Scatti sintetici — Mortirolo e altre storie

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readMay 27, 2015

Mortirolo 2015 ed Oropa 99

Parlare di Alberto Contador risulta sempre difficile, come lo è quando proviamo a riflettere su quelle persone che non praticano semplicemente uno sport ma scolpiscono l’immaginario di intere generazioni. Da un certo punto di vista tutta la carriera di Alberto Contador può riassumersi nella scalata solitaria del Mortirolo, durante la sedicesima tappa di questo Giro d’Italia.

Prima dell’inizio della salita, l’Astana, la squadra capitanata — fino a quel momento — da Fabio Aru guida un attacco alla Saxo Tinkoff per isolarlo. Il movente? Una foratura che colpisce il madrileno. Senza scrupoli, ma è giusto così. Ricordate il Tour del 2010 e la catena di Schleck? Il blocco azzurro dell’Astana parte all’attacco, ma c’è un piccolo dettaglio che sembrano aver dimenticato: cosa significa essere Alberto Contador. Di lì in poi, infatti, si assiste progressivamente ad un capovolgimento del copione immaginato dagli uomini di Aru: Contador inizialmente fatica a rientrare e costringe ad uno sforzo sovrumano tutta la sua squadra, che in breve attimi si sgretola sotto i suoi occhi. Ma ai piedi del Mortirolo accade l’impensabile.

Quando il gap tra la coppia Astana — Aru e Landa — sfiora il minuto di ritardo, Contador decide di mostrare a tutti che quelle parole dei giorni scorsi verso Marco Pantani — “ è stata la mia ispirazione”, aveva dichiarato — non erano unicamente delle banali frasi di circostanza. Per un attimo sembra di ritornare ad Oropa 99, anche se il tutto durerà troppo poco per azzardare certi paragoni. Contador salta ogni corridore che lo separa dal suo obiettivo: riprendere gli Astana, e possibilmente con gli interessi.

Ci sono momenti in cui la razionalità e il calcolo non possono frenare una delle più grandi doti di un corridore: l’istinto. Con una danza solitaria, elegante, commovente e spregiudicata, Contador decide di colpire: i proiettili che spara da dietro verso quelle sagome azzurre che scorge in lontananza schivano Landa, ma colpiscono in pieno Fabio Aru, punito per essersi ribellato e poi gettato in un calvario dantesco da cui emerge, con grande onore, perdendo però minuti e seconda posizione nella generale. Cosa ci insegna la scalata del Mortirolo di Alberto Contador? Due cose: la prima è che ci troviamo di fronte al più forte corridore degli ultimi quindici anni, un tizio che sembra semplicemente appartenere ad un passato che non esiste più; la seconda è più malinconica: Oropa 99 resta un miraggio che non si ripeterà.

Un capitano, c’è solo un capitano

C’è qualcosa nel Team Astana che sembra uscito da un romanzo distopico, tipo 1984 o Fahrenheit 451. Con quella divisa azzurra e gialla, i corpi tutti magri, forgiati dalla fatica; i corridori dell’Astana sembrano tutti uguali, soldatini al soldo della grande madre patria. Tutti fortissimi. Sempre in prima linea, pronti a tirare e proteggere il capitano di turno. Eh già ma chi è il capitano?

Dopo la vittoria a Madonna di Campiglio, Mikel Landa aveva rassicurato tutti: “Il capitano è Aru e io sono a disposizione”. Al Mortirolo, però, di capitani e gregari interessa poco: quando le rampe hanno iniziato a mordere i muscoli, Aru è sembrato subito in difficoltà mentre Landa doveva quasi frenare per non staccarlo. Le radioline dell’Astana fremevano di comunicazioni, il capitano soffriva con gli occhi bassi, chi era il capitano alla quarta rampa mentre la maglia rosa dietro gli mangiava secondi su secondi? Come al solito a levare d’impaccio quelli dell’Astana ci ha pensato Contador: prima li riprende, poi, dopo aver fatto un po’ di compagnia ad Aru, lo attacca. È quello il preciso momento in cui le gerarchie cambiano, l’ammiraglia da il via libera a Landa, lo stesso Aru gli passa i gradi con uno sguardo di sofferenza e Landa parte. Riprende Contador e sull’Aprica va a vincere la seconda tappa di fila.

Ora Mikel ha due tappe per far saltare il banco, il ritardo è tanto (4 minuti e 2 secondi), ma il basco sta bene ed ha la squadra più forte a disposizione. Siamo sicuri che Contador ha fatto bene ad attaccare sul Mortirolo?

Questione di consonanti: Kruijswijk ed Hesjedal

Steven Kruijswijk e Ryder Hesjedal hanno il destino scolpito dall’anagrafe. Un’abbondanza di ‘w’, di ‘j’ e di ‘k’ che fa slittare la lingua di cronisti ed appassionati. Nomi che suonano aspri quasi quanto le allitterazioni del Mor-tir-olo, quello che gli orecchi più educati preferiscono chiamare con l’altro suo nome, il meno onomatopeico “Passo della Foppa”. Ieri, sull’arcigno Mortirolo, Kruijswijk e Hesjedal hanno portato a spasso tutto il loro cuore, oltre che tutte le loro consonanti. L’olandese ci è passato in cima per primo, e “se solo la tappa fosse finita lì”. Il canadese se l’è scalato in solitudine e “mi faceva male tutto, ma non ho mai avuto paura”. Il bottino? Terzo e sesto all’arrivo, ottavo e decimo nella generale. Avessero visto Youth, avrebbero avuto la tentazione di dire che “Il ciclismo sono sforzi immani per risultati modesti”. Ma Kruijswijk e Hesjedal, questa settimana, al cinema non ci sono andati: sono impegnati in prima persona nella riprese del Giro 2015, altro lungometraggio poetico e visionario. Che di sicuro non finirà senza i loro impronunciabili nomi tra i titoli di coda, sotto la voce “protagonisti assoluti”.

Contador e le relazioni sociali

Per vincere una grande corsa a tappe non occorrono soltanto le gambe, è necessario eccellere anche nella tattica, e spesso nelle relazioni sociali in gruppo. Alberto Contador, che di corse a tappe vinte ne ha pieno il curriculum, queste doti le riassume tutte, con una spiccata predilezione per la pre-tattica: dall’alto del suo carisma in gruppo, infatti, il madrileño ha imparato a soppesare ogni suo atteggiamento e ogni sua dichiarazione per ottenere giovamento in corsa. Si è visto lo scorso anno, quando vinse una Vuelta in crescendo dopo la micro-frattura al Tour fatta passare per un infortunio ben più grave del previsto. Lo si vede ancora meglio in questo Giro, dove Contador è caduto spesso e qualche acciacco lo ha rimediato. E così ecco il suo gioco anche sulle strade del Giro: dopo la caduta di Castiglione della Pescaia sale sul podio ma non veste la maglia rosa per non muovere il braccio, a Forlì inscena uno spettacolare teatrino con il sindaco locale, fermandogli una pacca sulla spalla dolorante.
Sulle montagne, però, lo spettacolo è cambiato, e la recitazione di Contador è tornata ad essere la solita, inconfondibile danza sui pedali. Per la carriera a Broadway c’è ancora tempo.

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Roger, fai il duro!

Questa specie di Hannibal Lecter qui sotto è Jaroslaw Marycz, fa il ciclista professionista e si è ridotto così nel tentativo di mangiare chilometri, mica persone. Caduto nella tappa di Vicenza, ha dolore ovunque e ha perso alcuni denti. Ma ci ha tenuto a precisare che “sembra peggio di quello che è”…

https://twitter.com/jaroslawmarycz/status/601455996750340097

Roba da ciclisti, mica quelle signorine dei tennisti — direbbe Chris Froome. Due giorni fa il buon Chris si è scagliato niente meno che contro Roger Federer, reo di essersi lamentato pubblicamente del troppo calore di alcuni tifosi. “Fai il duro, Roger. Dateli a me i ragazzi che vogliono farsi un selfie!”. Gioco, partita, incontro.

Fare il gregario — Tosatto Version

La tombola di Vasil Kiryienka

- Ti te ga il 194?
- No, me manca.

Le due signore, sedute nei pressi del Gran Premio della Montagna, avevano ottant’anni e brandivano penne e pagine di Gazzetta. Munite di impermeabili fosforescenti e occhiali spessi, giocavano la loro personalissima tombola. Mentre i loro mariti attizzavano la brace e mescevano vino, loro tiravano una riga dritta sul numero di ciascun corridore che passava in cima, nell’intento di completare la griglia senza sbavature. Ma il 194 non l’avevano proprio visto. Guardate che il 194 è passato, avevo cercato di suggerire. Era quello che ne stava superando altri due proprio qui, mentre veniva su velocissimo. Era quello con la maglia scura, la faccia quadrata e le spalle larghe.

Insomma, il 194 era Vasil Kiryienka e la cronoprosecco, un po’ a sorpresa, l’ha vinta lui. A dire il vero, Dave Brailsford, il patron di Team Sky, aveva annunciato da giorni che la tappa sarebbe stata appannaggio di uno dei suoi. Ma forse pensava a Richie Porte, il capitano tasmaniano, o a Leopold Konig, il luogotenente ceco. E invece ecco Kiry, il vagone bielorusso. Nato e cresciuto negli anni ’80 a pochi chilometri dal confine ucraino, Chernobyl gli ha portato via il padre e gli ha lasciato in eredità continui check-up medici. “Ma non è mai venuto fuori nulla.” E Kiry, in effetti, sta benone. Se al mattino gli si chiede “Come stai stamattina, Kiry?”, però, lui spesso risponde “Male, male.” Poi, qualche minuto dopo, è dentro qualche fuga. Oppure in testa al gruppo, a tirare il collo a tutti gli altri. Per dire, i francesi della FDJ hanno deciso di chiamare “Vasil” lo scooter dietro il quale faticano in allenamento.

In solitaria, e in montagna, Kiry ha ottenuto i più grandi successi della sua carriera. Due tappe al Giro, una alla Vuelta. Nel 2011 vinse la tappa del Colle delle Finestre dopo una fuga di 215 chilometri, di cui gli ultimi 40 in totale solitudine: a Sestriere, il secondo (Rujano) arrivò quasi 5 minuti dopo di lui. Vasil, braccia al cielo, dedicò il trionfo al compagno di squadra Xavi Tondo, tragicamente scomparso qualche giorno prima. E poi le cronometro, il paradiso degli uomini soli. Più volte campione nazionale, bronzo mondiale tre anni fa, qualche giorno fa primo a Valdobbiadene. Ma Kiry ama la solitudine soltanto in sella. Giù, i suoi compagni garantiscono che sia uno spasso. Ride, scherza, riempie di fiocchetti rosa il suo Yorkshire terrier.

Sì, care giocatrici di tombola, sabato scorso il 194 è uscito. È uscito quando era ora di pranzo e i tifosi erano presi più dalle salsicce che dalle bici. È uscito mentre l’acqua scorreva a fiumi dal cielo e il prosecco scorreva a fiumi dalle botti. È uscito molto prima che un madrileno danzasse leggiadro tra le vostre vigne e che un boato, qualche tornante più sotto, annunciasse il passaggio della maglia rosa, arrancante e coraggiosa. È uscito mentre voi tornavate a casa e “Ga vinto sto Kiryenka, ma noaltri no o gavemo miga visto”.

https://www.youtube.com/watch?v=uuu2x0LWjMk

A cura di Leonardo Piccione, Filippo Cauz, Andrea Minciaroni e Marco D’Ottavi

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