Sebastián Vignolo, professione cantore

Crampi Sportivi
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12 min readMay 31, 2016

Devo iniziare questo pezzo con la stessa frase con cui lo chiuderò. Sebastián Vignolo è il telecronista migliore del mondo. Perché “El Pollo”, è veramente il miglior telecronista del mondo.

Per suffragare la mia tesi sono disposto a tuffarmi in quel magico corso d’acqua che nasce dalla fusione dei fiumi Paraná e Uruguay e che prende il nome di Rio de la Plata. Senza nulla togliere al piccolo e garibaldesco stato dei Charrúa, qui approfondiamo una delle tante storie della riva destra di quella lingua d’acqua dolce.

In medias res

Se non avete mai sentito quel dono di natura che sono gli organi fonatori del “Pollo”, significa che — nel caso siate tifosi della Vecchia Signora — siete quel genere di sostenitori che non guarda al passato, nemmeno quello più fresco e glorioso. Bravi voi, ma vi siete persi il ritorno alla Bombonera di Carlitos Tévez, evento mediaticamente non coperto al di qua dell’Atlantico (ed è un peccato), ma ovviamente teletrasmesso a reti unificate in Argentina. E come sempre il clásico de los domingos tocca alla voce di Vignolo.

Se non parlate spagnolo sarete comunque stati accecati da quella mitraglia che è il diaframma del nostro rubio (spoiler: è biondo) commentatore e dalla tedesca dizione. Per non parlare di quanto sia difficile descrivere quel qualcosa in più, quel misto di enorme competenza, emozione controllata (ma non troppo) e quella sudamericanità di enorme matrice vecchio-continentale, capace di farti sollevare una sedia in stile Mondonico mentre citi Borges, Nietzsche e le teorie calcistiche di Marcelo Bielsa.

Se con lo spagnolo avete avuto un impatto — magari da Erasmus, scuola o amicizie — vi accorgerete di una cosa: vivere a una perturbazione di distanza dalla penisola iberica (la spiego: se è martedì mattina e a Saragozza piove, siamo sempre certi che al mercoledì pomeriggio tocchi a Torino, ndr) ci mette al riparo dallo stravolgimento linguistico argentino, ma ci impedisce di acquisire quel meraviglioso accento che caratterizza 40 milioni di ex europei.

Che l’argentino non sia spagnolo non lo scopriamo certo in queste righe, ma Vignolo ne è uno dei massimi portavoce contemporanei. Se non avete enorme familiarità con il modo di raccontare lo sport nella Latinoamerica, vi sentirete come gli spettatori della prima mezz’ora di “Salvate il soldato Ryan”: le pallottole e i mortai, che non sono diretti a voi, finiscono col colpirvi. La cosa vi affascina, ma vorreste un attimo di tregua per capire cosa succede. Perché il telecronista spinge i giocatori in contropiede? Perché ripete cento volte il nome dell’attaccante che sta per segnare? Perché non si straccia le vesti davanti al pallonetto con rabona?

Benvenuti nel magico mondo di Sebastián Vignolo.

Ab originem

Il piccolo Vignolo nasce nel Far West argentino, al confine tra le province di Córdoba e di Santa Fe. A sei anni si trasferisce con la madre in quella Capitál Federál che prese il nome dalla devozione dei marinai — molti dei quali sardi — che nel 1580 condussero Juan de Garay a ricostruire edifici e istituzioni rasi al suolo 41 anni prima: in onore alla manodopera che lavorava su quelle navi, la città prese il nome della Patrona della Sardegna, Nostra Signora di Bonaria. Con Santísima Trinidad y Puerto de Nuestra Señora de los Buenos Aires si mise d’accordo borboni e sardi. L’enorme immigrazione italiana, non ultima quella dei liguri da cui discende lo stesso Vignolo, completerà quel bijou di etnie che è oggi la capitale argentina.

Il piccolo Seba vive con la famiglia nel barrio di Floresta, sede di una squadra con nome anglofono. Per chiudere il cerchio (tra Uruguay e Argentina ci sono più formazioni con nome inglese che in Irlanda!), la squadra in questione ha la maglia bianconera e gioca nel catino ribollente dello stadio “Islas Malvinas”. Facile per un bimbo innamorarsi di tutto quello e diventare tifosi dell’All-Boys, specie se una maschera di una certa età ti capisce e ad ogni partita casalinga ti dice: “Nene! Ho capito che non hai soldi per il biglietto. Ma se tu ti presenti qui tutte le domeniche io fingo di distrarmi per un attimo e tu entri. Entendés?”.

Amore a prima vista: il Pollo (pronuncia “Posho” e non “poio”, alla spagnola), con la sua fede tanto atipica quanto sbandierata, è infatti fuori dalla guerriglia metropolitana combattuta dai sostenitori di Boca, River, Racing, Independiente e San Lorenzo (la squadra dell’attuale papa). Insomma Seba parte già da una base importante per il suo Paese: non è calcisticamente antipatico a nessuno. E c’è di più.

Juvenilia

Vignolo è un ex giocatore, uno di quelli che doveva finire da qualche parte e poi ci si è messo di mezzo un infortunio a tibia e perone che ne ha tranciato in due i sogni. Di giocatori fermati da sfortune mediche ne conosciamo tutti, ma nessuno ha avuto poi il percorso del biondo Sebastián.

El Pollo era un difensore centrale dal buon colpo di testa, prima per l’Argentinos Juniors (che ha sfornato qualche talento qualche metro più avanti nel campo di gioco: Riquelme e Maradona), poi per il Vélez dove incontrò la malasorte.

Il primo ritratto dell’artista da giovane che ci offre la tv è quello del primo lavoro del nemmeno 23enne Vignolo, mandato da Fox Sport nientemeno che ai mondiali di Francia ’98, dove tra le altre partite commenterà — sempre se siate in grado di rivederla — il nostro maledetto quarto di finale.

Alias

In ogni storia che tratta di Argentina o di Uruguay c’è sempre una sezione dedicata agli apodos, ai soprannomi. Esistono due tipi di nomignoli: quelli legati all’aspetto fisico e quelli legati a una particolare vicenda personale. Tra i primi troviamo i direttissimi el turco (lo scuro di carnagione), el negro (quello un po’ più scuro di carnagione), el flaco (il magro), el mudo (quello che non parla tanto), el pelusa (quello con tanti capelli), el gordo (l’abbondantino), el tano (quello di origine italiana) e tanti altri.

Tra i secondi, invece, quelli di comprensione meno immediata: el pipita (la pipa piccola, cioè il figlio di quello che veniva soprannominato pipa, ovvero il padre dell’attuale capocannoniere della serie A), la brujita (il figlio della bruja, cioè Verón padre), el cuchu (il cartone animato che darà il soprannome a Cambiasso) e un’altra giungla di nomi dalla quale dobbiamo però uscire. El pollo può stare a metà tra i due: può riferirsi alle gambe magre e alla carnagione chiara — ed è il caso del protagonista di questo pezzo — o a una persona cui le cuesta pensar, gli è difficile ragionare, e NON è il caso del protagonista di questo pezzo.

Non sono note le ragioni del soprannome di Vignolo, ma siamo certi che facciano riferimento al fisico del telecronista. Sul suo modo di usare il cervello e il cuore, usando il primo come megafono del secondo, non ci sono dubbi: Seba accompagna il movimento dei giocatori e delle loro squadre, spiegando — senza dirlo a parole — se, come e perché l’azione che sta commentando può entrare negli highlights stagionali. Le telecronache di Vignolo sono come l’idea che Mark Twain aveva della gentilezza: una lingua che il sordo ascolta e che il cieco vede.

Anche nelle sconfitte.

De (quasi) senectute

Nel bagaglio ereditario che Vignolo si è portato appresso dal Vecchio Continente (e della “sua” Liguria), c’è la caratteristica tipica sia del vino che del sesso maschile: col passare del tempo le sue abilità dietro al microfono migliorano esponenzialmente. La prima serie del campionato argentino lo aiuta parecchio: nei primi anni 2000 l’Argentina diventa una panetteria napoletana capace di sfornare le migliori leccornie (joyas, sostantivo che indica anche i monili in oro, oltre che le grandi promesse sportive) del mondo. Le stracittadine sono un film di Tarantino: belle, bollenti, crudeli. Il pulp ce lo mette il pubblico.

A parere di chi scrive, quello che segue è il momento più alto del Pollo Vignolo.

Introdurre un Superclásico non è difficile: è una grande opera d’arte, si manifesta al mondo già da sé. Quel che segue, però, è da artisti veri della parola, oltre che da innovatori. Al minuto 2:30 ad esempio, Vignolo dice che ci sono problemi all’interno dell’area per alcune trattenute e che l’arbitro Elizondo (lo stesso che aveva arbitrato la finale dei Mondiali) sta richiamando l’attenzione sì a vos Cata, sì a vos Tecla, proprio mentre i due, il Cata Daniel Díaz e il Tecla Ernesto Farías — visto a Palermo con modesti risultati — erano inquadrati.

Se state sbirciando questo pezzo nella vostra ora di spagnolo, non allarmatevi: il non è mai arrivato nel “mondo senza gente”, come lo definiva Dante (cfr.: Inferno, Canto XXVI. Quello con Ulisse). Si va di vos e, come se non bastasse, la grammatica della seconda persona singolare viene stravolta di modo che il tutto cada sulla parte finale della parola: entendés al posto dello spagnolo entiendes, sabés invece di sabes, conocés al posto di conoces. Aggiungete al tutto la mancanza di una pronuncia dura e una cantilena ligure-campano-veneta e avrete creato l’accento più fascinoso del mondo. Commentare una partita con questi vantaggi iniziali può sembrare un vantaggio: sì, ma provate voi a domare così tanti cavalli, fornendo prestazioni di livello.

Vignolo, poco dopo, estrae dal cilindro due suoi temi classici: esto vale — questo è valido, riferito al gol, specie se arriva dopo una rete annullata (minuto 2:33, gol di un irriconoscibile e giovanissimo Higuaín) e cantalo (accento sulla secondo “a”, mi raccomando) al 3:53 quando segna la versione capelluta di Rodrigo Palacio, che pareggia momentaneamente quello splendido derby (esiste anche una versione barra brava di quella partita, sponda tifoseria gialloblù).

Ma il vero capolavoro narrativo è dal 4:40 in poi. Miren la contra que se arma, attenzione al contropiede verrebbe da dire. Libre Belluschi (che a causa della “b” che si trasforma in “v” e del quasi divieto di pronunciare la “s” estremamente tipico dell’Argentina, suona come “Veluci” o “Beluci”), e poi la serie infinita di aver en que termina — vediamo come va a finire — cosa che anticipa (e Vignolo già lo percepiva) il bel gol del Pipita: Por gol del River. Perché, c’erano forse dei dubbi?

Cose del genere fanno la fortuna di un telecronista.

Ce lo ricorda anche Fabio Caressa nel suo “Andiamo a Berlino”, libro-delirio su alcuni retroscena della vittoria mondiale. Fabione nazionale confessa che una delle sue fortune fu il non aver celebrato a modo suo questo gol su punizione di Adriano, mentre tutto lo stadio esultava. Lui aveva tenuto invece gli occhi sull’arbitro che aveva il braccio ben alzato a indicare che il calcio di punizione era di seconda.

Vignolo si è spinto oltre. Anticipa l’estasi del gol, raccogliendo forse la lezione di Hornby, nel suo Fever Pitch (“Febbre a 90º”, da noi): il modo di fare un punto nel calcio può essere difficile e può regalare anche un campionato. Ecco perché la sua celebrazione è così tanto mitizzata.

De narratione patria

A furor di popolo, Vignolo non è “un”, ma “il” commentatore della Selección, compito delicato per chi deve giustificare e consolare una intera nazione ogni qual volta — e capita spesso ultimamente — che l’Argentina arriva a un passo da dove si pensava arrivasse. Quando gioca l’Albiceleste, il Pollo cambia d’abito: dal casual moderno ma elegante del suo relato tipico del campionato, passa ai jeans e maglietta e guarda il match dalla curva, senzaabbandonare il contesto professionale. Ma l’emozione traspira e non potrebbe essere altrimenti.

Jugamos la final del Mundo, carajo! L’esplosione è a 5:25, ed è splendida. È un Vignolo emozionato quello che commenta la sua nazionale (Argentina te amo!). Il suo è un tifo vero: direbbe le stesse cose anche se fosse nel proprio salotto di casa, o allo stadio. Non deve rispondere a nessuno, se non ai propri sentimenti. Il cantalo è sostituito dal gritalo (accentare sempre la “a”) e date le circostanze può e deve festeggiare non solo i gol, ma anche le parate di un sorprendente Romero: Atajó Romero! Atajó Romero!

Un’altra lezione di lingua di narrazione il Pollo la fornisce qui. All’epoca erano rimasti disponibili sei punti per raggiungere Sud Africa 2010. All’albiceleste guidata da Maradona ne servivano come minimo tre, quantomeno per avere la certezza di andare a uno spareggio (anche se poi, con la vittoria contro l’Uruguay, non ce ne fu bisogno). Qui però, contro un sorprendente Perù, la situazione è critica. Higuaín segna (5:51), poi però arriva il pareggio dei biancorossi (8:12).

Tra i tanti esordienti provati da Diego quell’anno ce n’era uno che esordiente non era, ma che era talmente fuori dal giro che tutti se l’erano dimenticati, oltre al fatto che la scelte del pibe era sembrata ai più quanto mai azzardata. E infatti segna lui (9:19). Sotto un diluvio biblico esce il sinistro del Leviatano Palermo e Vignolo impazzisce: Martín fuiste vos! Martín fuiste vos! Martín, sei stato tu. Una frase semplice — ripetuta un numero di volte eccessivo per noi poveri europei — ma che centra perfettamente il momento. Se si va a Sud Africa 2010, è proprio grazie al goleador del Boca. Che segna e festeggia proprio nello stadio del River, scelto follemente dal più improbabile selezionatore della storia albiceleste (ex Boca) sotto un’acquazzone da sospensione del match, a tempo scaduto.

Solo in Argentina, probabilmente.

Ab originem (di questo pezzo)

Visti i precedenti, è facile capire che in quella telecronaca della rabona di Calleri c’è tutto, ma proprio tutto Vignolo, il quale peraltro non disdegna di inserire che l’autore del gol salió de All Boys, arriva dall’All Boys. Un telecronista che ormai (quel video è dell’agosto 2015) è maturo e all’apice di una carriera che durerà secoli.

Negli ultimi tempi Vignolo, sempre restando fedele a ciò che più gli sta a cuore, ovvero raccontare le partite, ha preso un paio di posizioni importanti. La prima riguarda il famigerato superclásico di Copa Libertadores in cui dalla curva del Boca partì spray urticante che finì con l’obbligare l’arbitro a interrompere il match durante l’intervallo, consegnando il passaggio di turno ai biancorossi, vittime del gas malefico.

Seba prende posizione in modo ben diverso dagli opinionisti dei salotti nostrani. L’esempio deve venire dai più grandi, dice il Pollo. Cagones! Grida, riferendosi ai giocatori del Boca che non solo non avevano espresso solidarietà con i colleghi colpiti dallo spray urticante, ma preferirono anche non accompagnarli nell’uscita dal campo. Una cosa a suo parere impresentable. Seba cita poi Riquelme, Palermo e Ibarra: con loro tutto questo non sarebbe successo.

L’altra presa di posizione è stata invece più personale e extra-fútbol. Il Pollo ha commosso l’Argentina raccontato la non facile vicenda che lo ha visto diventare genitore insieme con la moglie Paula Planes. Vignolo in più di una trasmissione ha spiegato della necessità di ricorrere all’inseminazione artificiale che ha dato poi a lui e alla moglie due bellissimi gemelli. Di sportivo qui c’è poco, ma Vignolo non ha mai cercato di nascondersi e non ha alcun problema con quello che pensa. L’espressione hombre vertical vi dice qualcosa?

Raccontare cosa sia il calcio per queste nazioni e culture è un’operazione più complessa del normale. Dalle telecronache latinoamericane si percepisce perfettamente che tipo di termometro sia il fútbol nel nuovo mondo. Specie quando giocano le selezioni nazionali, è sacrosanto inserire tutto il bagaglio — individuale e collettivo — di emozioni e di retroscena di cui il commentatore, in quanto cittadino, è in possesso.

Vignolo è uno dei simboli contemporanei della sua nazione. È uno dei tesori da preservare e da fare ascoltare tra tanti anni nelle biblioteche e sarà interesse di chi si occuperà di giornalismo, recitazione, politica e studio storico dell’Argentina. La vicenda personale del Pollo, inoltre, è uno splendido specchio della frase del messicano Octavio Paz: los mexicanos descienden de los aztecas, los peruanos de los incas, y los argentinos de los barcos (i messicani vengono dagli aztechi, i peruviani dagli inca, gli argentini dalle navi). E Dio benedica chi ha avuto l’idea di partire per primo.

Da quanto si sente, l’Argentina di oggi è un posto che non perdona più. La crisi del 2000 colpisce ancora, con ovvie conseguenze sul campionato che sforna talenti e che si vede soffiare i giocatori da coccolare e formare (prima del fisiologico sbarco in Europa) da Brasile e Messico, dove il denaro gira con più facilità. Il Paese è lo specchio dei film del bravo regista Campanella, Oscar alla miglior pelicula straniera nel 2009, ma che con il meno noto Luna de Avellaneda del 2004 ha fornito un murales veritiero di come la povertà e il degrado si siano via via inseriti anche in quella che fino all’inizio del Novecento era una delle ex colonie più invitanti del mondo.

Il nostro Vignolo è Argentina. E soprattutto è calcio, e giornalismo sportivo di assoluto valore. L’incrocio tra vicenda personale e vicenda sportivo lo rende quello che è oggi. Per essere i migliori nel difficile mestiere della narrazione in tempo reale dell’evento calcistico bisogna sapere che odore ha l’erba a luglio, in pieno inverno, e a gennaio, quando i campionati sono fermi perché i termometri della Capitál Federál fanno segnare una media di 40 gradi, e anche il fútbol per un mese si arrende. Bisogna conoscere, percepire, respirare fútbol. E trasmetterlo.

Ecco perchè Sebastián El Pollo Vignolo è il telecronista migliore del mondo.

Articolo a cura di Alessandro Moretti

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