Se il poker è un bluff

Crampi Sportivi
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5 min readNov 27, 2013

Ibra e i suoi fratelli: mai un giocatore capace di segnare quattro gol nella stessa partita ha poi vinto la Champions League. Almeno fino a Zlatan.

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«Oh, vana gloria de l’umane posse!» Dante ci vede sempre più lungo degli altri. No, non il legnoso centrale del Bayern Monaco. Quell’altro Dante, orgoglio di noi italiani. A che serve affaticarsi tanto, se poi le tue imprese finiscono nel dimenticatoio?

Uno segna quattro gol nella stessa partita, e già non butta male. Per giunta, lo fa nella competizione più magica, non per caso la “Lega dei Campioni”. Eppure alla fine si ritrova a mani vuote, e sono sempre altri ad accarezzare le grandi orecchie del trofeo.

Con i quattro gol all’Anderlecht, Zlatan Ibrahimovic è diventato il decimo giocatore nella storia della UEFA Champions League (escludendo dunque la vecchia Coppa Campioni) capace di bucare quattro volte nella stessa notte il portiere avversario. Ma una maledizione accomuna i nove predecessori, più o meno illustri: nessuno di loro a fine stagione sollevò mai la coppa più ambita. Non solo: ben cinque volte persero proprio in finale.

In principio fu il Cigno di Utrecht. La fredda Milano del 25 novembre ’92 prende fuoco davanti alle meraviglie di Marco Van Basten, ormai ai piedi del calvario che lo porterà al ritiro. Zampata mancina, pigro rigore, capolavoro in rovesciata, ultimo timbro a portiere seduto. Un mese dopo Van Basten va sotto i ferri, rientra in tempo per giocare la finale di Monaco: Boli condanna i rossoneri, dopo che la squadra di Sacchi aveva conosciuto solo vittorie nei precedenti dieci match del torneo.

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Bisogna attendere otto anni per incontrare un altro poker. Ne gode di nuovo un’italiana: la Lazio che stende 5–1 il dimesso Marsiglia nella seconda fase a gironi, il 14 marzo 2000. E il bomber è l’Inzaghi minore, Simone, fratello di quel Pippo riconosciuto signore d’Europa pur senza una notte da quattro centri. Il bomber biancazzurro, più avanti ricordato per ben altre conquiste, segna solo di destro e solo dentro l’area di rigore, sbagliando pure un penalty. Ma l’avventura laziale avrà poco altro da dire: strapazzata ai quarti dal Valencia di Cuper.

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Dal 2003, novembre è mese d’imprese. Comincia Dado Prso, gigante omerico del Monaco di Deschamps: il 5 novembre segna metà dei gol dei suoi, che abbattono 8–3 il Deportivo La Coruña. Entrambe le protagoniste avranno nel destino José Mourinho: il Porto sconfiggerà il Depor in semifinale, e i monegaschi nella finalissima. E anche Prso, come van Basten, arriva a un passo dalla gloria.

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Si ferma ben prima l’avventura di Ruud van Nistelrooy nel 2004–2005: dopo la quaterna allo Sparta Praga del 3 novembre, il bomber olandese non va oltre gli ottavi di finale. Il suo Manchester United fu eliminato dal Milan, atteso dal destino nella fatale Istanbul.

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E proprio pochi mesi dopo la più terribile delle sconfitte, anche Andriy Shevchenko si iscriveva al club del poker: tutte sue le firme rossonere nello 0–4 al Fenerbahce, il 23 novembre 2005.

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Passano cinque anni, e non può che entrare in scena il Re del calcio contemporaneo. Leo Messi segna quattro reti in un memorabile ritorno dei quarti di finale contro l’Arsenal, il 6 aprile 2010. L’enigamtico Bendtner spaventa i catalani, che dopo il 2–2 dell’Emirates rischiano grosso. Finchè la Pulce si scatena: missile mancino, lob di destro (pezzo da collezione per notti limited edition), lob di sinistro, altra botta tra le gambe di Almunia. È il Barça degli invincibili? No, di nuovo il pokerista si ferma sulla strada di José. L’Inter tripletica fa fuori i blaugrana, e il secondo Pallone d’Oro è solo magra consolazione per Leo.

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Che, per inciso, è insieme a Van Basten l’unico della lista ad aver vinto il maggior premio individuale nell’anno della quaterna europea. Messi farà anche meglio, l’8 marzo 2012: cinque gol cinque al Bayer Leverkusen. Nuovo Pallone d’Oro, ma il trofeo? Neanche per sogno. In semifinale Leo sbaglia un rigore, a Monaco vola il Chelsea.

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Dopo Messi, si prova disagio a includere nel club Bafetimbi Gomis, che il 7 dicembre 2011 castiga quattro volte la Dinamo Zagabria in un match maleodorante di combine.

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Possiamo spattinare arrivando a Mario Gomez, poker nel 7–0 del Bayern al malcapitato Basilea. I bavaresi di Heynckes sembrano inarrestabili, ma la finale tra le mura amiche dell’Allianz Arena è un altro pianto. Gomez non incide nella partita che consacra il cuore e la classe di Didier Drogba.

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L’ultimo prima di Ibra è Robert Lewandowski. Segna quattro reti al Real Madrid nella semifinale d’andata della scorsa Champions: per una volta, Mourinho è vittima e non carnefice. Spaccata volante, tocco sporco in area, perla di destro dopo un dribbling magico con la suola; infine rigore di potenza. Ancora, la squadra del bomber raggiunge la finale. Ancora, perde: a Wembley trionfa proprio il Bayern Monaco di Mario Gomez. Che in questa edizione, naturalmente, non aveva segnato poker.

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Le quaterne in Champions: una storia di fenomeni e comparse, di attaccanti baciati dal talento o dalla fortuna. Ora alla lista si aggiunge Ibra, che della coppa più prestigiosa ha fatto la sua ossessione. Se c’è uno che può spezzare l’incantesimo, è il gigante di Malmö. Ma la storia degli eroi perdenti non è casuale. Dice che per arrivare al trionfo, c’è bisogno di una grande squadra. Mai le gesta del singolo portarono da sole alla gloria continentale. Se si può trovare un limite alla carriera di Ibra, è proprio quello di essere stato sempre un grande solitario, vagabondo di gol e di affetto, mai in grado di creare piena empatia con i compagni e gli ambienti. A 32 anni, è il momento ultimo per il salto di qualità. O tutta l’«umana possa» delle sue prodezze fiamminghe rimarrà ricordo incompiuto.

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Gioele Anni, da piccolo sognava di fare il calciatore per andare ai Mondiali. Ora sogna di fare il giornalista per andare ai Mondiali. Quasi milanese e tutto milanista, mancino incompiuto attualmente in trasferta a Roma: l’unico giallorosso è quello dell’Amatori Hockey di Lodi. @gioeleanni

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