Sostiene Ronaldo. Lieve analisi di un Portogallo incompiuto

Crampi Sportivi
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4 min readJun 22, 2016

Dicono che in Portogallo ci siano 3000 ore di sole all’anno.

È nel lucido sogno mediterraneo di questo paese che l’immaginario comune ritrova quanto più si avvicina alla poesia calcistica del Brasile, potendolo scorgere con un po’ di fantasia affacciato più in basso sulla sponda opposta dell’Atlantico. Il ritmo e il calore sono quelli; sono i risultati a preoccupare.

Sostiene Ronaldo di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava.

Chi può sapere se davvero brillava il sole il giorno in cui Cristiano Ronaldo e Luìs Figo si sono trovati per la prima volta compagni di nazionale. I due campioni simbolo degli ultimi vent’anni della Selecao dal Quinas sono in qualche modo legati da un agrodolce filo comunicante che narra di storia e di geografia. I luoghi raccontano di un Cristiano nato a Funchal, capoluogo della regione autonoma di Madera e di un Luìs che quel Madera (Madeira in portoghese) lo porta stretto nel nome.

Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro è uno dei giocatori che ha rivoluzionato il modo di intendere il calcio moderno fatto di 4–2–3–1, tecnica supersonica, spavalderia e muscoli rigorosamente glabri. Luis Filipe Madeira Caeiro ha cavalcato con classe sopraffina il passaggio dai ’90 ai 2000. disegnando felpatissimi paso doble e traiettorie dolcissime con cui ha sbeffeggiato i terzini avversari lungo le fasce di tutto il globo.

Schierato titolare contro l’Islanda nella partita d’esordio del Portogallo a UEFA EURO 2016, Cristiano Ronaldo ha collezionato la 127esima presenza in nazionale eguagliando il record che apparteneva proprio a Luís Figo. Statistiche e storia.

Affiancati prima dai vari Rui Costa, Costinha, Deco, Nuno Gomes, Vitor Baia e Pauleta, Ricardo Quaresma, Ricardo Carvalho e Nani poi, dopo la geografia è la storia della nazionale che abbraccia Cristiano e Luìs in un destino analogo: entrambi punte di diamante di squadre promettenti e di talento, ma incapaci di vincere.

La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro.

Giusto. Ma forse prima del futuro è meglio occuparsi del presente: Ronaldo ha appena vinto la Champions League e sarà arrivato carichissimo all’Europeo, con l’intenzione di caricarsi una nazione sulle spalle nonostante qualche acciacco fisico. Pronti, via e il Portogallo non riesce però a rompere il ghiaccio islandese all’esordio europeo, fucilato dall’efficace polpaccione di Bjarnason dopo essersi rilassato troppo sulle gambe in seguito al vantaggio di Nani.

Dopo la partita, CR7 ci ha tenuto a far sapere che l’Islanda nei suoi pensieri è una squadra di dopolavoristi, ricevendo per altro una bella reprimenda da quasi tutto il mondo calcistico.

Ecco che allora, ancora una volta, riemerge puntuale il nemico più grande, ossia la facilità con cui quel mix di forza e bel gioco si abbandona a un senso d’incompiutezza.

Lo spettro dell’eterna delusione torna ad aleggiare sulle teste dei portoghesi. Manca la concretezza finale, che galleggiando nella lieve differenza tra sfortuna e imprecisione non permette di coronare con i risultati un gioco spesso piacevole e arrembante.

E sì che nel 2004 Luìs e Cristiano erano quasi riusciti ad alzare assieme la prima storica coppa, prima che l’incornata prepotente di Angelos Charisteas e il muro eretto da Antōnīs Nikopolidīs (il George Clooney ellenico), distruggessero un cammino di fatiche a un passo dal sogno di vincere un europeo in casa.

Nessun problema: l’esordio all’Europeo quest’anno non è stato facile per molte squadre. Può succedere. Ronaldo con la solita fastidiosa arroganza gioca di rimessa e attira l’attenzione su di sé (perché in fondo gli piace) con dichiarazioni discutibili riguardanti il risultato ottenuto dall’Islanda nella prima partita, poi seguite da screzi con i reporter portoghesi presenti in Francia (compresi lanci di microfono).

Con l’Austria però il copione si ripete e, tutto sommato, va anche peggio. Da un lato, un attacco che farebbe la felicità del videogamer medio — composto dal tridente fantasia in cui un redivivo Nani, mister trivela Quaresma e Ronaldo (che supera definitivamente Figo con la 128esima presenza) — non danno punti di riferimento.

Dall’altro, il pragmatismo austriaco viene supportato da quell’angry bird di Marko Arnautovic e dalle meches chiare del povero Alaba, vero e proprio jolly al servizio del calcio (schierato questa volta trequartista avanzato nel 4–2–3–1 di Marcel Koller).

Il Portogallo è veloce, gioca di finezza. Le geometrie di Moutinho e André Gomes assieme ai palloni recuperati (quanti) da uno straripante William Carvalho facilitano le scorribande dei tre là davanti. Almer chiude su Nani. Ronaldo sbaglia un gol alla sua portata. Palo di Nani. L’Austria regge e risponde creando scompiglio nell’area avversaria, il Portogallo ringrazia Vieirinha.

Nella ripresa Ronaldo si sveglia, ma trova un grande Almer e soprattutto quel palo maledetto su rigore. Gli dèi hanno tifato ancora Islanda e forse anche l’avvertimento di Hafþór Björnsson (la Montagna del Trono di Spade) ci ha messo del suo con un po’ di ritardo.

Il Portogallo stecca di nuovo, anche se le statistiche delle due prime partite di questo europeo parlano sembrano parlare di un’altro mondo: 89% di passaggi completati (l’Italia ha il 78%), un possesso palla che si aggira sul 62% (l’Italia ha 47%) e prima posizione in classifica grazie ai 50 attempts (attacchi) creati nelle due partite con una media di 24 shots per game (l’Italia ne conta 10). Dati alla mano, non è follia pensare al Portogallo come una delle squadre migliori della competizione.

Statistiche aggiornate al termine della seconda giornata degli Europei.

Sembra allora si tratti proprio di una maledizione. Austria, Ungheria e Islanda non conoscono i giorni di sole del Portogallo. L’Ungheria, che sembra non morire mai, aspetta al varco ma una vittoria portoghese garantirebbe il passaggio agli ottavi per provare a smentire storia e sfortune.

Sarà difficile: servirà una gara di finalizzazione senza tacchi e fronzoli, perché per accontentare i tifosi portoghesi probabilmente non basterà il bel gesto di un autoscatto con un invasore finita la battaglia. Il sogno portoghese rischia ancora una volta di cadere, ma chissà cosa può succedere quando si tratta di corsa e di cuore.

Le ragioni del cuore sono le più importanti, bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io.

Articolo a cura di Mattia Polimeni

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