Sette motivi per amare Gyan Asamoah (e seguire la Coppa d’Africa)

Crampi Sportivi
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7 min readJan 19, 2015

Non ha ancora 29 anni, ma è il simbolo di un paese, di un popolo e forse di una generazione — quella africana nata negli anni ’80 — che avrebbe potuto (e dovuto) dare di più nelle occasioni internazionali: se è vero com’è vero che Pelé prevedeva nel 1990 la vittoria di un’africana al Mondiale, siamo ancora lontani. È uno dei giocatori più importanti del Continente Nero, eppure la sua carriera europea è stata fatta di alti e bassi (e oggi nemmeno ci gioca più). Non ha vinto le Champions come Eto’o e Drogba, ma negli almanacchi oggi è il giocatore africano più prestigioso nella storia dei Mondiali.

Questo è Gyan Asamoah, che si prepara ad affrontare la sua quinta Coppa d’Africa in carriera. Sabato 17 gennaio prenderà via la 30° edizione della rassegna continentale in Guinea Equatoriale. E personalmente non trovo modo migliore di narrare un’edizione così incerta con l’uomo più importante d’Africa. Eto’o e Drogba si sono ritirati dal calcio internazionale, la Nigeria campione uscente non ha superato le qualificazioni e l’ebola ha rischiato di far cancellare il torneo, ma Gyan c’è.

Ecco sette motivi per seguire quest’eroe nella conquista di ciò che più gli sta a cuore: l’alloro continentale (che il Ghana non vince dal 1982).

Perché ha l’Italia nel passato

C’è un legame con il nostro paese. Nel 2003, gli osservatori dell’Udinese lo notano con la maglia dei Liberty Professional di Accra, la città natale dell’attaccante. Una volta acquistato, fa in tempo a salutare il suo nuovo compagno di squadra Sulley Muntari (giocheranno insieme per le Black Stars) che esordisce in A con Spalletti. È il 15 maggio 2004 allo stadio Tardini di Parma: Gilardino segna quattro reti, mentre Gyan entra per Pinzi al 38° della ripresa.

L’Udinese lo presta per due anni al Modena in B: dopo 15 gol, il ghanese torna e affronta la difficile convivenza con i colleghi d’attacco: davanti l’Udinese ha Iaquinta, Di Natale, Quagliarella, e Asamoah non gioca quanto vorrebbe. A fine stagione conta 11 gol — tra cui uno a San Siro contro il Milan — e lascia Udine. E pensare che sarebbe dovuto partire prima: nel gennaio 2007 la Lokomotiv Mosca lo prende per 10 milioni di euro. Sarebbe un grande affare anche per i friulani, che però non trovano il sostituto e si tengono il ghanese.

In più, vanno ricordati i due incroci con l’Italia in nazionale. Gyan sfida gli Azzurri sia alle Olimpiadi di Atene del 2004 che ai Mondiali del 2006: in entrambi i casi, non è andata bene. Così come in Friuli.

Perché è un giramondo del gol

Dopo la parentesi italiana, Gyan va in Francia. La prima annata in Ligue 1 è un disastro: un solo gol in 16 partite. Fortunatamente in Bretagna lo aspettano e lavorano sulle sue qualità, il 2009–10 è l’anno del riscatto, con 13 reti in 24 partite. Una ottima stagione, che gli attira l’interesse della Premier League.

Il Sunderland si decide ad acquistarlo dopo il Mondiale sudafricano: i Black Cats pagano il ghanese ben 15 milioni di euro. Segna al debutto nella trasferta di Wigan e in generale gioca una buona stagione (10 reti in 31 presenze). Sembra l’inizio di una storia d’amore tra il il ragazzo di Accra e il calcio inglese, ma in realtà è il preludio a un addio inaspettato.

Perché negli Emirati se la sta cavando discretamente

Nel settembre 2011, dopo appena una stagione in Premier League, Gyan viene prestato all’Al-Ain, squadra degli Emirati Arabi Uniti. L’accordo è un affare per tutti: l’attaccante guadagnerà quattro volte tanto quanto prendeva in Inghilterra, il Sunderland si garantisce quattro milioni di euro per il solo prestito. Qualcuno pensa di richiamare il ghanese alla base, ma nel luglio 2012 l’accordo diventa definitivo (senza ulteriore guadagno per i Black Cats).

Da quel momento in poi, Asamoah vive nel suo paradiso dorato, al Hazza Bin Zayed Stadium, dove si gode il ricco contratto con scadenza al giugno 2018. Un accordo recentemente rinnovato, che porta l’ingaggio di Gyan è passato da 5 a 10 (!) milioni di euro. Se rimarrà negli Emirati fino al Mondiale russo del 2018, Gyan si porterà a casa quasi 40 milioni di euro (senza tasse). Alla faccia dei contratti di Eto’o con l’Anzhi o di Drogba con lo Shanghai Shenhua.

Intanto, però, ci sono anche i risultati. Non che l’UAE Arabian Gulf League sia impegnativo per uno così. Tuttavia, a oggi Gyan Asamoah è il secondo cannoniere all-time del club. E la sua media-gol è spaventosa: più di un gol a partita, 113 reti segnate con la maglia dell’Al-Ain. Dovesse rimanere ancora negli Emirati, il bilancio sarebbe destinato solo a salire.

Media discreta.

Perché è interessato all’arte ed è SWAG

Gyan è un tipo apposto, con tanti interessi fuori dal campo. Uno di questi è la boxe, che Gyan ama profondamente e che lui stesso ha cercato di promuovere in Ghana. Un altra sua grande passione è la musica, anzi forse è la più grande: sotto lo pseudonimo di Baby Jet, nel 2010 collabora con l’amico e rapper ghanese Castro per la hit “African Girls”. Qualche altra collaborazione, prima che lo stesso Gyan rimanga coinvolto nella morte dell’amico nell’estate scorsa.

Recentemente si è portato a casa anche il premio di calciatore dell’anno agli SWAG Awards. Vi giuro che esistono. Sarebbero i premi degli Sports Writers of Ghana, ma noi preferiamo la versione che Internet ci ha fornito negli ultimi anni. Del resto, la Asamoah dance è già abbastanza swag di suo.

Perché è il simbolo del Ghana (nel male)

Per capire la grandezza di un simbolo, bisogna capire prima di tutto la sua capacità nel rialzarsi dopo una botta tremenda. C’è un momento che segnerà inevitabilmente la carriera di Gyan Asamoah e risale a una notte di luglio del 2010, quando lui e il suo Ghana stanno disputando i quarti di finale del Mondiale contro l’Uruguay al Soccer City Stadium di Johannesburg.

Il Ghana è reduce da un Mondiale straordinario: ha passato il girone, ha eliminato gli Stati Uniti e sogna la semifinale. Sarebbe la prima volta per una nazionale africana e per giunta avverrebbe proprio nel primo Mondiale africano della storia. Al 120’, il Ghana sta per segnare il 2–1 definitivo, ma il malandrino Luis Suarez ferma tutto con la mano. Lui è fuori e il Ghana ha il match-point per la storia.

Sul dischetto si presenta proprio Asamoah. Il suo Mondiale è stato un ottimo mondiale, con grandi prestazioni e gol decisivi, ma sul più bello, Asamoah sceglie la potenza. Nonostante Muslera sia spiazzato, la palla batte sulla traversa e va fuori. Gyan segnerà nella lotteria dei rigori, ma neanche lui riuscirà mai a liberarsi del fantasma di quel rigore fallito al 120’. E ha fatto pure incazzare Marcel Desailly.

Perché è il simbolo del Ghana (nel bene)

Il vizio di sbagliare rigori nei momenti decisivi non l’ha perso, come quello mancato nella semifinale della Coppa d’Africa 2012. Da lì Gyan decide di prendersi una pausa di riflessione dalla nazionale, poi ci ha ripensato e proprio da questa capacità di rialzarsi nonostante le delusioni che deriva la sua grandezza.

Gyan è il simbolo del Ghana: il ragazzo debutta con le Black Stars quando ha solo 17 anni (e segna subito). Ha segnato almeno un gol in ogni Coppa d’Africa a cui ha partecipato. Ha fatto lo stesso anche per i Mondiali: oggi Asamoah è il realizzatore principe dell’Africa ai Mondiali, con sei reti in tre Coppe del Mondo (ha superato Roger Milla) E potrà migliorare questo record in Russia, quando avrà 33 anni.

È entrato nel club dei pochi eletti che hanno segnato almeno una rete in tre Mondiali: con lui ci sono Klose, Ronaldo, Pelé e pochi altri. È diventato il capitano e bomber all-time del Ghana (45 gol in 86 presenze). E non è un caso se le Black Stars sono ripartite da quando c’è lui in nazionale. Nonostante la presenza in squadra di Abedi Pelé e Tony Yeboah, il Ghana non ha mai raggiunto la qualificazione al Mondiale. Invece, con Gyan ne sono arrivate tre di fila. Inoltre, è un po’ er capoccia del paese (basti questo).

Perché il 3 è nel suo destino

Sin da quando è approdato in Europa, il numero 3 ricorre nella genealogia di Gyan Asamoah. È il numero di maglia che ha portato sulle spalle all’Udinese, per un breve periodo al Sunderland, al Ghana e che attualmente veste all’Al-Ain (nonché sulla sua pelle). È il numero di Mondiali giocati con le Black Stars. Il perché della fissa con il numero magico l’ha spiegata anche il diretto interessato:

«Era il numero che vestivo in Ghana. Inoltre è un numero potente. Vi do un esempio: se sollevate qualcosa di pesante, aspettate fino al “tre” per alzarlo. Se volete avvertire qualcuno di non darvi fastidio, aspettate la terza volta prima di fare qualcosa».

Articolo a cura di Gabriele Anello

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