La Grande Scommessa

Paolo Stradaioli
Crampi Sportivi
Published in
9 min readJun 20, 2017

Immaginate un ex giocatore di football di 48 anni che, con la collaborazione della signora di Tina, ha svezzato tre prodigi del basket e ben presto è diventato il padre della famiglia più interessante d’America (ovviamente dopo quella presidenziale e quella gialla che risiede a Springfield). Ora immaginate che quella persona abbia una fastidiosa allergia verso tutto ciò che non è mediatico. Già che ci siete, immaginate il limite che un padre possa tracciare nel tentativo di lanciare al meglio la sua progenie verso una carriera professionistica nel mondo dello sport. Ce l’avete? Ok, cancellatelo: non esistono limiti oltreoceano. Il signore si è spinto fino a fondare un’azienda di vestiario e accessori sportivi della quale Wikipedia ci rammenta essere il CEO. Se ragioniamo anche sul fatto che ancora due pargoli sono lontani dai radar NBA per motivi di età, secondo voi quale sarà il fenomeno del web da qui ai prossimi vent’anni? E perché proprio Lavar Ball?

Da dove viene fuori?

Ball è nativo di Los Angeles, dove si è appassionato al football, al basket e ai nomi stravaganti. L’albero genealogico della famiglia Ball manifesta quanta fantasia intrinseca possieda la mente umana al punto da creare delle variazioni sul singolo tema che hanno qualcosa di magico. LaVar ha infatti quattro fratelli: LaFrance, LaValle, LaRenzo, LaShon (non voglio sapere cosa fanno per vivere, altrimenti facile che stiamo qui fino a sera). Ovviamente quando si sposa e mette al mondo dei figli porta avanti la tradizione di famiglia e quindi nascono Lonzo, LiAngelo e LaMelo. Partiamo alla grande direi.

LaVar fa da coach ai pargoli fino a che non raggiungono l’età da liceo, quando la Chino Hills High School ha l’onore di guidarli al diploma e garantirgli un palcoscenico cestistico. Per chi non lo sapesse, Chino Hills è una città nella contea di San Bernardino, la stessa zona da dove proviene Ryan Atwood per gli amanti dei teen drama. Tuttavia è un po’ cambiata da come ce la presentavano ai tempi di The O.C.: è la sesta città negli Stati Uniti per reddito medio (tra quelle con popolazione compresa tra i 65.000 e i 250.000 abitanti) e la 13° più sicura secondo l’FBI. In un posto così, le case tendono ad essere da serie HBO e la maison Ball non può fare certo eccezione. La rivista SLAM ha realizzato un video in cui viene raccontata parte della giornata tipo della famiglia. Occhio perché è roba forte.

Subito il clima onirico si avverte dal fatto che è il 25 dicembre, c’è la musichetta di Natale e sembra ferragosto. In California può capitare e tutto contento alla porta c’è LaVar, che suona la sveglia urbi et orbi.

Piccola nota: le case sono tutte bianche, ma prima dell’arrivo dei Ball non lo erano. LaVar voleva a tutti i costi ridipingere la sua casa di bianco, ma l’associazione dei proprietari (una sorta di consiglio condominiale diretto da agenti immobiliari) non ha dato l’autorizzazione. Grave errore. Indovinate chi è il presidente dell’associazione adesso? Appunto. E come d’incanto tutte le case sono diventate bianche.

Contento lui…

Il primo prodotto Big Baller appare al secondo 12 e da lì in poi è un product placement al quale nemmeno mamma Tina riesce a sottrarsi. Persino i regali di Natale sono capi firmati Big Baller! Ho ragione di credere che la notte del draft Lonzo sia costretto ad indossare un cappellino personalizzato con il marchio BBB in risalto e la scritta Los Angeles Lakers (ops, spoiler: vabbè, dai, tanto va a finire così) in piccolo, causando ovviamente incidenti diplomatici, accuse di mancanza di rispetto e milioni di views. D’altronde l’obiettivo è vendere un prodotto no?

La mattinata prosegue con i ragazzi (tra il divertito e il terrore psicologico) che fanno un po’ di lavoro all’aperto e poi si sfidano ad H.O.R.S.E. con l’immancabile presenza di LaVar, il quale non suffraga con i fatti le esternazioni fatte nei confronti di Michael Jordan al quale — secondo lui — avrebbe potuto rifilare un “13–2 in uno contro uno e l’unica ragione per la quale gli avrei lasciato i due punti è perché è Jordan”. Bene, ma non benissimo.

La giornata prosegue con una partita a domino (e anche lì busca) e con la visione di Cleveland — Golden State, durante la quale LaVar urla cose a caso nei confronti di Kyrie, KD e LeBron. Bah. Il video si chiude con un freestyle improvvisato da Lonzo, il quale a detta del padre è più forte di Magic Johnson, Steph Curry, e porterà i Lakers ai playoff (le risate se alla 2 non lo scelgono…) quanto prima.

Prima il personaggio, poi il brand

Per quanto il DNA possa aiutare nei processi di crescita del talento e per quanto LaVar si sia impegnato in un matrimonio eugenetico al fine di procreare degli esseri umani programmati per giocare a basket, l’etica lavorativa dei tre baldi giovani non è in discussione. Lonzo, LiAngelo e LaMelo sono cresciuti votando la loro la vita alla palla a spicchi con l’obiettivo di arrivare a questo momento. LaVar li ha “costretti” a camminare fin dall’età di 8 mesi (“gli ho messo una sciarpa intorno alle braccia e li tenevo in maniera che trovassero il loro equilibrio”) e a 10 mesi i pannolini erano spariti. Prima che gli nascessero i figli, ha sviluppato le sue tecniche di allenamento su cani, gatti e piccioni (“facevano dei backflips in aria quando battevo le mani”). SU DEI C****O DI PICCIONI! È tutto molto difficile da credere, lo capisco, ma sono ammissioni di LaVar stesso in questo approfondito ritratto di Ramona Shelbourne per ESPN.

E se non fosse tutto teatro? E se la costruzione di un villain servisse da ulteriore sprone per i suoi figli? Attualmente la nostra percezione dei fratelli Ball è di prossimità verso dei teenager costretti a vivere sotto l’egida di un pazzo che straparla ogniqualvolta ci sia un microfono a portata di mano. Questi ragazzi saranno costretti a vivere con dei paragoni che, oltre ad essere prematuri, non sono avvalorati da niente. Ancora nessuno dei tre ha giocato un singolo minuto in NBA; anche se Lonzo fosse quel fuoriclasse assoluto dipinto da LaVar, necessiterà di tempo per inserirsi nel mondo dei Pro. La gente detesta LaVar, ma prova compassione per i suoi figli e sarà disposta a dargli scusanti additando la colpa dei fallimenti dei figli al comportamento paterno. A sentire Sonny Vaccaro (l’uomo che ha portato Jordan alla Nike per capirci), l’atteggiamento di papà Ball richiede una grande dose di coraggio e alla lunga potrebbe anche funzionare. Non condivide il prezzo esorbitante delle scarpe, ma condivide la strategia di marketing. Già le scarpe, la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

L’oggetto della discordia.

Per aggiudicarsi queste stilose calzature da basket bisogna andare sul sito Big Baller Brand (dove potete trovare anche snapback, t-shirt, canottiere da donna, felpe, tutto a prezzi più abbordabili) e sborsare una cifra compresa tra i $495 e i $695. Qualora ci si senta particolarmente attaccati alle vicende di Lonzo e dei fratelli Ball si può scegliere la versione deluxe per la modica cifra di MILLECENTONOVANTACINQUE dollari, giustificati dall’autografo di Lonzo sulla scarpa e dalla scatola con luci al led nella quale vengono riposte le ZO2 (il nome delle scarpe).

Sento già il portafoglio più leggero.

Dal momento che arriva l’estate, potevano mancare le ciabatte? Ovviamente no, e per 220 verdoni si possono acquistare queste graziose ciabattine da sfoggiare in spiaggia tra una partita di beach volley e l’altra.

Sono anche brutte tra l’altro.

Non serve un professore di Microeconomia per capire che i costi sono spropositati, tant’è i primi dati sulle vendite non sono così incoraggianti. Eppure anche nella gestione del marchio c’è una logica di fondo. Bisogna infatti concentrarsi sul progetto a lungo termine anche questa volta. Su Undisputed (un format di Fox Sport) tale Shannon Sharpe, ex giocatore di NFL, rischia di avere una crisi nervosa quando Lavar risponde alla domanda sulla differenza di prezzo tra una ZO2 e una Jordan dicendo: “’cause he ain’t Lonzo Ball”.

Indipendentemente dal fatto che pensi o meno che suo figlio sia un brand più vendibile di Sir Jordan (cosa che ad oggi è impossibile da pensare), quello che LaVar vuole precisare è che nessuno si era mai sognato di produrre (anzi di auto-produrre) una signature shoes senza aver mai giocato un solo minuto da Pro. È irreale una cosa del genere, è talmente contro-intuitivo che i grandi marchi sportivi hanno avuto tutti paura di entrare nel ciclone Ball, più per mancanza di precedenti indicativi che non per reali dubbi sulle qualità di Lonzo e su un ritorno economico. In questo clima di incertezza si è ovviamente tuffato il protagonista della storia, che ha minimizzato la vicenda per poi partire da una base d’asta di un miliardo di dollari per l’endorsement fino ad arrivare ai 3 miliardi, cifra per la quale adesso si siederebbe a discutere con una grande azienda. Considerando che l’unico atleta NBA in grado di vantare una collaborazione tecnica a nove zeri con uno sponsor è LeBron James, anche in questo caso il passo sembra molto più lungo della gamba. Eppure se le cose andranno per il meglio e Lonzo dimostrerà che i geni di famiglia non falliscono sotto pressione, tra tre anni potremmo assistere all‘avvento della “Ball Era”.

Nel 2020 verosimilmente LaMelo, il più piccolo e a detta di tutti il più talentuoso dei tre, entrerà nella lega. Al netto delle preferenze gialloviola della famiglia Ball, c’è la concreta possibilità che i tre finiscano in tre franchigie differenti, il che vuol dire tre mercati differenti ai quale si aggiunge la comunità sempre più nutrita di Big Ballers e il pubblico neofita/profano del basket, solleticato dall’esclusività di questa nuova frontiera del merchandising sportivo. In una parola? Boom.

Le aziende sopracitate si troveranno costrette a “endorsare” la Big Baller Brand e se non si arriverà al miliardo di dollari, ci si andrà molto vicino. L’unica incognita sono le prestazioni di Lonzo, LiAngelo e LaMelo che a giudicare dagli esordi liceali e collegiali promettono scintille.

Pochi?

La storia si ripete?

Le recenti elezioni americane ci hanno consigliato di non sottovalutare i personaggi che si schierano apertamente contro l’establishment, che fanno incetta di consensi on line e che vengono inizialmente snobbati dagli addetti ai lavori. Etichettare LaVar Ball come “la peggior cosa accaduta al basket nell’ultimo secolo” rischia di essere quantomeno limitante in relazione a quanto sia giovane l’apertura del basket a questo istrionico personaggio. Piuttosto, bisognerebbe cercare continuamente nuove chiavi di lettura e accettare che il tipo non flirta mai con il compromesso, come ha imparato l’ex coach di Chino Hills High School a sue spese. Se davvero c’è un piano alla base della costruzione mediatica di LaVar Ball, allora è importante capire dove porta e se ha come fine ultimo il bene dei figli come uomini e come giocatori. Per ora bisogna soltanto attendere l’evoluzione di questo fenomeno da views e accettare che, ci piaccia o no, il prodotto è vendibile, tanto da convincere la famosa azienda di card sportive Leaf Trading Cards a dedicargli una carta personale.

Bryan Gray, CEO dell’azienda, ha motivato la scelta adducendo che LaVar Ball “è un’icona della cultura pop”. C’è la concreta possibilità che la lega non sia realmente preparata a quello che sta per succedere. La famiglia Ball è il primo microcosmo della storia sportiva in grado di autodefinirsi senza ingerenze esterne. Oltre alla Big Baller Brand, infatti, ci sono la Big Baller Media (che cura l’immagine dei tre prospetti) e la Ball Sports Group (che nella persona di Harrison Gaines ne gestisce la parte legale). La cosa più assurda? La parte della sceneggiatura ancora in bianco è quella più corposa e il plot narrativo promette una quantità di colpi di scena esponenziale rispetto a quella già vista.

Ci vediamo al draft.

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