è Danijel Subašić: lui è uno dei pochi che è rimasto del Monaco della Ligue 2, quello che per poco non retrocesse nel 2011–12. E lui ha contribuito a quella salvezza, persino segnando su punizione. Claudio Ranieri, una volta arrivato a Montecarlo, si è fidato solo di lui. Titolare nella promozione dalla Ligue 2, confermato nella prima annata in Ligue 1, nonostante il Monaco avesse preso Sergio Romero.

Jardim non ha cambiato le gerarchie ed è stato ripagato, quest’anno il croato ha tenuto la porta inviolata per otto partite consecutive in Ligue 1 (842’ totali). A trent’anni, la maturazione di Subašić è completa: non sarà un fenomeno, ma è capace di spararsi la partita della vita, e l’ha fatto ieri. Oggi è il titolare della Croazia dopo il ritiro di Pletikosa, inoltre, è un portiere dal rendimento continuo: pochi errori, poche serate straordinarie.

Peccato per l’Arsenal che quella di martedì sera sia stata una delle “partite speciali”. Cinque salvataggi e la sensazione che l’Arsenal avrebbe segnato solo con le mani negli ultimi dieci minuti.

Brutta parata.

Il terzo protagonista è il più importante: Leonardo Jardim. A giugno è arrivato a Montecarlo dopo una buona carriera: miracoli in Portogallo (tra cui una striscia di 15 vittorie consecutive al Braga), un titolo praticamente conquistato con l’Olympiacos. Dove però è arrivato comunque il licenziamento a gennaio: era a +10 sugli inseguitori, ma il tecnico era stato accusato di aver avuto una relazione con la moglie del presidente. Infine il capolavoro con lo Sporting Lisbona. Con una squadra pesantemente condizionata dalla crisi finanziaria, Jardim ha portato i Leões al secondo posto, valido per l’ingresso diretto in Champions. Squadra piena di giovani, un saldo positivo di 25 punti rispetto al 2012–13. Quando il Monaco che ha optato per una decisa riduzione dei costi (ve ne parlammo qui), Jardim è stato l’uomo giusto da scegliere.

Un uomo di sofferenza giustamente non conosce il sorriso.

Venezuelano di nascita, Jardim è ripartito da zero. Come ha sempre fatto (e come probabilmente sempre farà). Un uomo rigido e silenzioso, ma capace di soffrire senza uguali. E che s’incazza quando Wenger gli manca di rispetto, ma lo fa solo a qualificazione acquisita. Uno Special One sotto tono? Intanto i risultati parlano per lui. Quest’estate il club monegasco ha lasciato andare chiunque: Abidal, James Rodriguez, Falcao, Ocampos e tanti altri. Acquisti? Giusto un paio, tra cui Abdennour e il riscatto di Bernardo Silva dal Benfica. In Champions League il Monaco doveva essere la squadra materasso e oggi è ai quarti. In Ligue 1 doveva navigare a metà classifica, oggi è quarto con una gara da recuperare e a -4 dal terzo posto, occupato dall’OM di Bielsa e valido per la Champions.

Atletico Madrid vs Bayer Leverkusen

Il calcio giocato al Vicente Calderon tra Atletico di Madrid e Bayer Leverkusen è un calcio primitivo, fatto di equazioni semplici e postulati basilari. Chi salta più in alto raggiunge più palloni; chi picchia più forte intimidisce e passa; in due contro uno si vince. È come se il genio maligno cartesiano del pallone (proprio lui) facesse apparire come reale una partita di prima categoria però con 55000 spettatori e una posta in palio altissima in mondovisione, peraltro con un vento invalidante per tutto il primo tempo. Bell’esperimento.

Un fotogramma di ieri sera ricercato su google immagini ha dato questo risultato

Più o meno l’80% del gioco è stato composto di gesti semplici: contrasti, scivolate, gomitate, spintoni, salti, tiri appena si vede la porta, corsa. L’Atletico segna l’unico gol possibile per una partita simile: calcio piazzato, confusione, tiro deviato, Mario Suarez — che, ci preme sottolineare, è il tipico giocatore che ad un certo punto della sua carriera finisce all’Inter per fare quella sua stagione un po’ così.

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This is not football.

Ovviamente, siccome il genio è maligno, una partita come questa si è prolungata addirittura nei supplementari, un’altra mezz’ora di cazzotti e poco pallone. Una partita basata sui raddoppi criminosi allungata da un gollonzo. Lo spettatore inizia a sperare che una sfida così animalesca possa essere risolta solo con la prova più crudele, quella dei rigori, che almeno darebbe un minimo di soddisfazione; allo stesso tempo, siccome il genio è maligno, lo spettatore inizia a temere che la disputa verrà risolta al 118’ con un gol di Raúl García di coscia sugli sviluppi incasinati di un calcio piazzato dalla tre quarti (deviato); nel dubbio incrocia le dita. Ci sono poche cose belle ma sono rimaste impresse: un Torres praticamente rinato, un Griezmann insopportabile per la difesa avversaria, la stecca di Rolfes dalla tre quarti che rischia di mandare all’aria tutti i piani del genio maligno, l’ufficio smistamento palloni di Arda Turan, l’ottimo Calhanoglu, ma soprattutto il momento dei rigori che alla fine arriva ed è bellissimo e terribile come la ragazza che vi piaceva un sacco ma poi è sparita e non si è fatta Facebook (hint: vi ha bloccato).

I rigori vengono battuti da tot persone che fingono di fottersene ma che in realtà sono spaventatissime: quelli in casa non possono deludere; quelli fuori sono ad un passo dall’impresa, ma hanno uno stadio contro. Entrambi i portieri si comportano egregiamente, ma il numero più bello della partita intera lo fa il portiere dell’Atletico Madrid Oblak, subentrato al 20’ per infortunio di Moyà. È il primo rigore per il Leverkusen, Raúl García ha già tirato alle stelle il suo, i tedeschi hanno la possibilità di andare già in vantaggio. Calhanoglu è sul dischetto. Per una volta è il portiere a spiazzare l’attaccante che va sicuro e centrale col destro, vedendolo andare da una parte: mastermind Oblak para un rigore che psicologicamente lo impone sulla famigerata lotteria — non è il rigore di Kiessling ad essere decisivo. Lineker, da qualche parte, è un po’ imbronciato.

Barcellona vs Manchester City

La superiorità dimostra dal Barcellona nel doppio confronto non è stata normale. Nel senso: non è una cosa normale che agli ottavi di finale di Champions League ci sia un divario simile. Al momento del sorteggio molti di noi si sono sforzati di presentare Barça-City come l’ottavo più interessante, dicendocelo ci sforzavamo di crederci. In fondo sapevamo come sarebbe andata a finire, forse non avremmo previsto questi modi. Il Manchester City è il campione d’Inghilterra uscente, è secondo in Premier League, e nei due scontri non ha davvero mai dato l’impressione di stare in partita. Ieri il dominio blaugrana durante il primo tempo è stato così schiacciante da essere a tratti intimidatorio: il Barça di quest’anno piazza Messi ben largo sulla fascia destra, da lì costruisce il proprio gioco fatto di scambi stretti e accelerazioni, spesso concluse con inserimenti dei giocatori che attaccano il lato debole. Messi e Dani Alves ieri si sono passati la palla 55 volte e il tema è quello di sempre: il Barcellona offre un copione di gioco molto prevedibile, ma esprime una qualità tale nell’eseguirlo che è in ogni caso difficile trovare delle contromisure.

Il modo in cui, quest’anno, Messi è tornato a essere il miglior giocatore al mondo è quasi imbarazzante. Non può letteralmente essere fermato. Non ha lo spunto di due anni fa, forse, in compenso sembra astrarsi dal gioco meno del solito e la realizzazione delle giocate sembra avere sempre un obiettivo molto preciso.

Non c’è nessuna squadra inglese ai quarti. La Premier sembra sempre più un campionato competitivo che non riesce però a esprimere grossi picchi d’eccellenza. Il distacco che il Barcellona ha messo tra sé e il City è quello che esiste attualmente tra le migliori squadre inglesi e le migliori squadre in assoluto.

Borussia Dortmund vs Juventus

L’andata si era risolta con una vittoria confortante sul piano del gioco per la Juventus, ma decisamente meno su quello del risultato: un 2–1 che lasciava aperti diversi possibili scenari, nessuno troppo tranquillo. Prima della partita l’adagio di Allegri era “Juve, devi fare gol”, che sembra un affermazione lapalissiana, pero oh, Tevez — che un po’ di italiano lo deve aver studiato- ci mette 2 minuti e 10 secondi per capirlo calciando da fermo, forte, molto forte, tanto che Weidenfeller che pure era lì non riesce a spingerla fuori. Uno a zero.

Il pallone calciato da Tevez rispetta alcune regole antifisiche di questi palloni moderni, semplicemente sembra accelerare mentre cambia traiettoria.

La differenza delle due squadre nel rendimento nei rispettivi campionati inizia ad essere evidente da qui, perché se la Juventus si abbassa in una chiara logica di attesa, le offensive del Borussia risultano inconsistenti. Il primo tempo sembra un esercizio di stile in cui la Juventus decide di far sfogare la piccola di turno. Possiamo imparare tre cose da questi primi 45 minuti:

- Marchisio davanti alla difesa non sarà Pirlo, ma Cristo:

E un bel ciaone a Reus che doveva dargli fastidio in quella zona.

- A Vidal non gli devi rompe il cazzo dagli spalti se no si ricorda di essere un cane:

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Da quando ha litigato con i tifosi del Borussia non c’è una palla su cui non sia andato in contrasto.

- Quando entra Barzagli, a Bonucci e Chiellini gli si scalda il cuore.

Il secondo tempo, assimilato il 3–5–2, la Juventus inizia a giocare bene. In un senso più alto, l’atteggiamento sembra una crasi tra il meglio della Juventus di Conte quando riusciva a coprire tutto il campo e la scelta dei tempi della Juventus di Allegri che grazie a Tevez e Morata attacca anche alle spalle della difesa. Il gol di Morata è un po’ il manifesto di questi 45 minuti di grazia

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Il palleggio della Juve inizia dalle mani di Buffon al minuto 5:06 di questo video, per concludersi con il gol di Morata a porta vuota al minuto 6:27. Un minuto e ventuno secondi di armonia, la cosa migliore prodotta dal calcio italiano quest’anno.

Per il resto anche dal secondo tempo possiamo trarre qualche indicazione generica e sparsa:

- Tevez è un giocatore che tara il carattere della squadra: quando è cattivo lui, è cattiva la squadra; quando è moscio lui, è moscia la squadra. Ieri non era moscio:

Essere presente nel campo, coprirlo in lunghezza e larghezza, recuperare palloni e perderli, fare due gol e un assist. La Juve avrà bisogno di questo Tevez per guardare oltre.

- La Juventus può fare a meno delle giocate di rottura di Pogba, che anzi ieri sera è sembrato l’unico senza armonia tra gli juventini.

- Il Borussia Dortmund è alla fine di un ciclo: i suoi migliori giocatori (Reus e Hummels) giocano senza voglia, i nuovi acquisti non sono al livello di chi è partito. Tutti gli amanti del calcio hipster dovranno trovarsi un’altra squadra da sostenere o sperare che Klopp riesca a ripartire da zero.

A cura di Gabriele Anello, Mattia Pianezzi e Marco D’Ottavi.

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