The Fight

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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3 min readSep 9, 2016

Go on, son! (ep. 01)

Leggendo le decine di articoli di presentazione di quest’ultimo derby di Manchester veniva subito alla mente una delle opere della letteratura sportiva più belle di tutti i tempi: The Fight. Ovviamente perché lo scontro tra United e City era visto quasi esclusivamente come una scazzottata tra gli acerrimi rivali Josè Mourinho e Pep Guardiola, sorta di alter ego calcistici di Muhammad Alì e George Foreman. Chissà quale dei due si sarebbe guadagnato le simpatie di quel fuoriclasse della scrittura che rispondeva al nome di Norman Mailer — che parteggiava per il Più Grande, ça va sans dire.

Ora, è vero che i due tecnici nativi della penisola iberica sono tra i migliori al mondo e pertanto hanno già provveduto a dare la loro impronta alle rispettive compagini, ma il football è uno sport di squadra e soprattutto di sfide tra Pep e Mou ce ne sono state e ce ne saranno tante. Di rumble in the jungle se n’è registrato solo uno. Però come il mitico match di Kinshasa, anche la prima stracittadina di quella che è da anni la capitale del Beautiful Game ha tenuto fede alle aspettative grazie alle giocate dei 22 in campo. Bella forza, direte voi, con quello che sono costati.

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Per carità, tutto vero, però quando si parla di derby, con due squadre (soprattutto una) che hanno segnato in maniera indelebile la storia del calcio e la cornice è il Teatro dei Sogni si può anche mettere da parte per 90 minuti i conti della serva su stipendi e costo dei cartellini.

Probabile che Kevin De Bruyne sarebbe stato disposto a privarsi di una quota del suo stipendio pur di vendicarsi dell’allenatore che, quando giocava al Chelsea, lo relegava in panchina e gli dispensava cazziatoni ogni due per tre. Così come Marcus Rashford non pensava certo ai prossimi contratti milionari che avrà il piacere di firmare quando si involava sulla fascia sinistra mettendo in ambasce tutta la difesa del City. Beh, forse a dirla tutta qualcuno avrà pure pensato che la prestazione di Paul Pogba non valeva i 100 milioni di euro sganciati per riprendersi il francesino. Ragionamento legittimo, ma alla fine della fiera l’ex juventino è stato uno dei pochi a deludere, insieme a Henrikh Mkhitaryan e Jesse Lingard. Nel caso di questi ultimi due la colpa la daremmo a Mourinho che, in eccesso di timore e di atteggiamento difensivista, li ha schierati a sorpresa — per poi pentirsene e auto-sconfessarsi già a metà gara — rinunciando così al succitato ragazzo Marcus.

Il portoghese, lo sanno anche i muri, i giovani tende a non farli giocare troppo. Noi ammettiamo di essere degli immensi estimatori di Rashford, ma mai nella vita ci sarebbe passato per l’anticamera del cervello di mettere al suo posto un palesemente fuori forma Mkhitaryan. Almeno Mou gli ha dato 45 minuti di palcoscenico, non come Hodgson a Euro 2016 nel disgraziato match con l’Islanda, quando l’enfant prodige negli scarsi 10 minuti concessi stava per salvare una delle Inghilterre più brutte della storia.

Niente da fare, adesso ci tocca fare un bel mea culpa, visto che anche noi siamo finiti a parlare degli allenatori. E allora diciamolo che Guardiola sta valorizzando al meglio giocatori che con Pellegrini avevano fatto il loro ingresso in una specie di sgradito limbo pallonaro — da Sterling a Fernandinho, l’elenco è lungo. Avviso ai naviganti, la sera non diciamo preghiere davanti a un altarino con foto raffiguranti colui il quale tanti appassionati di calcio ritengono essere indubitabilmente il messia. Anzi, a voler essere proprio onesti, concordiamo con quanto sentito dire di recente da Luca Vialli su Sky in merito al tiki taka guardioliano, bollato come un po’ noiosetto.

Ultima annotazione più di prospettiva: è presto per dire se il Manchester City sia lanciato verso il quinto titolo della sua storia. Anche la scorsa stagione dopo una manciata di giornate i Light Blues sembravano inarrestabili, poi sappiamo come è andata a finire. Ma sulla panchina c’era un ingegnere cileno sicuramente perbene ma spesso incerto sul da farsi.

PS: se l’Old Trafford avesse potuto contare sul doppio dei suoi 75mila posti, avrebbe lo stesso fatto registrare il tutto esaurito. Quella della presenza dei tifosi allo stadio, per quel che ci riguarda, è la principale differenza tra la Premier e la triste Serie A.

Articolo a cura di Luca Manes

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