Sette motivi per vedere i Playoff NBA (spiegati a chi non capisce nulla di basket)
Cari amici che non capite niente di basket, vi introduco a una cosa migliore del sesso e della massoneria messi insieme: la National Basketball Association. Nello specifico: i Playoff NBA. Ovvero il torneo tra le migliori squadre del campionato americano di pallacanestro. Il torneo per vincere il Titolo, il torneo per vincere l’Anello; per ghermirli ed incatenarli, tutti. Non ci metteremo a scomodare partite o momenti del passato, avremo tempo per parlarne di quelli. Ci basta darvi qualche spunto dei playoff più moderni, che non mancano di stupire ed emozionare. Tranquilli, lo so che non ci capite un tubo, fidatevi di noi, vi accompagnamo per la mano.
1.
Nel basket il tempo scorre all’indietro, ma non nel senso che i giocatori ringiovaniscono o che i continenti si riavvicinano, semplicemente la regola del gioco vuole che tu faccia più punti dell’avversario entro lo scadere di un cronometro, questo è il basket. Nessun pareggio o robaccia simile, si va avanti cronometro dopo cronometro, finchè qualcuno non si porta a casa la baracca. Inoltre nel basket, al contrario del calcio, non si esulta per ogni punto fatto. Questo perchè di punti se ne fa tantissimi, e le energie dei giocatori non vanno sprecate correndo come invasati sotto la curva. Questo non vuol dire che tutti i canestri siano uguali, anzi, ogni canestro ha un suo preciso valore ed una sua differente fattura e bellezza. Alcuni canestri, sufficientemente rari da rendere il gioco una cosa bellissima, hanno un valore immenso, cambiano una stagione, cambiano una carriera, avvengono quando allo scadere del cronometro mancano pochi secondi, o addirittura 1 secondo, avvengono ai playoff, quando vincere significa andare sul tetto del mondo e perdere significa bruciare nel nulla. In quel secondo, tu giocatore, devi metterla dentro, il mondo ti guarda, la squadra ti guarda, tuo padre ti guarda, il pallone pesa un quintale, il tempo si ferma, 01.00, tira, 00.00.
2.
Come in una tragedia Shakespeariana, anche se con attori più tonici e in HD, il basket americano conta molti momenti drammatici e di pathos che tengono milioni di spettatori incollati ai loro schermi piatti. Ogni grande giocatore, come in un poema epico, vive momenti di gloria e cadute nell’ombra, la sua vita privata e professionale è un romanzo imprevedibile e magnifico, ogni partita è una nuova pagina o un nuovo episodio. Quando l’eroe cade nella polvere e perde la battaglia, la componente emotiva monta, le labbra tremano, il cuore batte, e non si vede l’ora che il gioco ricominci, perchè al contrario dei migliori telefilm, il protagonista potrebbe anche non tornare più.
3.
Proprio vi fa schifo lo sport? Il basket? Siete persone così meschine? Niente paura, intorno al campo, seduti tra il pubblico, ci sono i più grandi registi, attori, musicisti e personaggi viventi. Nel basket c’è il tempo effettivo, ovvero si interrompe ad ogni interruzione del gioco. E’ fatto apposta, così le telecamere possono andare a riprendere le vostre celebrità preferite. Certo, non tutte le squadre hanno questo privilegio, consigliamo la visione di New York Knicks e soprattutto dei Los Angeles Lakers, preferibilmente se giocano in casa. Credetemi, Jack Nicholson e Spike Lee farebbero impallidire i più facinorosi ultras nostrani.
4.
Se pensi che il basket sia soltanto il basket, non hai capito nulla. Il basket è come la guerra: l’avversario perde la sua umanità per diventare unicamente l’ostacolo che divide dalla gloria, e come in amore, sul campo da basket, tutto è concesso. Anche perdere la testa dopo aver perso la guerra. E poi le botte so sempre le botte.
5.
Nel basket, si crede, l’altezza sia una discriminante fondamentale. La ragione vorrebbe che più centimetri hai, più vicino sei ai 3,05 metri del canestro. Ecco: la ragione tenetela fuori da questo sport. Non è solo questione di centimetri o chili, è questione di quanto vuoi arrivare lì. La schiacciata ne è l’esempio migliore. E’ forse il gesto tecnico che più i tifosi amano ed è alla portata di tutti. Basta volerlo, basta saltare, anche se sei uno piccolo con la barba e davanti a te c’è un russo che si fa chiamare AK47.
6.
Essere, ci hanno insegnato sulla nostra pelle, non basta. Almeno, non basta più. I playoff NBA sono, ci mancherebbe. Hanno, è palese. Non gli basta, perché sanno che a voi non basta. Vi vogliono ghermire col verbo che va per la maggiore ultimamente: vendersi incrociandosi con la musica hip hop (che altro) e il cinema. Quindi meglio di un video di P-diddy, meglio di un film d’azione con l’ultimo Bruce Willis: le pubblicità dei playoff.
7.
Finora abbiamo esaltato i muscoli e la tensione distruttiva che muovono questo sport, ma non pensate che sia solo una questione di Thanathos: c’è spazio anche per l’amore, il piacere. Alla guerra si alternano, tra gli antagonisti, momenti di puro romanticismo, dove i sentimenti umani si pongono al di sopra delle bieche vicende del campo e trovano spazio episodi di grande amicizia e cordialità che daranno anche a noi spettatori un appagamento pieno, come le migliori epiche medievali.
Conclusione
«La NBA è uno show unico nel suo genere e può essere letto senza far riferimento a nessun altro show precedente o seguente; è un universo a sé in cui si può viaggiare in un lungo e in largo, entrare, uscire, perdercisi». — Italo Calvino su L’Orlando Furioso, da noi rivisitata.
Articolo a cura di Marco D’Ottavi e Valerio Coletta