Signori, la rivoluzione l’ha fatta Aurelio De Laurentiis

Armando Fico
Crampi Sportivi

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Sono entrati in scena lontani e saparati. Si sono toccati, separati e toccati ancora; poi una giravolta su se stessi, presi sottobraccio, “suonato” parole tambureggianti e ammalianti… infine lasciati definitivamente. Nel mezzo qualche strana contorsione, che tutto era fuorché un tentativo più o meno estremo di afferrarsi un’ultima volta.

Ci risiamo: come accaduto con Mazzarri, Benitez, Lavezzi, Cavani e Higuain, anche con Sarri Aurelio De Laurentiis aveva iniziato a ballare la sua solita tarantella.

Una sequenza ormai scientemente applicata di parole e atteggiamenti che con estrema efficienza, tra un trillo e l’altro di proclami e triccheballacche, era palese avrebbe portato all’addio dell’allenatore toscano. Anzi, quella del patron azzurro si potrebbe bonariamente persino definire una strategia della tensione, che anno dopo anno ha fatto sì che — per i più vari e imponderabili fattori — i sopracitati venissero bollati come “traditori”, “fedifraghi” o “fuggiaschi” che guardavano già oltre Napoli, la sua tifoseria e la bellissima città che così bene li aveva accolti.

Di rimando, era ADL — nonostante fosse stato chiaramente parte attiva della rottura — ad apparire come garante del progetto, risolutore e salvatore della patria, piegando a proprio vantaggio alcuni dei tratti salienti della cultura del tifo partenopeo: la rincorsa al gossip e ai retroscena, gli annunci che fanno battere il cuore e divampare l’entusiasmo, colpi di scena annunciati e sospesi che tengono in tensione per giorni e giorni la piazza azzurra.

Sì, Aurelio ci era sempre riuscito a portare dalla sua parte i tifosi, o almeno la stragrande maggioranza di essi, ma con Maurizio Sarri ha dovuto fare un passo indietro e modificare la sua strategia, tanto era sbilanciato a suo sfavore il rapporto di forza con l’ormai ex tecnico del Napoli. Osannato dai tifosi, stimato per il suo gioco, rispettato dallo spogliatoio, sostenuto da risultati incredibili (almeno in campionato) per tre anni di fila, Sarri era assurto a pietra angolare del progetto stesso. Ma non solo: è stato sempre Sarri a metterci la faccia quando serviva, riempiendo di fatto con la sua presenza e il suo vocione brucato a quell’atavico vuoto istituzionale del Napoli-società.

Un monolite solo in apparenza inscalfibile

Era il Sarrismo che si propagava, e pian piano pervadeva tutto l’ambiente azzurro fintanto che è tutt’ora impossibile capire dove inizia l’uno e finisce l’altro: a partire dall’inizio dello scorso campionato, la simbiosi è stata pressoché totale. Chiamiamola pure affinità elettiva, ma il Sarrismo ha attecchito a Napoli come un’alchimia e contemporaneamente ha svilito le vanità di un presidente costringendolo in un cono d’ombra come mai prima era capitato.

Era il Sarrismo, era la rivoluzione che muoveva “fino al Palazzo”.

Era, appunto. Perché l’assalto al Palazzo è fallito e, quando una rivoluzione fallisce, finisce allo stesso tempo, riducendosi confusamente a fare da anticamera alla restaurazione. Aurelio De Laurentiis non ha fatto altro che aspettare la caduta del Sarrismo, e cioè la manifestazione dei primi tentennamenti del tecnico a fronte di alcune sue timide e incoraggianti aperture, per avanzare la sua controrivoluzione.

La risposta è stata rapida, eclatante, eccezionale al punto tale da disorientare chiunque: a 86 ore da Napoli-Crotone, dagli inchini di Sarri alla curva, con il toscano ancora sotto contratto, ADL annuncia Carlo Ancelotti come nuovo tecnico del Napoli e scarica poco prima lo stesso Sarri con un tweet. In altre parole, un colpo di mano in piena regola, se si considera che allo stato attuale Sarri è ancora di fatto sotto contratto col Napoli.

E infatti…

Contestualmente all’arrivo di Carletto, i nomi di calciatori che iniziano a circolare sono da capogiro per una piazza come Napoli: Vidal, Benzama, Di Maria, David Luiz, Boateng sono una vertigine cui nessun tifoso si era mai proteso, nemmeno nei suoi sogni più segreti. Un uno-due micidiale, che fa uscire dall’angolo ADL e rende inspiegabili i dubbi e le scelte del Comandante Sarri, ora sì, un uomo solo, costrettosi a un esilio volontario che fa discutere.

Nel momento più difficile della sua presidenza, quindi, Aurelio De Laurentiis ha completamente ribaltato la scena e stravolto il solito copione, dimostrando un’inaspettata lucida versatilità nell’agire. Ancora una volta mattatore indiscusso, la sua capacità di rottura degli schemi e delle posizioni consolidate, propria solo dei grandi uomini d’affari, è stata strabiliante. La risolutezza e l’efficacia con cui ha affrontato poi l’intera vicenda aggiunge altri dettagli ed evidenzia altre sfumature del suo essere presidente: vulcanico, sopra le righe, a volte fanfarone, ma anche micidiale calcolatore, cinico e spietato. Pronto persino a inimicarsi l’intera piazza, deluderla, dilaniarla emotivamente con distacchi dolorosissimi anno dopo anno, ma sempre capace di grandi riavvicinamenti e nuovi (folli) innamoramenti.

Per mettere il tutto in prospettiva, ecco.

De Laurentiis ha capito — da un uomo di cinema era d’altronde prevedibile — che il mondo del calcio ha bisogno di storie da raccontare per alimentare il suo business: anzi, le storie stesse sono il business, con tutte le loro paradossali trame e sottotrame in cui tifosi, giornalisti e addetti ai lavori vogliono essere e sentirsi protagonisti. E proprio come un film ADL è uno di quelli che di storie ne crea e ricrea a piacimento, squisitamente ad uso e consumo del pubblico del pallone italiano e campano.

Al di là degli attori, il protagonista è sempre lui

Un uomo di rottura, quindi, nell’apparenza come nella sostanza, ma anche cinicamente gattopardiano e per questo molto più funzionale all’establishment di quanto non sembri. Un esempio paradigmatico? Le sue invocazioni per uno svecchiamento della Serie A a fronte dell’appoggio incondizionato a Tavecchio.

Coerente con le sue azioni è di sicuro il suo modello di management, fortemente proteso alla profittabilità a discapito di alcuni interventi (quelli sulle strutture, per dirne una) che — almeno secondo la sua opinione — non aggiungono valore e non creano plusvalenze: non è infatti un caso che il Napoli non abbia ancora un centro sportivo di proprietà e il settore giovanile sia decisamente ai margini del progetto di De Laurentiis (nonostante anche qui una vantata Scugnizzeria che non ha mai visto la luce).

È il “Modello De Laurentiis”, fatto di prendere o lasciare, di testacoda e avvitamenti contraddittori, ma che ha prodotto sin qui dei risultati apprezzabili dentro e fuori dal campo, e che per questo non ha avuto bisogno sinora di cambi di rotta. Tranne che con Sarri, dove per la prima volta De Laurentiis ha dovuto rivedere i suoi metodi e piegarsi alla necessità di un rilancio immediato — e in grande stile — sotto le pressioni ambientali e sportive della piazza partenopea.

Flessibile, ma anche rigidamente risoluto e proattivo, De Laurentiis ha mostrato un’eccellente capacità di problem solving, propria dei grandi uomini d’affari, che (paradosso dei paradossi) dovrebbe far dormire sonni tranquilli ai tifosi partenopei. Era successo già con Benitez, chiamato a sostituire un altro allenatore verace come Walter Mazzarri, ma con Ancelotti la posta in gioco è molto più alta e il margine di errore risicatissimo.

Solo il tempo ci dirà se la sua sarà una scommessa vinta oppure persa, ciò che invece è sicuro è che Aurelio De Laurentiis troverà comunque il modo di stupire ancora una volta, persino rivoluzionando il suo stesso modo di essere presidente. Di fatto, ha già dimostrato di saperlo fare…

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