Sulle spalle di Andrew Bogut

Crampi Sportivi
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4 min readAug 12, 2016

Il centro australiano Andrew Bogut è finito ai margini del progetto Golden State e giocherà a Dallas nella prossima stagione, ma in questo inizio di Olimpiade sta dimostrando a che notevole punto sia arrivata la sua maturità cestistica.

Bogut sta dispensando Basket.

Bogut non corre quando non serve

La velocità di pensiero è più importante della velocità di gamba. Questa la lezione che Andrew ha dato nelle prime partite di queste Olimpiadi. Lui spesso non corre, cammina. Mentre tutto intorno a lui si muove a una velocità supersonica, come nel caso della partita contro gli USA, lui mantiene un’invidiabile calma. Non è mancanza di voglia, è che spesso non c’è bisogno di sbattersi più di tanto, se sai esattamente dove posizionarti. Non corre verso la partita, è la partita che corre verso di lui. E lui è pronto ad accoglierla, con la calma del saggio.

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Bogut sa già che Lowry sfrutterà il blocco per andare sulla linea di fondo, per questo non si agita, lo aspetta. E poi manda la sua conclusione sugli spalti.

A Bogut non basta fare il centro

Il ruolo di centro, a un Andrew Bogut che sta percorrendo il sentiero del Dharma cestistico in maniera abbastanza spedita, sta stretto. Per questo sta esplorando dei ruoli nuovi, ad esempio quello del playmaker. La sua capacità di regalare cioccolatini pronti da scartare ai compagni è nota da tempo. L’Australia però è la sua squadra, i compagni di nazionale lo venerano come se fosse il loro totem, perciò lui ha pensato bene di dedicare ampie porzioni della sua partita al playmaking. Con risultati strabilianti.

Quello che corre in palleggio guidando la transizione e poi consegna al compagno libero un assist con passaggio schiacciato a una mano è Bogut. 2,13 cm x 118 kg.

14 assist nelle prime 3 partite del torneo, più una serie di passaggi illuminanti di cui non c’è traccia negli scout delle partite. A momenti sembra un pass-first-centre. Quanti altri ne conoscete? Non tanti, immaginiamo.

Anche Bogut ha bisogno del suo “Robin”

Andrew in versione supereroe, ha comunque bisogno del suo Robin e lo ha trovato in Matthew Dellavedova. Il giocatore ex Cleveland sta mettendo in campo un mix di dedizione, talento e cojones che non può che farvi innamorare. Ieri per lui 11 punti col 63% al tiro, 11 assist e 6 rimbalzi. Contro gli Stati Uniti, in una partita tirata fino alla fine. Not bad.

L’intesa fra questi due giocatori trascende il tempo passato ad allenarsi insieme o le partite a briscola sull’aereo della squadra, è qualcosa di più profondo. Matthew non è Stockton, ma è in grado di tenere sempre sotto controllo la posizione in campo di Andrew. Sceglie allora se consegnare il pallone al compagno lasciandogli spazio di creare, oppure se premiare un suo taglio a canestro. Come detto, Bogut non ama correre troppo. Però, se vede una strada libera, la percorre. E Delly è pronto a premiare i suoi sforzi.

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Livello di intesa: separati alla nascita

Cleveland e Golden State si sono affrontate nelle ultime due edizioni delle Finals NBA e i due compagni di nazionale si sono quindi trovati l’uno contro l’altro. Entrambi hanno vinto l’anello (Bogut nel 2015, Delly nel 2016), ma per i due australiani non c’è stato tanto spazio nelle Finali 2016. Il rimanere ai margini probabilmente ha contribuito a fargli sviluppare un comune sentimento di rivalsa. Non vedevano l’ora di essere fianco a fianco contro il Team USA, contro l’NBA insomma, per fargliela vedere. E gliel’hanno fatta vedere eccome.

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Bogut in versione fratello maggiore. Elogia Dellavedova, lo prende anche un po’ in giro, poi dice di essere orgoglioso di lui. Non sono bellissimi?

Bogut non vuole solo partecipare

Andrew Bogut vuole vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Non perché abbia il desiderio di essere sotto i riflettori o di entrare nella Storia, ma perché è arrivato alla consapevolezza che la sua squadra può farcela. Allo stesso modo la pensa coach Andrej Lemanis, l’artefice di questo splendido gruppo, colui che ha dato i mezzi tattici e la convinzione giusta ai Boomers per far sì che potessero giocarsi una partita alla pari contro la squadra più forte del mondo. Anche Patty Mills (quasi 26 punti di media a partita fino ad ora) in tempi non sospetti ha dichiarato che l’Australia avrebbe avuto tutte le carte in regola per stupire.

Bogut sa di poter guidare questa squadra fino alla vittoria. Lo dimostrano le sue parole dopo la sconfitta contro gli Stati Uniti.

“We had every opportunity to push that game… we still lost the game, it doesn’t mean anything,”.

“I know people are proud of us an we’re not supposed to beat these guys … but we believe we can beat them and we lost the game.”

Un altro tipo di leader avrebbe passato il post-partita a incensare la prestazione dell’Australia, perché ha messo alle corde un gigante come il Team USA. Bogut, invece, si sofferma sul fatto che l’Australia ha avuto la reale possibilità di vincerla e non ce l’ha fatta. Non fosse stato per le triple di Anthony e Irving sul finale, forse staremmo parlando di un trionfo storico per gli australiani.

Ti accorgi che a Bogut importa davvero di una partita quando spende dei falli di questo genere.

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Kyrie Irving sbatte contro il totem australiano, sentendo tutta la durezza delle sue convinzioni. La squadra ha seguito l’esempio di Andrew, piazzando molti blocchi spigolosi e regalando agli iper-protetti (in NBA) giocatori del Team Usa una sana lezione di basket old school.

Qualcuno si è anche lamentato della condotta australiana. A noi spettatori di certo un po’ di gioco duro non dispiace, anche perché fa parte del DNA di questa nazionale, che non molla mai un centimetro, che non nega mai un aiuto in difesa e non scappa mai di fronte a una penetrazione avversaria. Non ci resta che sperare in un rematch fra le due squadre. I Boomers di Andrew Bogut non aspettano altro.

Articolo a cura di Andrea Gaetani

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