Saudade a cinque cerchi

Crampi Sportivi
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5 min readAug 5, 2016

Saudade.

La società britannica Today Translations, dopo aver consultato oltre un migliaio di linguisti professionisti, ha stilato una graduatoria dei vocaboli ritenuti più difficili da tradurre, inserendo la parola al settimo posto. Si trova al centro, tra il desiderio e la nostalgia. È la continua ricerca di un sentimento profondamente intimo, ma allo stesso tempo paradossalmente indefinito. Più intuitivo che razionale: si percepisce la sua esistenza prima ancora di sapere che esiste.

La nazionale di calcio brasiliana, versione olimpica, è da tempo entrata in questa vorticosa spirale nostalgica, incrementatasi per ripetuti fallimenti nella competizione a cinque cerchi. La Seleçao è infatti salita per ben cinque volte sul podio, senza mai svettare sul gradino più alto. Le tre medaglie d’argento (1984, 1988, 2012) e le due di bronzo (1996, 2008) compongono l’insolito palmarès per una nazione, la più vincente nella storia dei Mondiali di calcio, abituata ad essere classificata come una delle compagini più forti di sempre di questo sport.

Le origini di questo senso di costante insoddisfazione trovano il proprio punto di partenza nel 1958. Edson Arantes do Nascimento, meglio noto come Pelè, a soli 16 anni prende parte alla spedizione del c.t. Feola per il Mondiale in Svezia. La nazionale verdeoro rappresenta un Paese totalmente gettato nello sconforto per aver perso, otto anni prima, quella che allora si chiamava Coppa Rimet, organizzata in casa, in finale contro l’Uruguay.

A posteriori verrà ricordata come Maracanazo, dato che lo stadio Maracanã — teatro della disfatta — era stato inaugurato proprio in occasione della competizione mondiale. Rio de Janeiro e São Paulo erano l’emblema della disperazione (si registrarono anche casi di suicidio) per aver perso l’ennesima occasione di dimostrare al mondo che il Brasile non fosse un Paese di perdenti, costantemente estromesso dai grandi nomi del calcio e della storia.

Quel ragazzo proveniente dalla favela di Bauru a São Paulo — che un paio d’anni prima sfrecciava tra tetti in lamiera e corde per il bucato, mentre palleggiava con un ammasso di stracci appallottolati — oltre a trascinare il Brasile alla vittoria finale, varca la soglia del calcio professionistico nonostante fosse poco più che un adolescente. Per questo motivo, Pelè non disputerà mai una edizione dei Giochi Olimpici.

Non tutti sapranno, infatti, che fino alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 potevano partecipare soltanto calciatori dilettanti. A dire il vero, la parola “dilettante” venne usata in senso lato: all’epoca poteva essere definito tale chiunque non svolgesse un’attività agonistica come unica attività. Ad esempio, un calciatore che fosse stato anche studente universitario era considerato dilettante proprio perché non era la sua unica attività, e questo era valido anche se il calciatore giocava in un campionato professionistico.

Eccolo quel senso utopico di saudade. Quel senso di mancanza non per una felicità avuta e poi lasciata andare, ma per una voglia inespressa di continuare ad essere felici, anzi, a sperare di esserlo. O Rei, in tal senso, rappresenta un destino ineluttabile. La perduta possibilità di provarci, di portare un Paese sulle proprie spalle, proprio come in quel Mondiale del 1958.

I cinque podi

Los Angeles, 1984: argento

Dalla prima partecipazione “olimpica” risalente a Helsinki del 1952 alle olimpiadi statunitensi del 1984, il punto più alto raggiunto dalla nazionale brasiliana fu il quarto posto nei Giochi di Montréal del 1976. Compito non facile, quindi, per l’ex allenatore del Corinthians Jair Picerni che riuscì a classificarsi al primo posto nel girone eliminatorio, per poi superare il Canada ai quarti, dopo i calci di rigore, e l’Italia ai tempi supplementari in semifinale.

Nella gara per la medaglia d’oro, i francesi Brisson e Xuereb infrangono i sogni della Seleçao costretta a fermarsi sul secondo gradino del podio. Quella spedizione olimpica mise in mostra le doti dell’appena ventunenne Carlos Caetano Bledorn Verri, meglio noto come Dunga.

Seul, 1988: argento

I presupposti per le Olimpiadi nel continente asiatico sono dei migliori per la compagine allenata da Carlos Alberto Silva. Il c.t., infatti, nel 1987 ha guidato la nazionale alla conquista dei Giochi Panamericani e può vantare nelle sue fila campioni del calibro di Taffarel, Mazinho, Romario e Bebeto. Primato nel girone, eliminazione dell’Argentina ai quarti e accesso alla finale dopo aver superato la Germania Ovest ai calci di rigore. Non fu sufficiente il momentaneo vantaggio di Romario (capocannoniere della competizione) dato che, ai tempi supplementari, l’URSS riuscì a ribaltare il risultato, aggiudicandosi il suo secondo oro olimpico in tale categoria.

https://www.youtube.com/watch?v=Df2JDbTvTJA

Atlanta, 1996: bronzo

Pechino, 2008: bronzo

Il Brasile arriva al venticinquesimo torneo olimpico diretto dal c.t. della Nazionale A, Carols Dunga. Thiago Silva, Marcelo, Hernanes, Pato e il fuori quota Ronaldinho, anche in questa edizione, non riusciranno ad andare oltre le semifinali, battuti dall’Argentina per 3–0. Nella “finalina”, la selezione olimpica sconfigge il Belgio, aggiudicandosi la seconda medaglia di bronzo della sua storia.

Londra, 2012: argento

Ai Giochi di Londra del 2012, il calcio è stato l’unico sport ad iniziare prima dell’apertura ufficiale dell’Olimpiade, due giorni prima della cerimonia inaugurale. I due tornei (maschile e femminile) si sono tenuti a Londra e in altre città del Regno Unito dal 25 luglio all’11 agosto.

Dopo aver brillantemente superato il girone a punteggio pieno, la compagine allenata da Mano Menezes asfalta Honduras e Corea del Sud nei quarti e in semifinale. I sei gol del capocannoniere Leandro Damião non saranno sufficienti, anche questa volta, a raggiungere il gradino più alto del podio. Un sorprendente Messico soffierà la medaglia d’oro ai brasiliani nella finalissima del Wembley Stadium, persa per 2–1.

https://www.youtube.com/watch?v=Ap-CSLH7CAk

Rio de Janeiro, 2016: vincere o fallire definitivamente

Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che la Seleçao è reduce dalla disastrosa sconfitta in semifinale per mano della Germania per 7–1, quella che venne ribattezzata come la disfatta del Minerazo, e dall’eliminazione del girone nella Copa America 2016.

Il Paese, in questo momento, vive una sorta di “tregua” armata. Non conviene a nessuno mostrare il lato peggiore della nazione, attanagliato da una triplice crisi, economica, sociale e politica, dinanzi a più di un miliardo di telespettatori. Il 21 agosto, quando le Olimpiadi saranno terminate, tutto ritornerà all’atroce normalità. Quella di popolo in ginocchio per una recessione imputabile al crollo dei prezzi delle materie prime agricole, di cui è uno dei maggiori esportatori, e una massiccia riduzione del suo primo acquirente: la Cina.

https://www.youtube.com/watch?v=1W_zM7koJy8

Il ruolo dello sport, e del calcio, sta qui. È l’unico granello che riesce a fermare gli ingranaggi del malcontento di una società illusa e incapace di gestire i profitti del decennio 2003–2013, e profondamente disillusa da un sistema politico macchiato da un’insanabile spirale corruttiva.

Il singolo “Tanta saudade”, del 1983, di Djavan e di Chico Buarque è uno dei pochi esempi, nel panorama letterario brasiliano, che esprima un senso quasi di repulsione della saudade.

Mas voltou a saudade
É, pra ficar
Ai, eu encarei de frente
Ai, eu encarei de frente, menina
Se eu ficar na saudade
É, deixa estar
Saudade engole a gente
Saudade engole a gente, menina

Ma è tornata la saudade
È, per rimanere
Ahi, l’ho presa di petto
Ahi, l’ho presa di petto, bambina
Se io rimango nella saudade
È, lascia stare
La saudade ci ingoia
La saudade ci ingoia, bambina

https://www.youtube.com/watch?v=WaWt72YW3U8

Come direbbe la studiosa Vera Lùcia de Oliveria, “il senso comune e ricorrente della saudade è l’estraniamento, l’epifania delle cose e del mondo, cioè il vederle, o il volerle vedere, sorgere dinanzi a noi sempre nuove e intatte, come se fosse la prima volta, con l’implicita coscienza di tale impossibilità”.

Francesco Saverio Balducci — Ognuno ha una sua linea d’ombra, direbbe Joseph Conrad. Ogni volta che scrivo, di sport in particolare, sento di varcarla. Vuol dire innalzare le vele del coraggio. Un po come fece Totti in semifinale degli Euro 2000. Ho disseminato le mie parole tra quotidiani locali (molfettalive.it), servizi da addetto stampa, e per alcune testate online di livello nazionale (gianlucadimarzio.com e sportnotizie24.it). Aspetto anche io l’occasione di fare il mio cucchiaio. Chissà, un giorno.

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