The Dark Side of de Boer
Quel ticchettio di macchina da scrivere, tasti rapidissimi e ritorni continui del carrello su sé stesso, il rullo che si svolge e arriva in fondo, poi si volta e torna al punto di partenza, non inciampa se non in qualche parola difficile, i tasti procedono senza quasi sosta, compongono linee di pensiero, di parole, di senso. È in quel minuto iniziale di The Dark Side Of The Moon, capolavoro firmato Pink Floyd del 1973, che la sperimentazione musicale del gruppo britannico diventava esemplare.
Ora, il nostro cervello lavora spesso su associazioni, derivate nella maggior parte dei casi da suggestioni che si producono su piani paralleli o sovrapposti, dal mescolamento di tempo e di conoscenza. E allora, poniamo che uno la mattina si svegli pronunciando il nobile titolo di quel disco, ma invece di prendere la strada solita svolti a gomito all’ultimo e cambi rotta, è possibile fermare quel corso deviato ormai degli eventi? Insomma cosa verrebbe fuori a vedere giocare l’Inter di Frank de Boer mentre scorrono le tracce di questo disco capolavoro?
Speak To Me
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È così che il ticchettare dei tasti inizia a prodursi in una sequenza simile a quella dei passi di Gary Medel sulla mediana, coprire spazi sulla pagina riempita di caratteri in ogni direzione del foglio, coprire spazi diagonali in ogni direzione di passaggio, fermare ogni pallone che voglia uscire dalla gabbia diagonale e via tornare, ogni volta, ad impostare sul rigo successivo. Nel brano, brevilineo come Medel, c’è una risata nascosta, la fanno tutti a guardarlo correre, quando pensano: ma questo è un giocatore di calcio? Sì, lo è.
Breathe (In The Air)
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Aria. Dall’impostazione più rude, pragmatica, lasciare la palla ai piedi di Éver Banega ha qualcosa che rimanda a un respiro rilassato, quella carezza di suola che lo sposta verso il centro del campo ha il tono di un’apertura sconfinata, potrebbe andare ovunque quel pallone, potrebbe lanciare, potrebbe scambiare corto, limitarsi a tenerlo un po’, giusto proprio il tempo di far respirare la squadra che si dispone come il mantice di una fisarmonica, si allarga, prende spazio, prende fiato per…
On The Run
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…la corsa, un loop di gambe e movimenti in sequenza, una continuità che solo chi sa abitare la fascia del campo è in grado di comprendere: contemplare il limite laterale non inibisce ma libera la decisione verso una sola direzione, come una gabbia attorno si pone la geometria delle linee, esplode l’energia in avanti la corsa di Antonio Candreva.
Time
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Tempo. Stritolano suoni di sveglia, contrastano un’azione ragionata, ci vuole qualcuno che sappia farsi carico del pallone e ragionare, ci vuole qualcuno che abbia idee e il passo per realizzarle, ci vuole qualcuno che batta il tempo, se poi è anche portoghese di ritmo se ne intende, João Mário, mette il metronomo dove serve e lo lascia andare, costante, mentre attorno gli altri fanno viaggiare assoli e cori lui si àncora a una fede metodica e non tradisce il centrocampo.
The Great Gig In The Sky
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È che si sono stufati tutti di aspettarlo: i tifosi, la società, il mister è l’ultimo arrivato ma si è spazientito prima degli altri. Geoffrey Kondogbia sta preparando la sorpresa, sta mettendo da parte tutto il risentimento, in silenzio, guarda il cielo scuro, sa che quando la partitura si andrà a distorcere toccherà a lui un urlo feroce che gli varrà il pezzo centrale del disco, tutti se la ricorderanno, quella voce, quel coro nascosto diventato melodia assoluta.
Money
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Il registratore batte cassa. E si sente. Nel disco. In campo quando gioca Éder. Parte da lontano, si va a cercare la palla, produce gioco, insomma fa soldi; quando arriva in area di rigore non è lì per caso, ci è arrivato secondo un calcolo matematico, il registratore batte, i soldi entrano. Peccato che poi a farne fare così tanti, lui una volta sotto porta ne guadagni così pochi. Destino degli investitori finire sul lastrico. E delle seconde punte.
Us And Them
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Sì va bene noi ma ci stanno pure loro, insomma ci stanno pure gli avversari, qualcuno se ne deve occupare. Così mentre la manovra sale di ritmo in avanti, c’è qualcuno dietro che il ritmo lo abbassa, calma gli animi, interrompe concitazioni importune, si chiama João de Souza Filho, ma per tutti è Miranda, volto di uno che se ne sta tranquillo e aspetta, finché non c’è da intervenire. E lì non aspetta più nessuno. Alla fine del pezzo alla sonorità gentile del canto si aggiunge qualche coro di complemento, qualche Murillo o Santon che passa da quelle parti se vuole cantare, devo seguire quella di melodia.
Any Colour You Like
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Suoni lunghi, note estese mescolate da qualche riff più agile, piccoli cambi di ritmo, dialogo tra l’elettronica di un synt e una chitarra elettrica. Ivan Perišić è strumentale come questo pezzo, sa fare tutto e sa farlo bene, ma gli manca l’acuto della voce; capace di costruire una trama ritmica su entrambe le fasce, inserendosi al centro, mascherandosi da rapace d’area di rigore di testa e di piede, almeno nel club (ché in Nazionale è diverso) pare proprio gli manchi di completare l’opera, di farsi trascinatore nel lampo decisivo, di fare la cosa giusta al momento giusto. No, va avanti di improvvisazione. Bella, ma impossibile.
Brain Damage
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“Il pazzoide è nella mia testa”, dedicata a Syd Barrett, questa qui, dedicata a quei giocatori che vuoi sempre in squadra ma che poi alla fine fai meglio senza. Ogni volta che non gioca uno si chiede come si faccia a fare a meno di Stevan Jovetić, poi gioca e tutti pensano che uno così o gli giochi intorno, che giochi solo per lui, oppure in squadra ti fa solo casini, ti smonta la manovra ragionata, ti salta uno schema, ti mette in crisi il terzino che deve tornare di corsa. Allora lasci stare, anche stavolta è andata così, meglio giochi un altro ché sto più tranquillo…
Eclipse
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La copertina storica del disco è un triangolo, colpito da un fascio bianco, che ne esce multicolore. Una geometria colpita da una linea che si trasforma e diventa un flusso di linee, come una voce diventa un coro, un suono, che diventa un urlo. Sembra accadere proprio questo quando Mauro Icardi guarda la porta, colpisce il pallone con un tiro preciso verso quella geometria, la perfora e lascia che il pallone ne esca con un grido sillabico, un sentimento arcobaleno, inarrestato il tiro si è trasformato in un gol. Non può che finire qui, con il suo giocatore simbolo, terminale offensivo di ogni azione, questo viaggio psichedelico cui un ascoltatore non ha saputo porre rimedio, una speranza per chi ne fosse tifoso, questo prisma su fondo nero che spera di diventare questa nuova, ennesima, pazza Inter. The Dark Side Of de Boer.