So. E ho le prove

Simone Nebbia
Crampi Sportivi
Published in
3 min readJul 14, 2017

12ª tappa — 13 luglio
Pau > Peyragudes 214,5 km
Vincitore: Romain Bardet
Leader: Fabio Aru

E io non l’ho visto. Mi sono annoiato per giorni a veder passare i chilometri in pianura come fedeli a prendere la comunione, con la stessa sensazione di aver già visto la scena e che tutto sommato l’enfasi dell’evento fosse un tantino sopravvalutata. E invece mi dovreste vedere mentre cerco informazioni, mentre chiedo agli amici, ai colleghi, mentre mi connetto a cercare video in diverse lingue che mi sappiano dare solo una delle emozioni che oggi ha saputo sputare sull’asfalto di Peyragudes Fabio Aru, prima di stamparsi quel sorriso che così bene si intona con la prima maglia gialla della carriera. Non l’ho visto, ho trovato giusto un’immagine al ritorno di fronte al mondo che aveva comunicato già prima che io arrivassi, aveva impresso in mente, incorniciato nei social network, la sensazione di trovarlo su quel podio prima di una speranza parigina ancora lunga da venire. Eppure come questa, questa qui tra i Pirenei, troppo breve da dimenticare.

E io, io non l’ho visto. Marcare Chris Froome in un modo talmente asfissiante da seguirlo anche quando il britannico ha pensato bene di fermarsi a bere qualcosa con i camperisti sul prato al termine della discesa del Port de Balès, poco prima di iniziare a salire verso il celebre Col de Peyresourde che lo scorso anno fu proprio per Froome un trampolino verso il traguardo finale. Non l’ho visto spuntare tra gli uomini del Team Sky a cercare il buco per vedere la strada, mentre attorno cercava maglie Astana sempre più diradate dalla durezza del percorso. Non l’ho visto quel colpo a effetto come le ruote fossero su un tavolo da biliardo, andar via quel tanto che basta per far vedere in ripresa frontale le spalle ferme dell’uno che va su in maglia tricolore e le spalle contratte, ciondolanti, di uno che invece non si aspettava di salire a zig zag gli ultimi metri di una corsa che aveva tutto per dominare.

Non l’ho visto, signori della corte. Non ho visto il Tour di ieri e lo racconto con il pathos di uno che invece ne godeva in diretta. Posso farlo perché ho visto Marco Pantani sul Galibier e Claudio Chiappucci a Sestriere, ho letto di Federico Bahamontes a Puy-de-Dôme e di Charly Gaul ad Aix-les-Bains, visto le immagini di Laurent Fignon sull’Alpe d’Huez (e la faccia sorniona di Greg Lemond che già sapeva…), saltato come un grillo sulle spalle di Vincenzo Nibali il giorno che se n’è andato per direttissima dal Tourmalet all’Hautacam. Non l’ho visto ma so che Fabio Aru questo Tour de France a distacchi minimi lo può correre colpendo Froome ai fianchi ogni volta che la strada prenderà a salire, ogni volta che servirà di mettere la testa bassa e le spalle dritte, non l’ho visto ma so — e ho le prove — perché sul volto sorridente che ho trovato appena finita la corsa c’è il tratto inconfondibile di chi la strada la sa pure se non la vede ancora. Proprio come me che ho realizzato solo dopo che la tappa, alla fine, l’ha vinta Romain Bardet.

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