Sangue e sudore

Paolo Stradaioli
Crampi Sportivi
Published in
5 min readJul 23, 2018

Lo avevamo detto: sarebbe successo di tutto, un’inevitabile esplosione di una corsa silente che da un giorno all’altro si trasforma in una macchina da trending topic incapace di contenere elogi, critiche, polemiche, sulla corsa più famosa al mondo.

Il Tour de France sbarca sulle Alpi, gravido di emozioni, forse fin troppo ansioso di esplodere tanto che il primo giorno fa cilecca. Van Avermaet si è affezionato a quella maglia gialla che corridori come lui possono indossare per una manciata di giorni in tutta la carriera. Vuole godersi il primato, coccolarsi nell’illusione di poter conservare il giallo più a lungo del previsto.

Nella prima tappa di montagna la maglia gialla attacca e lo fa insieme a un contingente di corridori che non ha interessi di classifica. Lo fa come se non fosse il leader, anzi come se lo fosse più di tutti, la più gialla delle maglie gialle, sprezzante di regole non scritte che imporrebbero cautela quando si è in testa. Van Avermaet non può pensare di tenere le ruote dei migliori sugli ultimi due GPM (entrambi di prima categoria), così li anticipa, quella maglia gli calza così bene.

Sul traguardo di Le Grand-Bornand si piazza quarto, tanto gli basta per partire in giallo anche nella seconda giornata alpina. A vincere la tappa è un uomo in missione, pimpante su tutto il percorso, riprende l’estone Taramaae a 4km dallo scollinamento sul Col de la Colombière, si tuffa in picchiata e arriva a braccia alzate. Julian Alpahilippe, uomo da classiche, veste la maglia a pois e come ogni francese che ha tale privilegio sviluppa un rapporto morboso con questo simbolo, pronto a fare di tutto per conservare la leadership dei GPM.

Per gli uomini di classifica il tempo non è ancora maturo e la Sky controlla la corsa senza particolari difficoltà: gente come Majka, Zakarin, Mollema si stacca sulla Colombière ridimensionando di molto le proprie aspettative. Uran si inabissa: la caduta nella tappa di Roubaix incide nella mente, ma soprattutto nel fisico del ciclista colombiano. Resiste un altro giorno, il Tour esige sangue e sudore e nessuno può esimersi da questo patto con la strada, ma prima della dodicesima tappa alza bandiera bianca. Troppo dolore anche per il Tour.

L’undicesima è la seconda tappa più corta di questa edizione, appena 108,5 km per spremere fino all’ultima goccia di fatica dalle gambe dei ciclisti. Sul Col du Pré il primo sussulto della Movsitar firmato Alejandro, dont’ call my name, Alejandro. Lady Gaga a parte, il murciano costringe la Sky a una scelta, o meglio dovrebbe convincere la Sky a una scelta, che però non arriva, lo lasciano sfogare, non forzano il ritmo, sanno che la corsa andrà da loro. Per pochi minuti Valverde culla il sogno di andare in giallo, il viso degli uomini Sky non tradisce la minima emozione. Vinciamo noi, andate tranquilli.

Sulla discesa della Roselend l’attacco di Dumoulin, poi l’ascesa verso La Rosière. Valverde si spegne, Nieve davanti fa appello alla sua resilienza e probabilmente a qualche divinità. Fa che finisca, fa che vinca io. Invece vincono loro, per la precisione Geraint Thomas, brutale nello sverniciare uno stremato Nieve a pochi metri dal traguardo. Secondo Dumoulin, terzo Froome, gli altri accusano, chi più chi meno ma accusano, in uno scenario visto e rivisto.

Il trittico mortale si chiude con l’Alpe d’Huez. Se Dio ha inventato l’uomo per andare in bicicletta aveva pensato al lungomare di Riccione, non certo a questa follia. Come se non bastasse prima ci sono anche Madeleine e Croix de Fer, l’acido lattico non è importante, è l’unica cosa che conta.

La giornata si presta a imprese epiche, in grado di riscattare una carriera. Deve averla interpretata così Steven Kruijswijk; tradito dall'asfalto e dalla neve nel Giro del 2016, la bilancia della giustizia imporrebbe un risarcimento anche piuttosto cospicuo e l’Alpe d’Huez potrebbe esserlo. Potrebbe, ma vincono loro. E ancora e ancora.

Sulla salita finale depone le armi anche Quintana, mentre rimane in linea di galleggiamento Landa; la Movistar si era presentata come l’antidoto perfetto alla brutale efficienza della Sky ma per ora tanta fatiche e pochissime soddisfazioni. Bardet rompe gli indugi, Froome attacca ai -4km, mentre Nibali, Thomas e Dumoulin si tuffano in una nuvola di fumogeni per tenere il passo del keniano. Da quel tripudio di colori e persone riemergono tutti, anzi no, Nibali rimane intrappolato, disarcionato dalla sua biciclette, una smorfia di dolore si dipinge sul viso.

La strada non è soltanto asfalto e pietre, le persone sono una variabile impazzita della corsa e quando manca il buon senso a rimetterci sono i corridori. Vincenzo riprende la sua bicicletta, soffoca il dolore pur di arrivare in cima. Il Tour esige sangue e sudore, ma questo lo sapevate già.

Kruijswijk viene ripreso e salutato, vince di nuovo Thomas, il gallese è in uno stato di forma semidivino. Secondo Dumoulin, terzo Bardet, Nibali a 13” secondi dal vincitore, niente di irrecuperabile, se non fosse che quella manciata di secondi persi sono l’emblema di un corridore diverso dagli altri.

Frattura composta della decima vertebra, tassativo un periodo di riposo assoluto, gli ultimi 4km dell’Alpe d’Huez li ha pedalati con un dolore atroce. Il Tour esige sangue e sudore.

Con la carneficina delle Alpi alle spalle sulle strade del Tour, il percorso torna a spianare, ma di ruote veloci non ne sono rimaste poi tante. Il gioco a eliminazione su pendenze eccessive per la maggior parte dei velocisti ha risparmiato Démare, Degenkolb, i nostri Colbrelli e Pasqualon, Kristoff e ovviamente Sagan, magnifico nella sua rincorsa alla maglia verde, estraneo al concetto di sconfitta quando tutti lo aspettano. In volata regola Kristoff e Démare, nelle due tappe successive chiude definitivamente il discorso maglia verde. Fate sei, eguagliato Erik Zabel. Peter è un fuoriclasse assoluto, ça va sans dire.

Le tappe del week-end sono un’occasione di riposo attivo per il gruppo, con la corsa che si spacca in due: i fuggitivi si giocano un prezioso successo di tappa, il gruppo bivacca nell'attesa che succeda qualcosa ma non succede quasi niente. Quasi, perché sulla Côte de la Croix Neuve (o Montée Laurent Jalabert come è stata rinominata in onore del favoloso ciclista francese, 3km al 10,2%), una ventina di minuti dopo che Fraile aveva staccato tutti e portato a casa un roboante successo, è Primoz Roglic a scuotere il gruppo guadagnando 8” sulla maglia gialla. Quisquilie in termini cronometrici, ma sensazioni di qualcosa che potrebbe essere sui Pirenei.

L’Astana fa doppietta il giorno seguente, con Magnus Cort Nielsen che regola Izaguirre e Mollema sul traguardo di Carcassonne. Il gruppo arriva tredici minuti dopo, ad aspettarlo un meritato giorno di riposo in vista dello scontro finale sui Pirenei, dove ancora una volta il tributo da pagare sarà di sangue e sudore.

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