Shinji Okazaki, quello con il 9 sulla schiena

Crampi Sportivi
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11 min readAug 12, 2015

Secondo la numerologia, il nome proprio di persona giapponese Shinji (慎司) rimanda al numero 9 e alla generosità. La volontà delle persone con questo nome sarebbe quella di donare agli altri un po’ di sé stessi. La loro caratteristica sta nell’esser generosi e aiutare il resto del mondo con la propria esperienza e conoscenza: persone piene d’empatia, di attenzione verso ciò che accade nel mondo attorno a sé. Tenetelo a mente.

Shinji è un nome che ha fatto storia nell’universo calcistico del Giappone. In principio fu Shinji Ono, l’avversario più forte che Wesley Sneijder abbia mai incontrato (parole sue), nonché un giocatore che avrebbe potuto esser il migliore della storia nipponica con qualche infortunio in meno. Dopo di lui, Shinji Kagawa ha fatto capire quanto il calcio giapponese potesse rappresentare una risorsa per il pallone mondiale. E poi è arrivato lui: in silenzio, lavorando sodo e segnando tanto. Lui è Shinji Okazaki, giocatore del Leicester City dall’estate 2015, per poco più di dieci milioni di euro.

Prima di questa stagione, chi non ha seguito con attenzione l’evolversi della Bundesliga degli ultimi anni non avrà potuto sapere chi è questo signore nato a Takarazuka (prefettura di Hyōgo). Zaki non è stato benedetto con qualche dote tecnica speciale: non ha la corsa devastante di Di Maria, il dribbling fulmineo di Messi o la “mina da lontano” di Cristiano Ronaldo. Eppure, oggi forse è il giocatore più importante della nazionale giapponese.

Un lungo viaggio

Dal Takigawa Gakuen di Kobe al King Power Stadium di Leicester, la strada è stata lunga. Preso dagli Shimizu S-Pulse nel 2005, Okazaki inizialmente gioca da centrocampista. Poi il manager Kenta Hasegawa capisce che vicino alla porta il suo rendimento è migliore e lo sposta davanti. Con lo Shimizu non vince nulla, ma la sua crescita è così netta da portarlo nella Top 11 della J-League 2009. È stato anche l’ultimo rappresentante del S-Pulse a giocare a un Mondiale (quello del 2010).

Nel triennio di maggior successo con lo Shimizu segna 37 gol: nel 2009, per l’IFFHS è lui il miglior attaccante a livello statistico nel mondo. Okazaki si fa riconoscere per uno stile d’attacco tutto suo: spesso realizza di testa, nonostante i soli 174 centimetri di altezza. Eppure in volo è devastante e ha un tempismo che i suoi difensori non sanno neanche dove sia. La tecnica di volo è talmente efficace che arriva persino a spiegarla in tv.

Evidentemente anche la J-League puntava su questo ragazzo di 23 anni.

Dopo la Coppa d’Asia del 2011, lo Stoccarda lo porta in Bundesliga. Dopo Kagawa, Uchida e Yano, è il quarto giapponese della spedizione del Mondiale 2010 ad arrivare in Germania: «Non sapevo nulla della Germania o della città, ma il sogno della mia vita era giocare in Europa». Il suo è un impatto discreto: nel primo anno e mezzo migliora costantemente e aiuta il club ad arrivare in Europa. Poi una pessima stagione in termini realizztivi — 42 partite giocate, quattro gol (di cui solo uno in Bundesliga) — lo spinge lontano da Stoccarda.

Bisogna ripartire da qualche altra parte. L’offerta del Mainz, in questo senso, è decisiva. Okazaki dirà qualche mese dopo: «Trasferirmi a Magonza è stato un dono del cielo». Decisivo è anche l’incontro con Thomas Tuchel, il tecnico della squadra. Okazaki si ritrova: torna a essere un centravanti, come ai tempi dello Shimizu. Zaki non delude le attese del suo allenatore. Alla prima giornata, segna subito contro gli ex compagni. E non è neanche un gol facile, ma è una rete in cui c’è tutto Shinji Okazaki.

Alla fine di questo straordinario biennio, Okazaki è stato uno dei giocatori più decisivi dell’intera Bundesliga. Il Mainz ha concluso le due stagioni al settimo e all’undicesimo posto. Okazaki ha segnato 29 gol in 70 presenze in tutte le competizioni e si è fatto conoscere in tutto il mondo. Ma non solo per ciò che ha fatto in Germania.

Lo straordinario 2013–14 di Shinji Okazaki con il Mainz.

Il miglior giocatore del Giappone (almeno per ora)

Se c’è un giocatore che rappresenta al meglio come il duro lavoro paghi nel calcio giapponese, è proprio il numero 9 della Nippon Daihyo. Chiamato prima dalla selezione olimpica per Pechino 2008, Okazaki ha debuttato con il Giappone un paio di mesi più tardi: fu Takeshi Okada, tecnico direi “sacro” nel panorama del Sol Levante, a credere in lui per primo. L’attaccante l’ha ripagato con un 2009 da 14 gol in 15 partite con i Blue Samurai.

Da lì, Okazaki si è preso un posto in squadra e non l’ha più ceduto. Tanti i gol segnati, ma parecchi pure quelli decisivi. Zaki realizza l’1–0 decisivo in Uzbekistan per qualificarsi al Mondiale nel giugno 2009. In questi anni ha impallinato (in ordine rigorosamente cronologico): Cile, Belgio, Danimarca, Argentina, Italia, Messico, ancora Belgio, Colombia e Australia. Di vittime eccellenti ce ne sono, di gol bellissimi anche.

Qualcuno per Okazaki ha scomodato paragoni pesanti in patria. C’è chi l’ha paragonato a Masashi Nakayama, storico primo marcatore giapponese a un Mondiale e gran colpitore di testa (anche lui). Nonostante fosse un personaggio unico, uno show-man e un bomber da 268 reti in attività fino a 45 anni, Gon Nakayama non ha mai avuto neanche una chance di fare la carriera che Okazaki sta mettendo insieme in Europa. Non è un caso che l’edizione asiatica di FourFourTwo abbia incoronato Okazaki come secondo miglior giocatore del continente asiatico dietro al sud-coreano Son Heung-Min.

Chissà se anche in Russia nel 2018 Okazaki sarà l’uomo di riferimento. C’è da dire che l’ultima esperienza in Brasile l’ha segnato. In quell’occasione, il Giappone uscì ai gironi:

«Perché non abbiamo reso come ci aspettavamo? Se lo sapessi… semplicemente non siamo stati bravi. Ci sono sempre squadre al Mondiale che non giocano benissimo, ma vincono comunque». E Okazaki c’entra il problema dell’intero movimento giapponese: «Dobbiamo sviluppare una mentalità da “vincere a tutti i costi”. Siamo stati troppo fragili».

Fantasia contro realtà

Chissà se in questo senso non gli possa venire incontro un numero 9 di fantasia. Il Giappone è una nazione che ha fatto passi da gigante in vent’anni nel calcio. Con la programmazione e un po’ di fortuna, è riuscita a produrre talenti come Nakata, Ono, Endo, Nakamura, Kagawa e Honda. Ma sono due i ruoli in cui il Sol Levante ha sempre latitato: la difesa centrale (compresi i portieri) e i centravanti.

Un destino comune a quello dei colleghi portoghesi, con cui condividono più legami di quanto si pensi. Eppure Zaki sembra proprio aver risolto questo problema. Lui non è il classico 9 di sfondamento, ma un centravanti che cerca la profondità. I suoi tagli nello spazio e i movimenti senza palla sono ciò che ne hanno fatto il terzo bomber di tutti i tempi per il Giappone (e Kazu Miura non è così lontano).

Viene quasi da fare un confronto (semi-serio) con l’altro 9 nipponico che l’immaginario culturale italiano ha profondamente radicato: Kojiro Hyuga, altrimenti conosciuto in Italia come Mark Lenders. Che secondo me è stato descritto benissimo non tanto dalle tante puntate di Holly & Benji su di lui, quanto da un rap di Max Fogli.

«Fanculo al doppio passo, fanculo alla rabona […] Gioco per la fame perché tengo il frigo vuoto […] Tifi per Holly, allenati con Harper, paragonami Sedinho con Jeff Turner». #truepoet

Manica arrotolata e infanzia difficile, Kojiro Hyuga cresce a pane, ignoranza e missili terra-aria. Ben altra formazione per Shinji Okazaki, cresciuto nel tranquillo ambiente di Shizuoka. Ok, Mark Lenders è effettivamente un fenomeno (almeno a livello immaginario: lo compra la Juventus) e ha il Raijuu Shot (tiro della tigre), ma se trova un Benji Price di turno non c’è niente da fare. Non segnerà mai (tanto che nel manga lo mandano in prestito alla Reggiana).

Vale come highlight reel?

Shinji Okazaki non l’hanno mai mandato in prestito da nessuna parte. Non ha il tiro della tigre, non ha un fisico da adone e neanche la chioma fluente del buon Kojiro. Tuttavia, ha tutte quelle doti che in un anime non si vedrebbero mai. Vi immaginate la gloria di Holly & Benji impostato tutto sui movimenti senza palla?

Lo stesso Okazaki ha provato a sottovalutarsi nella sua autobiografia: «Non ho né un gran talento, né la tecnica… sono lento e non sono neanche così bravo di testa». Eppure la sua grandezza nasce da allenamenti estenuanti, come quando nel 2007 si rivolse a Tatsuo Sugimoto. Ex campione nazionale dei 100 metri che ha partecipato alle Olimpiadi di Barcellona, Sugimoto ha seguito Okazaki, diventando il suo personal trainer: quest’incontro gli ha permesso di migliorare la sua coordinazione col pallone. Da lì, il suo work-rate ha potuto crescere incontrastato.

Certo, definirlo solo un giocatore di squadra è sbagliato. Shinji è in grado di segnare in vari modi.

Rovesciata

Tacco

Pallonetto in precario equilibrio

La specialità della casa: colpo di testa (IMPOSSIBILE)

La combo perfetta

C’è un motivo fondamentale per cui apprezzare la figura di questo piccolo bomber. Come detto, fisicamente e tecnicamente gli dei del calcio non gli hanno donato chissà quale patrimonio genetico. Ma lui è sostanzialmente la fusione di due giocatori che negli anni 2000 ha dimostrato come si può vivere una carriera da numero 9 in maniera diversa.

Shinji Okazaki ha qualcosa di Pippo Inzaghi: a volte segna dei gol così brutti che forse non ci sarebbe neanche da esultare (qui per poco non s’incarta). Ha un senso del gol straordinario, che lo fa stare sempre al posto giusto al momento più opportuno.

Tuttavia, se Shinji Okazaki fosse solo questo, avrebbe qualche problema a stare in campo. Avrebbe bisogno di una squadra al suo servizio, cosa che non gli è mai accaduta: è sempre stato lui a collaborare con i compagni e a mettersi a disposizione. E per farlo ha cambiato anche ruolo. Da centravanti o seconda punta nello Shimizu, con Zaccheroni ha iniziato a giocare da ala destra nel 4–2–3–1 del Giappone. Poi l’ha fatto anche a Stoccarda con Labbadia, ma a sinistra. Fino a farla diventare una seconda vocazione.

Tatticamente è bravissimo: Okazaki ha un’intelligenza straordinaria nello stare in campo e vedere esattamente cosa accadrà. Chissà che questo non faccia di lui un grande allenatore in futuro. Di sicuro ne fa l’erede ideale di Dirk Kuyt, forse il miglior trasformista che il mondo calcistico abbia proposto nell’ultimo decennio. Altro altruista del pallone, l’olandese è esploso come centravanti nel Feyenoord. Poi si è trasformato in ala ed è morto in nazionale come terzino.

Non auguro la stessa fine a Okazaki, ma sarebbe capace di farlo.

Anche in Giappone non conoscono più i confini tra i due.

Altri nove motivi per amare questo piccolo grande uomo

  1. È meglio di Messi e Cristiano Ronaldo (in nazionale)

Non solo: guardate i gol in nazionale. Cristiano Ronaldo è a quota 55 in 120 presenze (media-gol: 0.458 a partita), Messi ha realizzato 46 reti in 103 apparizioni (media-gol: 0.447). Okazaki? 43 marcature in 93 partite. Media-gol: 0.462. Di poco, ma è migliore.

Okazaki ha segnato questi gol in almeno tre competizioni ufficiali diverse tra loro (Mondiale, Confederations Cup e Coppa d’Asia). Per chi sta pensando che il frutto del suo score siano le reti in amichevole (forse è meglio leggersi i gol di Neymar col Brasile), si sbaglia: 23 delle 43 reti sono arrivate in competizioni ufficiali. Sono più della metà. E anche in amichevole, in ogni caso, ha segnato a squadre come Argentina e Belgio.

Curiosità finale: credo che Okazaki sia uno dei pochi giocatori ad aver segnato un gol ad almeno una squadra delle sei confederazioni che compongono la Fifa. Ha anche un gol all’attivo a un’apposita selezione J-League, realizzato in un’amichevole organizzata per beneficenza dopo il terribile tsunami che ha colpito la zona del Tōhoku l’11 marzo 2011.

Impeccabile anche qui.

2. Ha segnato in due Coppe d’Asia, una Confederations Cup e in due Mondiali

L’unico a riuscirci con lui è stato Keisuke Honda, che però ha segnato gli stessi gol di Zaki (otto pari) con l’aiuto dei calci di rigore. Insomma, Okazaki è il miglior marcatore della storia giapponese per importanza dei gol (non ce ne vogliano gli storici Miura e Kumamoto).

3. Perché a volte vale più del reparto offensivo di un’intera nazionale

Volete un paragone statistico curioso. Per farlo bastano pochi passi: a) prendete gli attaccanti che l’Italia ha convocato nelle ultime cinque competizioni internazionali giocate (le due Confederations Cup, i due Mondiali e l’Europeo 2012); b) mettete insieme i loro gol e presenze dal 2009, anno in cui Okazaki ha realizzato la prima rete con il Giappone; c) confrontate la somma italiana con quella del numero 9 nipponico.

4. Perché non si arrende mai

In una gara di J-League del 2010, mentre lui staccava di testa per il gol del 2–0, l’avversario gli rifilò una gomitata così forte da lacerargli la radice e staccargli due denti. Dopo dieci giorni, era di nuovo in campo con la solita voglia.

5. Perché è un simpaticone e si rende protagonista di commercials improbabili con quel pazzo di Nagatomo

6. È il miglior marcatore giapponese nella storia della Bundesliga

La sua avventura con il Mainz si è conclusa e quindi il suo bilancio è di 37 reti nel massimo campionato tedesco in quattro stagioni e mezzo. Shinji Kagawa è ancora a quota 26: dubito possa superarlo a breve per ruolo e incapacità di esser concreto.

7. Nel tempo libero fa questo a Pirlo e Montolivo

8. A volte fa cose che non hanno senso

9. È un che non dimentica le sue radici

Complici le vacanze da fine stagione, Okazaki è recentemente tornato a Shizuoka per assistere a una gara degli S-Pulse, oggi nei bassifondi della classifica. Sarà un caso, ma è stato un portafortuna: con lui all’IAI Stadium Nihondaira, la squadra ha vinto 5–2 contro il Kawasaki Frontale, una delle migliori squadre nipponiche).

Ora Okazaki è ripartito dall’Inghilterra. Storicamente i giapponesi in Premier League fanno una faticaccia. Chiedete a Junichi Inamoto o a Ryo Miyaichi, distrutti dalla gestione dell’Arsenal. Oppure a Tadanari Lee e Yoshikatsu Kawaguchi. Tuttavia, l’esordio di Shinji con il Leicester sta andando bene, nel caso non ve ne siate accorti, In ogni caso, Okazaki ha sempre detto che giocare in Premier era il suo sogno: il Leicester si era già mosso sia nell’esatate 2014 che nell’inverno scorso («Non è andata in porto perché avevo promesso al Mainz che sarei rimasto per salvarli»).

E qui torna la numerologia. Quel 9 torna perché Shinji fa il centravanti di mestiere (nonostante porti il 20 alle Foxes). E il trasferimento in Inghilterra l’ha probabilmente portato su quella famosa cloud nine che raramente un giocatore prova.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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