Tania, la mia compagna di scuola

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
3 min readAug 8, 2016

di Simone Vacatello

A ridosso di Atlanta ’96, in un pomeriggio di inizio estate, sfogliavo un giornalino per ragazzi che oltre ai fumetti poteva vantare una rubrica sportiva dalla qualità desueta. Gli editorialisti che questa rivista poteva permettersi portavano le firme di Paolo Maldini, Gian Paolo Ormezzano, Giacinto Facchetti. L’intervista di quel mese era dedicata a una ragazzina nata nel 1985, come me, che appariva in foto assieme ai suoi genitori, entrambi ex tuffatori di livello. Lo so perché mio papà me ne diede conferma, quando gli chiesi chi fosse Giorgio Cagnotto.

«Che bravo che era, Giorgio Cagnotto — mi disse papà — peccato ci fosse sempre Klaus Dibiasi a farlo arrivare sempre secondo».

«Ha una figlia della mia età che dicono diventerà bravissima»

«Eh, ma è presto per dirlo, sai quanti figli importanti non arrivano mai all’altezza dei padri», chiosò mio padre, in quel momento evidente emissario posseduto di Crono mangiafigli.

Da quel momento per me tifare per Tania fu una questione di vita o di morte, di solidarietà generazionale, come se fosse una compagna di scuola. Negli anni le ho visto vincere 34 ori, 14 argenti e 12 bronzi, tra europei e mondiali giovanili e professionistici. Eppure in quattro Olimpiadi, nonostante il sostegno senza quartiere, era mancata la gioia di una medaglia.

Mentre Tania si batteva a Sydney, nel 2000, la classe di quindicenni dell’85 si godeva l’ultimo anno di innocenza prima del risveglio traumatico che fu il G8 di Genova, l’anno successivo.

Quando arrivava ottava ad Atene nel 2004, suo peggior risultato di sempre, ci preparavamo ad affrontare un’università riformata che ci avrebbe fatto perdere secondi preziosi dopo il fischio dell’arbitro, rendendo l’impatto con l’acqua più doloroso del previsto.

Di conseguenza quando a Londra, nel 2012, perse il podio per 20 centesimi di punto abbiamo partecipato con fin troppa empatia a quella sensazione di performance all’altezza, ma con quel difetto numerico che ti fa mangiare le mani. L’empatia, tra Tania e la mia generazione, da allora è diventato qualcosa di più del pensiero di aver condiviso un banco di scuola virtuale.

Poi finalmente in una sera d’agosto da trentenni — con Klaus Dibiasi giudice di gara -, l’argento, il riscatto, vent’anni dopo quell’intervista con cui me la presentarono. E, cosa che lo ha reso ancora più speciale, un trionfo giunto per la sincronia con Francesca Dallapè, classe 1986, coetanea.

E ancora, una settimana dopo, bronzo, da sola. Terzo posto, alle spalle di una doppia rappresentanza di una nuova generazione di atlete cinesi. Più giovani, meno emotive, esseri mitologici metà cavallucci marini e metà Terminator II, gente che nella propria disciplina trova una facilità di realizzazione che potrebbe essere definita prenatale.

Sono le nuove generazioni, Tania. Tocca accettarlo, forse il problema è stato proprio far parte di una leva di passaggio, un filo più umana nel senso di imperfetta, nel senso di astralmente più legata alla fatica. Se così fosse la tua parte nel riscattare la nostra classe l’hai fatta alla grande.

Se fosse un segno, e non solo retorica, se si potesse conquistare anche solo un bronzo mentre dietro i ragazzini (giustamente) scalpitano, ma soprattutto hanno bisogno di guide consapevoli, e se un po’ di quell’empatia generazionale tornasse in circolo, sarebbe bello prepararsi a festeggiare ben più di un argento e un bronzo.

--

--