Tappa e Maglia
Tappa 9 — Montenero di Bisaccia> Blockhaus, 139 km
Vincitore: Nairo Quintana
Leader: Nairo Quintana
Quel giorno in cui arrivano le montagne ti alzi sempre con un po’ di frenesia, tutto quello che accade non ti interessa, sai insomma quanto poco sarà importante, quella telefonata in cui ti ricordi al volo la festa della mamma, cosa ti mangi a colazione ché tanto non devi correre tu, qualche minuto di vantaggio di un gruppetto sui migliori, nulla, nulla che valga la pena di ricordare non appena la strada si piega nella cartina immobile sulla scrivania, di fianco alla diretta che manda l’elicottero in loop e qualche pillola di storia, interviste, tutto quanto cerca di aggirare l’attesa, tenerti le gambe in pianura con la testa che già vaga tra le poche nuvole del Blockhaus.
Lo so, tutti lì a pensare che le montagne devono stare al nord e il mare a sud, ché se invece di stare sulle Alpi siamo semplicemente in provincia di Chieti non è la stessa cosa, ma vallo a dire a Eddie Merckx che nel 1967 ci ha lasciato qualcosa più di un aritmia, pestando pedali in cima alla salita. Era arrivato qui con 22 anni e una fama di velocista, chi se lo aspettava a dominare questo massiccio della Majella? Un massiccio è fatto di sassi, gli stessi che avrà pensato di avere sulla schiena, il Cannibale, solo cinque anni dopo, quando José Manuel Fuente lo lasciò indietro per andargli a strappare la maglia rosa (ma durò poco, in effetti, tre giorni appena). Poi nel 2009 ci arrivò una minitappa da Chieti, in rosa c’era e ci rimase Menchov, ma in vetta, a grande sorpresa, in montagna apparve un “delfino” (!). E infatti l’UCI non ci ha creduto, assegnando poi la vittoria a Garzelli per la squalifica doping. E oggi? Oggi non ci arriviamo sopra i 2000, oggi l’altimetro porta 1674 e siamo sull’altro versante. Sì quel ciclismo non è lo stesso, altro tempo quello del mito, questo è il tempo degli uomini. E va bene. Ma una cima piena di sassi sembra fatta apposta per crearne uno, prima uomo, poi, scalatore. Perché la storia è ciclica, ma certe volte pure ciclistica.
Da quanto non vince un italiano? Alla nona tappa, bisogna risalire all’anno scorso, quando Nibali iniziava la scalata per andare a vincere il Giro 2016, mentre Kruijswijk soffriva i tagli del ghiaccio, sconfinando primo sul traguardo francese di Risoul. Neanche Garzelli, in ricognizione, ce l’ha fatta. Fermo a 3 km dall’arrivo, in mezzo alla neve, se ne va di schiena alla telecamera, bicicletta in spalla. Perché qui si fa sul serio. c’è un dislivello di più di mille metri, mica uno scherzo. Landa e Thomas vanno a terra, tutta la Sky ci finisce. Ma la salita non è ancora cominciata. Il premio, dopo l’attesa, è la bagarre: Nairo Quintana stacca Nibali e Pinot, stacca Garzelli con la bici sulla schiena, lascia in poltrona Eddie Merckx, inchioda Fuente in un vecchio jpg, le scritte sull’asfalto, le borracce a lato strada, la fatica dei velocisti, lontani, molto lontani in appena 10 chilometri. Perché spezza le gambe questo Blockhaus, a tutti tranne che a uno: sorride o soffre, non si sa, ma si prende tappa e maglia, tutto quel che c’era, tutto quello che doveva accadere. Chissà che ha mangiato a colazione. Chissà se tra uno scatto e l’altro li ha fatti, Quintana, gli auguri a mamma.